La scrittura privata di Mariannina Coffa in “Voglio il mio Cielo”
Una stanza tutta per sé: la scrittura privata di Mariannina Coffa.
di Stefano Vaccaro*
… Veniamo ora all’ultimo corpus di lettere private, quelle raccolte da Marinella Fiume e Biagio Iacono nel volume che prende il titolo di Voglio il mio cielo. Lettere della poetessa Mariannina Coffa al precettore, ai familiari, agli amici presentato in occasione del convegno “Mariannina Coffa, Sguardi Plurali” (Noto, 7-8 Novembre 2014). La raccolta letteraria è l’ultima a vedere la luce in termini cronologici e si pone come tappa conclusiva di un viaggio immaginario all’interno degli affetti e degli scritti privati della Nostra. Le missive presentano argomenti vari, così come sono vari la loro lunghezza e i numerosi destinatari. Alcune particolarità ortografiche e sintattiche le accomunano già all’Epistolario amoroso col Mauceri, uguale è infatti l’incertezza relativa alla grafia di alcuni termini (labbri e labri, obblio e oblio, dubbio e dubio, correggere e corregere) e l’uso di alcune forme dialettali (“buono” col significato di sano, “alienarsi” col significato di divertirsi, “travagli” col significato di lavori).
Le ambiguità di lessico e forma denotano come la lingua italiana sia un medium d’espressione tutt’altro che oggettivato anche all’interno delle classi borghesi medio-alte almeno fino agli anni Settanta dell’Ottocento, si deduce da qui l’indeterminatezza di un’ortografia ancora in costruzione non dotata di regole comuni e spesso contaminata da regionalismi e dal linguaggio parlato ai quali si uniscono spesso inosservanze delle strutture sintattiche (“un” apostrofato prima di un nome maschile, uso transitivo di verbi intransitivi, la terza persona plurale della voce del verbo avere priva dell’h ecc…). Un primo nucleo di lettere può essere inquadrato negli anni che vanno dal 1854 al 1861, tale corpus si apre con una missiva che ha come destinatario il canonico Corrado Sbano che qui rappresenta il destinatario favorito della Coffa, della quale è stato maestro e sarà sempre amico e in parte confidente. Le lettere prima del matrimonio trovano una Nina dedita ai compiti che l’insegnante le affida, ed ella si compiace di svolgerli tutti, inviando al precettore anche diverse poesie; titoli come La colonna Stampace, Memoria al caro Domenico e Una notte a Venezia – Lamento andranno a costituire la primissima produzione poetica coffiana curata dal canonico stesso. Già a questa altezza è possibile riscontrare il peso che la scrittura ha su Mariannina, percepita come responsabilità poetica ed umana, che plasma una personalità ancora duttile favorita da un’acuta capacità di recepire gli stimoli esterni mediati da un fare poetico innato, caratteristica peculiare questa di una “sensitiva” (soprannome dato sin dalla più tenera età alla poetessa). Il carteggio va avanti con le lettere del ’56 e del ’57 che hanno per oggetto le correzioni che lo Sbano e il nonno apportano alle sue poesie; a gennaio dello stesso anno Nina è già intenta a scrivere quello che è forse il suo progetto poetico più ambizioso la Vittoria Colonna , della quale comporrà solamente i primi tre canti. Le abbondanti modifiche che il precettore consiglia all’allieva danno credito a quella parte di critica che ha visto in Sbano il sabotatore della più autentica libertà d’espressione della Nostra che più volte fu costretta a seguire temi e a rinunciare a letture che non fossero direttamente collegati all’universo cristiano.
