Angelo Fortuna: – G. La Pira, interprete della Contestazione giovanile del ‘68 –
G. La Pira, interprete della Contestazione globale giovanile del ‘68
Molte, varie, contraddittorie a causa di eccessi di personalizzazione secondo i propri modi sentire, di osservare e di giudicare, sono le interpretazioni della Contestazione globale giovanile del ’68. A distanza di 50 anni dal fenomeno che sconvolse università, licei e, in senso lato, la società del tempo,“il sistema”, per usare un termine a lungo abusato, andare alla radice di questo fenomeno epocale appare necessario e utile per individuarne i significati reconditi e le manifestazioni, che andavano da una sincera volontà di cambiamento e di ricerca di un salto di qualità nelle relazioni umane e nel senso dell’essere ad esibizioni di narcisismo senza costrutto. Ecco perché, oltre ad ascoltare voci ideologicamente scontate, pronte a giustificare personali opinioni di libertarismo incongruo e di liberazione degli istinti, rievocando magari i contenuti di slogan allora alla moda con relativi graffiti, dappertutto quasi uguali o equivalenti, è indispensabile consultare quel personaggio dalla vista così acuta da essere incompreso, frainteso e a volte anche dileggiato dai media e persino da alcuni tra gli opinion leaders del tempo, affetti però da miopia e sprovvisti della sua formidabile capacità di leggere nel presente le tendenze del futuro. Mi riferisco, è chiaro, a Giorgio La Pira, profeta disarmato di straordinaria intelligenza degli eventi del suo tempo e della loro evoluzione, autore di gesti profetici e di abilità realizzatrici tali da lasciarci ancor oggi senza parole, a meno che non diamo lo spazio dovuto alla sua fede cristiana, incarnata e vissuta in profondità col supporto di un’acutezza mentale formidabile, finalizzata alla ricerca del bene, del vero e del bello. Due sono, in particolare, i testi fondamentali della sua analisi del fenomeno della Contestazione, cui mi atterrò per dar conto delle sue intuizioni sulla rivolta dei giovani del ’68 che, poi, fu strumentalizzata e dunque banalizzata dall’ideologia marxista, peraltro già in pieno declino, e dal libertarismo di marca radicale: 1) il discorso di La Pira ai giovani in occasione della Conferenza Internazionale della Gioventù per la pace e il disarmo (26 febbraio 1964), in cui profeticamente illuminava in anticipo gli scenari dei tempi nuovi; 2) il discorso pronunciato a Firenze nell’agosto 1968, dunque a ridosso del famoso Maggio ’68 francese, il cui titolo, “I giovani hanno deciso: vogliono mille anni di pace”, esprime l’impostazione di fondo della sua interpretazione.
Posto di fronte al fenomeno universale della Contestazione globale, egli esprime anzitutto la precisa convinzione che la caratteristica principale della “rivolta dei giovani”, evento del tutto imprevisto eppure universale, è la sua contemporanea esplosione in ogni parte del globo in forme tanto più sorprendenti in quanto completamente inattese. La Contestazione ha indiscutibilmente dato un volto alla storia di fine anni ’60 e oltre, mettendo in movimento “in modo irreversibile” – è questa la convinzione inossidabile di La Pira – forze storiche, politiche e culturali immense “nei paesi dell’ovest come in quelli dell’est, in quelli del nord, come in quelli del sud”. Questo carattere globale inedito per i movimenti giovanili di ogni tempo poneva pertanto un interrogativo a cui nessuno poteva sottrarsi, meno che mai le guide responsabili del mondo, ancor meno Giorgio La Pira, che ritenne da subito suo ineludibile dovere analizzare e spiegare quale fosse il significato storico di fondo, qualificante, del ’68 e dintorni, “di questa inattesa, inedita (nel senso che mai nella storia del mondo si era verificato un fenomeno di queste dimensioni) e contemporanea rivolta dei giovani”. In altre parole, si trattava, a parer suo, di capire che senso avesse per la storia della seconda metà del XX secolo, per quella odierna e per quella futura, questo fatto davvero nuovo, inedito (è questo un aggettivo che La Pira ebbe a ripetere parecchie volte, a riprova dell’importanza che attribuiva per l’occasione al termine), che mise in crisi, sotto giudizio, le strutture della civiltà umana, della società umana e che proprio per tutto ciò assunse la denominazione di Contestazione globale. Non c’è dubbio infatti che le strutture della società furono colte di sorpresa e quindi scosse dalle fondamenta da questo fenomeno, che pose problemi essenziali alla storia e alla civiltà del tempo e oltre. Sappiamo come intorno a queste domande siano sorti in Europa, in America e, per quanto e per come i regimi e le dittature planetarie del tempo (URSS, Cina ecc.) lo consentissero, nel resto del mondo, studi, interpretazioni, analisi, approfondimenti culturali e sociologici, indicazioni e riflessioni spirituali ed artistiche, che, in un modo o nell’altro (La Pira usa l’espressione “per diritto o per rovescio”), hanno preso le mosse “da questo fatto di contestazione globale che, come vento di marzo, continua a scuotere senza cessare la presente stagione storica del mondo”. Mi pare tuttavia opportuna, a questo punto, una breve digressione per chiarire il limite della Contestazione globale ridimensionando un po’ l’insistenza di La Pira sul fatto che essa interessò tutti i continenti. Ebbene, sappiamo tutti che, dall’espressione tendente a inglobare “tutto il mondo”, vanno espunti i paesi arabi musulmani ed altri paesi musulmani come l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, l’Afghanistan, l’Indonesia e anche la Turchia che, a causa del loro abissale ritardo culturale, pesante eredità della loro adesione all’Islam, negatore per definizione di ogni forma di progresso, non erano in grado di percepire gli aneliti di liberazione che scossero i giovani di gran parte del globo.
