Nicola Bono sulla “Buona Scuola” di Renzi.
LA BUONA SCUOLA E IL DISEGNO RIFORMATORE DI RENZI
La “Buona Scuola” di riforme reali ne contiene ben poche, ma piuttosto semplici aggiustamenti, in parte peraltro imposti da tempo da sentenze inapplicate della Corte di Giustizia Europea, come l’obbligo di un tetto temporale ai contratti a termine, che ha dato vita al piano straordinario delle assunzioni e all’eliminazione del precariato storico. Ma la cosa più incredibile è la totale assenza di un modello pedagogico di riferimento, né tanto meno istituzionale, che possa fornire una spiegazione coerente dell’unica vera novità della stessa, e cioè l’attribuzione di esagerati e ingiustificati poteri discrezionali ai Presidi, ora denominati perfino “leader educativi”. La forzatura è evidente. Sono stati introdotti strumenti discrezionali di valutazione meritocratica, senza peraltro fornire parametri di riferimento per consentire di assicurarne l’oggettiva equità e correttezza applicativa. In un paese afflitto dagli abusi e dalla corruzione, e’ come fornire una pistola carica a un serial killer.
Banale il divieto di assumere i parenti, perché non solo e’ facilmente aggirabile, ma è anche anticostituzionale, in quanto lede chiaramente il diritto dei congiunti del leader a occupare posti per i quali avrebbero i requisiti di accesso, oltre a costituire una inconsapevole ammissione di colpa perché, se non ci fosse un eccesso di discrezionalità, e la totale assenza di criteri oggettivi, non ci sarebbe bisogno di questa odiosa misura. Ma dov’è la giustificazione che subordina il diritto di un docente che, per avere assegnata la cattedra per cui ha vinto un concorso, deve essere ostaggio della valutazione discrezionale di un preside e magari costretto a mendicare lo stesso insegnamento a distanze siderali dalla sua residenza? La verità e’ che si vuole spacciare l’”autoritarismo senza regole” con la “meritocrazia”, ignorando che quest’ultima e’ il combinato disposto di valutazioni fondate su regole trasparenti e criteri oggettivi e misurabili, che tengano conto di una grande varietà di componenti come la preparazione, l’apertura mentale, l’impegno, l’aggiornamento, la capacita’ comunicativa, la sensibilità, l’interazione con le altre discipline e molto altro ancora.
Ecco perché appare molto difficile che, in una scuola devastata da anni di accorpamenti selvaggi e spesso innaturali, motivati esclusivamente dalla necessita’ di conseguire risparmi con l’abolizione delle posizioni apicali di presidi e direttori amministrativi, un “leader educativo” costretto a dirigere mega istituti con oltre mille alunni e centinaia di docenti, possa mai avere elementi oggettivi per valutare questi ultimi in maniera corretta. Ed e’ un mistero in cosa potrebbe aiutarlo un nucleo di valutazione composto da tre insegnanti più uno, spesso di discipline del tutto diverse da quelle insegnate dai valutati, oltre ai due genitori e l’alunno. C’è da scommetterci che il più delle volte faranno fatica ad associare il volto al nome del giudicato. Anche sugli obbiettivi ci sono evidenti incongruenze.
Se il fine fosse assicurare attraverso una maggiore autonomia una più alta capacità competitiva tra scuole in termini di offerta formativa, il che avrebbe una sua oggettiva validità, è evidente l’inadeguatezza di tale riforma, perché non fornisce le risorse necessarie a tale scopo, né economiche, né umane, specie da parte proprio dei “leader educativi” che, con qualche rara e lodevole eccezione, non hanno alcuna oggettiva preparazione, non sono stati selezionati per tali compiti e spesso non ne hanno neanche la mentalità, oltre che le competenze manageriali e quindi non possono certo miracolosamente trasformarsi in tali soggetti solo perché lo dispone la legge. E’ davvero un grave errore avere impostato il “potenziamento dell’autonomia scolastica” su una gestione centrata sui poteri del “preside sceriffo”, anche perché ciò introduce stravolgimenti dei principi ispiratori dell’autonomia scolastica, che sono al contrario basati sulla collegialità, cooperazione e condivisione, che vengono peraltro formalmente mantenuti. Una riforma, per funzionare, non deve scardinare l’assetto precedente introducendo elementi contraddittori al suo impianto, ma sapere innovare anche profondamente, purché con una coerenza complessiva. Infine non si può non notare il grande assente della riforma e cioè la tutela del diritto all’apprendimento degli allievi, da decenni agli ultimi posti delle classifiche mondiali e non solo dei Paesi avanzati, quanto a standard culturali ed educativi, a cui questa riforma, nella sua stralunata impostazione non dà alcuna garanzia di miglioramento, anzi.
On. Nicola Bono