Nel ‘59 Il carattere tenace della Coffa avrà un primo banco di prova nella richiesta dell’autorevole Emilio Bufardeci (Siracusa 1816-1899), sacerdote, docente di matematica e deputato parlamentare, di ritrattare alcuni versi della sua poesia intitolata A mia madre ritenuti poco lusinghieri nei confronti di Siracusa. Mariannina si mostra per nulla intimorita dalle pressioni dell’influente deputato e risponde alla sua richiesta con una lettera che verrà pubblicata nel Giornale di Catania. La netina difende la purezza e la libertà della sua arte mostrando un retroterra culturale ampio e per niente scontato che spazia da Virgilio a Dante, riuscendo a respingere così ogni accusa1 da parte del siracusano. Il secondo gruppo di lettere copre quasi un decennio, coprendo gli anni che vanno dal 1861 al 1868. La prima missiva, che ha ancora una volta come destinatario lo Sbano, risale al 18 febbraio e interrompe un silenzio durato almeno due anni, periodo che coincide con il matrimonio e il trasferimento della Nostra a Ragusa. Il malessere vissuto dalla poetessa a causa della nuova condizione di moglie e nuora viene riversato prepotentemente nelle corrispondenze che si connotano di forti accenti malinconici e dolenti trovando un punto fermo nella nostalgia per la città natale e i familiari ivi lasciati, soltanto gli impegni di madre leniscono la sua sofferenza interiore e la distolgono dai sempre più pressanti pensieri di morte. L’unico corrispondente in grado di riscaldare la “landa di ghiaccio” nella quale la Coffa vive è il “compare” ragusano Giambattista Lupis che dopo lo Sbano appare il ricevente favorito delle sue missive. Fu quest’ultimo infatti, inconsapevole fautore del destino della ragazza, a proporre ai Morana il nome della Coffa quale sposa per Giorgio. Il gran numero di lettere che il dotto Lupis, già sindaco di Ragusa (1862/64) scrive a Mariannina, sottendono non pochi sensi di colpa per aver involontariamente condannato la giovane a contrarre matrimonio forzatamente. E’ da riferire a questa raccolta quello che può essere considerato il manifesto civile e politico della Coffa scritto in occasione di un progetto di legge che prevedeva lo spostamento del capovallo da Noto a Siracusa, in A ciascuno dei Deputati del Parlamento2 la Nostra con esuberante fermezza si fa portavoce dei suoi concittadini perorando una causa al Parlamento italiano dal quale i netini si sentono traditi.Le lettere sono quindi bussola e sussidio per una conoscenza legata all’indefinibile rapporto tra società e intellettuale, tra realtà e scrittura e ci permettono di sondare anche i pensieri più intimi della Nostra così come l’ambiente sociale e culturale entro il quale si muove, in questo senso significativo risulta la formazione intellettuale della poetessa che oltre a basarsi sulla lettura della Bibbia, di Dante e di Tasso è aggiornata anche sui gusti dell’epoca, come dimostra la richiesta fatta dalla stessa al Lupis di fornirle il fascicolo successivo del romanzo d’appendice “I misteri del popolo” di Sue, di cui è appassionata lettrice nonostante gli avvertimenti di Ascenso di non dedicarsi a talune opere che hanno la facoltà di accendere eccessivamente gli animi dei lettori. Il sud-est siciliano (Noto, Ragusa, Modica), che fa da sfondo alla cronostoria coffiana, nei carteggi privati si mostra in tutta la sua immaginifica amenità, filtrata però dalla nota biografica e dal sentire poetico della poetessa per cui Noto si presenta salubre e assolata mentre Ragusa appare fredda e innevata, afflitta da casi di colera e abitata da gente ignorante.
Le missive, così come la poetica, sono incentrate sulla semantica e sui complessi equilibri che legano la scrittura al sentimento, questi però non escludono in maniera esplicita che il loro significato vada oltre la parola e il linguaggio stesso; rispetto al misterioso modus operandi del fare poetico della Coffa infatti lo stesso Sbano chiede delle spiegazioni non riuscendo a comprendere il contenuto di alcuni versi che gli appaiono “oscuri”. Mariannina risponde al canonico in maniera sincera dicendo di comporre non di rado in stato d’estasi magnetica come se qualvolta scrivesse poesie definisse un sogno che le si impone nella mente ovvero desse libero campo alla voce interiore che l’accompagna. Per non accrescere i pettegolezzi che la vedono devota a “strane credenze” la poetessa è addirittura costretta a modificare il titolo di una poesia dedicata alla medium Luisa Guidi che in origine prevedeva In un momento d’estasi magnetica aggiunto al titolo A Luisa Guidi.