Rientrando nell’ambito dell’analisi di Giorgio La Pira, impressiona la concretezza delle domande che si pone a fronte del fenomeno della Contestazione: “Cosa è? Di che si tratta? Perché è nata? Dove tende? Come mai questo fatto nuovo, unico, nella storia del mondo?”. È a questo punto che egli introduce un’immagine fortemente rappresentativa del fatto storicamente qualificante della Contestazione globale dei giovani. L’immagine, che abbiamo in parte evocato in un precedente studio su La Pira e Ho Chi Minh ad Hanoi (novembre 1965), è quella degli stormi di uccelli migratori che, al mutare della stagione, prendono il volo e si spostano da un continente ad un altro. Un’immagine da tener sempre presente per andare alle radici dell’interpretazione del sindaco di Firenze. “Perché – si chiedeva – gli uccelli, con immense schiere coordinate e compatte, migrano di continente in continente? Perché la stagione è mutata; e quando la stagione è mutata il loro movimento migratorio è inevitabile ed irreversibile!”. Ecco due aggettivi da sottolineare! Sulla base di questa immaginifica visione, che egli applicava al movimento giovanile mondiale del ’68, egli vide nella Contestazione globale giovanile “un fatto di inevitabile ed irreversibile migrazione delle generazioni nuove, che, mutata la stagione storica, si muovono, appunto, inevitabilmente ed irreversibilmente verso continenti nuovi, verso civiltà nuove, strutture nuove, società nuove”. Tout se tient nell’analisi del pozzallese.
A parte la valutazione sui metodi di azione, scioperi, raduni rock, cortei, occupazione di università e scuole, egli vedeva le masse giovanili pronte a fare il passaggio di stagione, decise a far passare la storia e la civiltà dalla stagione storica dell’inverno, alla stagione storica della primavera e dell’estate. Ecco il significato storico, profondo e qualificante, della Contestazione globale giovanile. Si tratta di un’intuizione, meglio di una percezione intuitiva, istintiva, da parte delle nuove generazioni, consapevoli del mutamento qualitativo di stagione intervenuto nella storia del mondo. Dinanzi a questa visione, il richiamo biblico, profetico, da parte di La Pira, è inevitabile; infatti, egli chiama a convalidare questa sua rappresentazione del fenomeno alcuni fatti biblici validi per tutti coloro, ebrei e cristiani, che costituiscono il complesso della rivelazione abramitica. Opportunamente, allora, rievoca Mosè e Giosuè che guidano il popolo di Abramo, di Isacco e di Giacobbe verso la terra promessa, attraversando il Mar Rosso, il deserto e il Giordano. Quando il tempo dei grandi passaggi è arrivato – e a questo proposito cita Esodo, XII, 37 sgg.; Giosuè, II, 1 sgg.; III, 3 sgg.; IV, 6 sgg. -, quando si tratta di passare dall’inverno della schiavitù d’Egitto e del deserto “alla primavera della libertà, della terra promessa ove scorre latte e miele”, ecco che tutto il popolo di Israele, il popolo di Dio, in contestazione contro il Faraone incapace di discernere il nuovo, si muove irreversibilmente, superando ogni ostacolo e impedimento, verso le nuove frontiere della terra sperata, della terra promessa! È così che La Pira pone la contestazione globale giovanile in diretto rapporto con la irreversibile migrazione del popolo di Israele dalle plaghe dell’inverno egizio al continente della primavera.