La raccolta che va dal 1869 al 1872 è quella che più di tutti descrive le condizioni e l’ambiente ragusano entro il quale la donna è costretta a vivere. Lamentando sempre il fatto che neanche il tempo potrà guarire i dolori scaturiti dai soprusi dei quali è vittima, singolare è la narrazione che la poetessa fa del retroterra culturale ibleo che non risulta affatto vivace e stimolante, una città che a stento legge L’eco dei monti (un periodico locale), e che poco intenderebbe, a cominciare dal titolo Effemeridi, il giornale per il quale un cugino della stessa cerca affiliati a Ragusa. Il malsano ambiente culturale, non pronto a confrontarsi con un intellettuale donna, apostroferà la Nostra con pettegolezzi e maldicenze, fino a sospettare sulla reale paternità di alcune sue opere, cosa che risulterà preponderante all’uscita delle Ottave alla Vergine (1869). Tra una corrispondenza ed un’altra scambiata con gli amici netini, tra i quali emergono la zia Vittoria, le “sorelle” cugine Melodia e il cugino Peppino, non si arrestano le angherie in casa Morana che avranno il loro punto culminante nella demenza del suocero che si concretizzerà nel rifiuto di questo del cibo, negli insulti ad amici e parenti, nei tagli ai viveri quotidiani della famiglia e nel conservare o sperperare in luoghi ignoti il denaro proveniente dalle vendite di frumento. è una delle maggiorenti di Ragusa, ciò presuppone la partecipazione ad una vita pubblica che spesso la Nostra rifugge ma che non può del tutto elidere, perciò il teatro, così come le feste paesane, diventano luogo di ritrovo di quella pseudo-nobiltà alto borghese che deve tutta la propria ricchezza allo sfruttamento delle terre e nella quale serpeggia una finta bonarietà e indulgenza dettata dalla più bieca ipocrisia che farà vittima anche la nostra poetessa. Il più chiaro esempio di queste interazioni interfamiliari è dato dalla conoscenza della Coffa di un’altra personalità femminile non secondaria nella storia ragusana del XIX secolo, ovvero Maria Schininà3. Nominate entrambe ispettrici scolastiche nel 1871, secondo le nuove volontà statali di affidare l’istruzione primaria a quelle donne che avessero un minimo di dimestichezza con la cultura, nella Coffa e nella Schininà si possono ravvedere forti differenze di pensiero nonostante la provenienza comune dalla medesima classe sociale. L’ispettrice Schininà predisponeva che per prime venissero insegnate le cose religiose, poi a fare la calza e i lavori domestici infine lo studio. Di tutt’altro avviso era la poetessa che riteneva improduttivo istituire delle scuole pubbliche femminili per far apprendere alle bambine attività che avrebbero comunemente imparato a casa, col tempo, come le faccende donnesche. La Coffa avrebbe preferito far conoscere la grammatica e le belle lettere alle allieve ma il suo grado d’istruzione troppo elevato, e pertanto, poco compreso in quel clima ancorato ad un retaggio obsoleto e arcaico fece evitare alla Nostra di rimarcare le mancanze delle insegnanti e della Schininà stessa. Le lettere che fanno capo agli anni 1873-1877 hanno per contenuto ricordi d’infanzia e raccomandazioni varie. Con la morte del suocero avvenuta nel 1874 la Coffa approfitta del tempo guadagnato per dedicarsi anche un’ora al giorno alla scrittura.
Degno di nota risulta il commento che la stessa poetessa fa ai versi del suo più celebre componimento, Psiche: “Li scrissi ieri quasi in meno di mezz’ora, non so come li scrissi, mi venivano a diluvio e i versi e le idee, né comprendevo ciò che scrivevo. Durante la notte una voce continua mi ribatteva nel cervello la parola Psiche, psiche”. Già a quest’altezza i carteggi privati ripercorrono i dissapori familiari che si instaurano tra la Coffa e i genitori, acuiti dal divieto di questi di concedere una casa a Noto nella quale fare dimorare la figlia che, quasi moribonda a causa di un peggioramento di salute, deve abbandonare Ragusa. Alle sempre più invadenti domande dello Sbano riguardo i suoi rapporti con i dottori Bonfanti e Migneco e con la medicina omeopatica la Coffa è risoluta a voler difendere quest’ultimi rimproverando il canonico di dispensare consigli e opinioni affatto richiesti. Il biennio ’76-’78 vedono una donna ormai stanca di lottare contro familiari e sedicenti amici, che invece di comprenderla e aiutarla insultano il suo buon nome ed onore con le più basse trivialità, è la Coffa della “denuncia” quella che scrive le ultime lettere e che, dissipata ogni timidezza e accondiscendenza alle norme sociali, grida a gran voce “Io muoio ammazzata!”, avendo peraltro l’intenzione di pubblicare l’Ode a Giuseppe Migneco e stamparne dodici esemplari da fare avere agli “amici” netini che tanto hanno malignato sul rapporto tra la poetessa e il medico. “Maledizione!” è la parola che riassume le ultime epistole, nelle quali la coscienza di donna e la lucidità d’intellettuale si palesano in maniera distinta e preponderante e portano la Nostra a ribellarsi alla tacita sottomissione all’istituto familiare, all’infima borghesia che caratterizza un ambiente provinciale dedito alle calunnie e alle denigrazioni, alla medicina allopatica e alle convenzioni sociali.