Subito dopo, proprio per cancellare la semplicistica impressione che la sua analisi possa interessare soltanto i credenti, si sposta sul terreno della realtà effettuale degli anni ’60, spiegando che cosa sia l’epoca nuova, la stagione nuova, il continente nuovo verso cui vede proiettata la trasmigrazione delle generazioni nuove, portavoce e portabandiera di tutti i popoli della terra che esse intendono attrarre nella loro strategia di trasmigrazione. Partendo dal fondamento a tutti chiaro della situazione nucleare e scientifica e tecnica del mondo, egli si sofferma sulla radicale novità rappresentata, rispetto a tutte le epoche storiche precedenti, dall’epoca postbellica che ha assistito alla bomba atomica sganciata a Hiroshima (6 agosto 1945) e a Nagasaki (9 agosto 1945). Questa duplice immane sciagura ha posto il genere umano dinanzi a un bivio. Per dirla con le sue parole, dopo questi eventi inediti nella loro tragicità, “il genere umano si trova davanti a una scelta apocalittica, finale: scegliere, cioè, o la sua distruzione (da lui percepita come un suicidio collettivo) e anche, in certo modo, la distruzione del pianeta o il disarmo totale e la pace per sempre”, con la conseguenza della conversione delle armi in aratri e delle inutili spese di guerra in costruttive spese di pace. Tertium non datur. Ecco in sintesi il “sentiero di Isaia”, di cui giustamente tanto si è discusso a proposito di La Pira. In questo senso, la nostra età è anche un’età finale, quella della pace per così dire obbligatoria, pena la catastrofe finale della terra. Tutto ciò che in passato veniva riposto nel cantuccio del sogno e dell’utopia, cioè la pace universale, per effetto dell’invenzione e dello sganciamento della bomba atomica, doveva, era obbligato a diventare realtà storica.
Ricordiamo come, proprio alla fine degli anni ’60 e comunque subito dopo la crisi dei missili sovietici a Cuba, si calcolava che gli arsenali nucleari di Stati Uniti e Urss erano in grado di distruggere la vita sulla terra per 32 volte di seguito. Il nostro conterraneo non faceva calcoli, ma si limitava a dire che nel 1968 erano già disponibili 500.000 megatoni, una cifra che non ha bisogno di commenti. A ciò mi riferivo quando ho sottolineato la concretezza lapiriana: “Ecco le due stagioni, le due età, i due continenti: ed ecco il senso della contestazione globale e delle ardimentose trasmigrazioni dei giovani!”. Ma, in pratica, che cosa esprimevano le nuove generazioni? La sua risposta è lineare: le nuove generazioni si chiedono perché mai “attardarsi ancora (ed anzi retrocedere – come è avvenuto con il Vietnam, per il Medio Oriente, per il razzismo, per la pace, ecc. – rispetto al movimento storico, verso le nuove frontiere, iniziate sin dal 1961 da Kennedy e da Kruscev, sotto l’ispirazione illuminata di Giovanni XXIII), nella stagione invernale degli armamenti nucleari e della guerra (anche convenzionale, che diventa sempre più porta d’ingresso della guerra nucleare)? Perché non scegliere decisamente il passaggio all’età della pace? Non si tratta di una scelta marginale: essa investe, se fatta, la struttura intera (nei suoi fondamenti primi) della civiltà e della società umana: investe tutto, contesta tutto, rinnova tutto: “Nova sint omnia!”.