Le estreme condizioni nelle quali versa la poetessa prima della morte, abbandonata da tutti e poverissima, la spingono addirittura a pensare di volersi separare definitivamente dal marito cosa inaudita e impensabile per la Sicilia di fine Ottocento: “(…) Io voglio libertà, divisione assoluta, voglio svincolarmi assolutamente dalla famiglia Morana, perché i nodi che non sono benedetti da Dio e dall’amore non possono durare”4. Una delle ultime missive riporta la data “13 Novembre 1877” ed è indirizzata a Giovanni Di Pasquale, qui la poetessa si scaglia ancora una volta contro chi le consiglia di ritornare a Ragusa dal marito, nonostante la salute malferma, pur di non dare adito ad altri pettegolezzi infamanti. Con una irremovibilità assoluta, dettata da un distacco mentale che ora si fa anche fisico, la Nostra ribadisce l’affezione a quella libertà d’azione da sempre agognata e finalmente conquistata seppur ad un elevatissimo prezzo, alla quale non vuole rinunciare: “Dalla vostra lettera vedo che non discorrete affatto e non avete né logica, né buon senso (…). Vi dico e vi ripeto per l’ultima volta che io non verrò mai più a Ragusa; né c’è un marito, né cento mariti, né un milione di mariti che possano obbligarmi a perdere la vita. (…) dopo questa malattia, io sento che esco dalla fossa – era già morta per tutti ed ora voglio vivere a modo mio. (…) Penso ai miei figli soltanto – e l’essere stata priva dei miei figli, appunto perché si trovano in Ragusa, ha accresciuto in me l’antipatia, l’urto, il dispetto, il disgusto – (…)”5. A chiudere quest’ultima conclusiva sessione del carteggio vi è una lettera senza data né firma destinata all’amata zia Vittoria alla quale la Nostra non risparmia di descrivere le bassezze morali dei genitori che pensano alla figlia soltanto come un peso economico, noncuranti della sua mortale malattia: “In che fanno consistere questo onore? Doveva servire solo ad assassinare, secondo il loro capriccio, una figlia moribonda?… Ma a me poco importa perché sono cancellati tutti dalla mia parentela, e le loro corna non mi pungono affatto. A tempo e luogo daremo la risposta.”6
E’ un Ottocento inedito quello che Mariannina Coffa ci racconta nella sua pur breve parabola di vita, fitta di avvenimenti e mancanze, un gioco sofferto di vuoti e pieni negli spazi di un’anima “condannata” alla poesia che emerge nella sua interezza solamente dai carteggi privati. Attenta testimone dei più grandi sconvolgimenti che caratterizzarono l’Italia nel periodo pre e post-unitario, la Coffa è una voce anomala di quel delicato passaggio che vide, all’indomani dell’Unità, i doveri delle donne accostarsi alle rivendicazioni di diritti calpestati. Poetessa singolare in un’epoca nella quale nascere donna precludeva buona parte delle attività culturali e politiche, Mariannina risulta essere antesignana di una classe di pensiero che avrà i propri risvolti accademici solamente nel primo ventennio del secolo successivo; l’interesse per l’inconscio, per le pratiche magnetiche e per il sonnambulismo saranno comuni anche a quegli studiosi che per primi si affacceranno allo studio di una nuova scienza, la psicologia. In conclusione, la storia della Nostra risulta essere un grande romanzo d’amore, amore per la famiglia, per Ascenso, per i figli, per la Patria, per la poesia, una vita vissuta alle estreme conseguenze ove tutte le declinazioni del sentimento risultano rimodulate in chiave poetica e letteraria, quello stesso amore, più volte implorato, che però non riuscì a salvarla.
Stefano Vaccaro
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*Stefano Vaccaro (Comiso,1993) è laureato in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in letteratura moderna e contemporanea dal titolo Volti ed immagini femminili nella letteratura italiana dell’Ottocento: un caso di studio Mariannina Coffa (1841-1878). Ha collaborato con l’Assessorato Cultura e Beni Culturali del Comune di Ragusa curando numerose mostre ed iniziative culturali, ultima l’apertura della Biblioteca del Castello di Donnafugata(Ragusa). Attualmente si occupa del fondo antico della Biblioteca Diocesana della stessa città.
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1 “(…) Né mi abbasso a rispondere minutamente a tutti i suoi consigli, perché nol consente dignità di donna, e parmi più bella la virtù del silenzio, (…) se quelle preposizioni mi fosser venute da qualche avventatelo, che amor di patria e amor di parte confonde, oh! sia pur certa che avrei risposto con un sorriso di noncurante disprezzo.” Si legge in “Voglio il mio cielo…” di M.Fiume e B. Iacono, pag. 267-271.
2 In “Voglio il mio cielo…” di M.Fiume e B. Iacono, “A ciascuno dei Deputati del Parlamento”, Noto 6 Giugno 1862, pag. 277.
3Maria Schininà (Ragusa 1844-1910) proveniente da una delle più ricche famiglie ragusane, decise di abbandonare il lusso e la mondanità per dedicarsi alle cure dei poveri e dei carcerati. Fondatrice delle suore del Sacro Cuore di Gesù, fu beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 4 novembre 1990. Legata a Mariannina da una cortese amicizia, la poetessa la ricorderà in una lettere ad Ascenso come “buonissima giovane”. (Epistolario amoroso Coffa-Mauceri, Lettera XCIV).
4 Lettera di M.Coffa a G. Di Pasquale, datata “22 Novembre 1877” , si legge in Voglio il mio cielo…di M.Fiume e B. Iacono, pag. 405.
5Si legge in Voglio il mio cielo… di M. Fiume e B. Iacono, pag. 403-404
6Ivi, pag. 408
Bibliografia essenziale
– Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, in Nuova Antologia, vol.I, n.1, 1886.
– Filippo Pennavaria, Sopra un caso d’isterismo acuto con estasi e sognazione spontanea accaduto in persona della insigne poetessa M. C. C. in Morana – Considerazioni medico filosofiche, Ragusa, Tip. Piccitto e Antoci, 1878.
– Corrado Sbano, Memorie e giudizj intorno alla poetessa Mariannina Coffa in Morana di Noto, Noto, Tipografia Zammit 1879.
– G. Navanteri, Un nuovo studio su Mariannina Coffa, Officina tipografica Zammit, Noto, 1898.
– F.Genovesi Caruso, Storia d’una martire (Mariannina Coffa Caruso), Chiurazzi, Napoli, 1900.
– Giuseppe Leanti, Una poetessa della patria e del dolore: Mariannina Coffa Caruso (1841-1878), Tipografia Zammit, Noto, 1923.
– Carmelo Sgroi, Cultura e movimenti d’idee in Noto nel sec. XIX (Contributo alla storia della cultura siciliana), Studio Editoriale Moderno, Catania, 1930.
– Gino Raya, Lettere ad Ascenso, Editrice Ciranna, Siracusa-Roma-Milano, 1957.
– Francesco Lombardo, Mariannina Coffa e C. Sammartino in Fileti ed altri riflessi di vita, d’arte e d’ambiente della poetessa netina, Tipografia dell’Autore, Noto, 1959.
– Gino Raya, Ottocento inedito: Coffa, Amari, Onufrio, Rapisardi, Dossi, Verga, Capuana, De Roberto, D’Annunzio, Editrice Ciranna, Roma, 1960.
– Gino Raya, Capuana e D’Annunzio, Niccolò Giannotta Editore, Catania, 1970.
– Poesie scelte a cura di Biagio Iacono Introd.ne di Gino Raya), Sicula Editrice Netum, Noto, 1988.
– Rita Verdirame, Finzione, rassegnazione e rivolta. L’immagine femminile nella letteratura dell’Ottocento, Papiro Editrice, Enna, 1990.
– Marinella Fiume, Sibilla arcana. Mariannina Coffa (1841-1878), Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 2000.
– Concetto La Terra, La Capinera che non sorrise: Mariannina Coffa, 1841 – 1878, a cura di Biagio Iacono, Sicula Editrice-Netum, Noto, 2003.
– Rita Verdirame, Narratrici e lettrici (1850 -1950): le letture della nonna dalla Contessa Lara a Luciana Peverelli, libreriauniversiaria.it Editore, 2009.
– Marinella Fiume e BiagioIacono, Voglio il mio cielo. Lettere della poetessa Mariannina Coffa al precettore, ai familiari, agli amici, Bonanno Editore, Acireale, 2014.
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NOTA BENE:
Il testo di cui sopra sul libro di M. Fiume e B. Iacono “Voglio il mio Cielo” , col titolo Una stanza tutta per sé.La scrittura privata di Mariannina Coffa, è tratto dall’antologia Mariannina Coffa – Sguardi Plurali, a cura di Marinella Fiume, Armando Siciliano Editore, Messina-Civitanova Marche, 2016.
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