Sempre in tema di concretezza il “profeta” La Pira, incompreso come tutti i veri profeti, riferendosi agli studi scientifici degli economisti del tempo, calcolava che l’eventuale conversione delle spese di guerra, delle “armi in aratri”, che allora ammontavano a 200 miliardi di dollari annui, avrebbe potuto risolvere il problema della fame nel mondo e sconfiggere l’analfabetismo e l’ignoranza. “Perché ancora il razzismo e il colonialismo? – si chiedeva – Perché tanta libertà creatrice compressa? Perché tanto capitale prezioso di bellezza artistica e tanto capitale ugualmente prezioso di preghiera e di contemplazione religiosa messo sotto il moggio di un’oppressione priva d’una qualsiasi validità culturale e politica?”. Secondo lui, i giovani del Maggio ’68 e di tutta Europa e quelli che, anche a rischio della vita, contestavano le scelte politiche dei governi del blocco di Varsavia e di tutto l’Est europeo rappresentavano questa novità: come la scoperta dell’energia nucleare e, dunque, delle bombe atomiche definiva, specificandola, la nuova era del mondo, così la Contestazione globale dei giovani dava a questa nuova era una identità inedita, le cui caratteristiche egli declinava nel modo seguente:
1) le nuove generazioni hanno preso coscienza della stagione irreversibile della pace per sempre. Come Mosè dal monte Nebo vide la terra promessa, esse, fiutando il cambiamento epocale, hanno visto la via inevitabile della pace e preso atto della impossibilità della guerra;
2) i giovani hanno rimproverato alle generazioni passate e ai dirigenti politici presenti nel mondo la loro inintelligenza dell’età nuova della storia, fondata sulla pace, sul disarmo e sullo sviluppo dei popoli. Così hanno duramente denunciato la loro ottusa resistenza intellettuale e politica dinanzi all’avanzata della storia verso le nuove frontiere della terra promessa, nonché il loro pigro attardarsi nel deserto della stagione invernale della guerra, del sottosviluppo, della fame, del razzismo, del colonialismo, dell’oppressione.
Temeva, e con il senno del poi possiamo affermare che aveva tutte le ragioni, che ci si volesse attardare nell’inverno storico e, biblicamente argomentando, nella schiavitù d’Egitto, che non si volesse attraversare il Mar Rosso e poi il Giordano, che non si volesse irrompere nella terra promessa. Questi gravi sintomi di resistenza egli individuava non metaforicamente ma realisticamente, ad esempio, nel tentativo di inversione di rotta iniziato con l’assassinio di John Kennedy (22 novembre 1963), con la paurosa ripresa dell’equilibrio del terrore, con la cieca riduzione degli aiuti ai popoli in via di sviluppo e soprattutto con i crescenti squilibri tra nazioni ricche e nazioni povere e con l’aggravarsi della guerra in Vietnam e nel Medio Oriente. Questa inversione di rotta era la diretta conseguenza del ritardo culturale delle massime autorità “intellettualmente e politicamente invecchiate” del mondo, le quali, nella loro cecità, rischiavano di condurre il mondo alla catastrofe nucleare. Gli metteva paura questa loro incapacità di percepire il vento del nuovo, anzi “la novità totale della nuova stagione del mondo” e “l’irreversibile avanzata della storia verso la terra promessa”, che egli identificava senza mezzi termini con il piano di Dio. Ecco la non utopia moderna dell’epoca finale nella quale la guerra diveniva impossibile! Mentre la dirigenza politica del mondo si crogiolava nella sua vecchiezza metodologica, le nuove generazioni, libere da pregiudizi – pensava – avendo sentito il soffio della primavera, con la loro rivolta e contestazione globale, già migravano verso il continente storico nuovo, contrassegnato dalla primavera, concepita come l’epoca in cui si preparava l’estate della storia nuova del mondo. Finito il tempo delle guerre e rivoluzioni efficaci, era spuntata all’orizzonte la rivolta non violenta e, secondo La Pira, veramente efficace, una rivolta capace di mettere in crisi le strutture costruite sempre in funzione della “guerra di domani”. A suo avviso, era dunque necessario spazzare via due presunti diritti delle costituzioni statali: il diritto di guerra e il diritto di proprietà, “più esattamente – precisava – quella proprietà privata di grandi dimensioni che con la destinazione incontrollata del profitto provoca le tremende ingiustizie del mondo e causa l’immensa e crescente ricchezza degli uni e l’immensa e crescente povertà degli altri”. Va oltre La Pira, quando afferma che, grazie alla contestazione del diritto alla guerra e del diritto di proprietà privata esagerata, ci si pone nella condizione di risolvere “in radice” le situazioni di disoccupazione, di ignoranza, di malattia, di sottosviluppo in cui si trovano “i due terzi della famiglia dei popoli”. Ma ecco che, subito dopo, si pone un interrogativo: “E fra 30 anni?”.
Ebbene, oggi siamo nella condizione di rispondere a questa domanda: dopo 30 anni, anzi dopo 50 anni, le strutture di inintelligenza del nuovo da lui denunciate sono peggiorate. Sappiamo tutti come una piccola minoranza di plurimiliardari, non più del sei, sette per cento della popolazione mondiale, possieda ben oltre il 90% della ricchezza del globo. Non è però il caso di scoraggiarsi, soprattutto se si è convinti della bontà delle ragioni dell’analisi lapiriana e della necessità assoluta della migrazione verso la stagione della primavera, se non vogliamo correre il rischio dell’inverno totale, cioè della distruzione dell’oasi terrestre. Forte delle sue convinzioni, biblicamente e razionalmente fondate, egli è come posseduto da un’ondata di ottimismo: “I giovani sono destinati a fare il passaggio nella terra promessa: il tempo di partenza è già venuto: e quando il cammino è cominciato nessuno più lo ferma!”. Siccome, però, Giorgio La Pira non era lo sprovveduto né tanto meno l’ingenuo descritto dai mass-media, che non perdevano occasione par dare la parola ai soloni, il cui comune denominatore era diffidare dei profeti in fatti concernenti la politica, la vita sociale e la risoluzione dei problemi del mondo, subito dopo, in un momento di perplessità, si chiedeva: “Si lasceranno i giovani tentare dal vitello d’oro o apriranno la loro vita interiore agli splendori della bellezza che da Dio discende e che è il punto omega che verso di sé attrae, oltre che la vita degli uomini, la storia totale del mondo?”. Ecco lo spartiacque! Egli ben conosceva le facili seduzioni della civiltà orizzontale dei consumi che avrebbero potuto velare e occultare la bellezza della civiltà verticale, ove abbondano i valori terrestri ma prevalgono la contemplazione e il possesso dei valori celesti. Temeva che l’umanesimo orizzontale terrestre potesse oscurare la significatività dell’umanesimo verticale, plenario, terrestre e celeste.
È solo un momento di dubbio dettato probabilmente dal fatto che molti contestatori del tempo innalzavano cartelli inneggianti a Mao, Marx e Marcuse e riempivano di graffiti spesso fin troppo goliardici, volgari e anticristiani i muri della Sorbona e delle università e scuole superiori italiane e straniere. Ne segnalo alcuni: “Make love not war” (“Fate l’amore, non la guerra”, là dove l’amore evangelico, quello delle Beatitudini era di fatto assente per far posto ad una concezione solo materialistica, consumistica dell’amore), “Né padrone né Dio”, “Vietato vietare”, “L’immaginazione al potere”, “Diamo l’assalto al cielo”, “Anche se Dio esistesse bisognerebbe sopprimerlo”, “Là dove c’è il sacro, ecco il nemico”, “Abbasso il rospo di Nazareth”, che aveva però un forte contrappeso in “Solo Cristo è rivoluzionario”, “Godetevela senza freni”, “Esagerare è cominciare ad inventare”, “Ho qualcosa da dire ma non so che…”. La Pira riteneva però che le “boutades” più esagerate fossero soltanto gli ultimi contraccolpi di una stagione al tramonto, per cui dichiarava che, a suo avviso, dovendo scegliere tra un umanesimo orizzontale e un umanesimo celeste, “migrando verso il continente storico della primavera”, i giovani sarebbero stati sospinti “istintivamente verso le grandi bellezze di Dio”, avrebbero ripudiato il vitello d’oro e si sarebbero aperti “al soffio vivificante della grazia e all’appello beatificante dell’adorazione in spirito e verità”. In tal modo, avrebbero dato un sostanziale contributo per convertire le strutture destinate alla guerra con strutture destinate alla pace.
Inoltre, a coloro che pensavano che la contestazione potesse significare opposizione al progresso scientifico, industriale, tecnologico, sociologico, culturale, egli replicava chiarendo che le strutture scientifiche e tecniche sono i soli strumenti adeguati per risolvere i grandi problemi dei popoli: “Si tratta solo di convertire e di orientare queste strutture – ed in un modo definitivo e radicale – non più verso la guerra, ma verso la pace: non più verso il crescente squilibrio economico fra nazioni ricche e nazioni povere, ma verso l’abbondanza giusta delle une e delle altre; non più verso la divisione razzista, nazionalista, colonialista, ma verso la convergenza unitiva fra razze e popoli e nazioni di ogni colore e di ogni continente; non più verso la creazione di muri che dividono ma verso la creazione di ponti che unificano”.
In conclusione, procedendo così verso le vette della bellezza di Dio e dell’Amore eterno di Dio, si sarebbe realizzata l’autentica liberazione delle persone e dei popoli. Questa la visione profetica della contestazione globale secondo Giorgio La Pira. A distanza di 50 anni, sappiamo purtroppo che l’utopia della pace universale stenta a proporsi come realtà, mentre la realtà della guerra e della violenza continua a mietere vittime e a terrorizzare il mondo. D’altra parte, subito dopo il ’68 abbiamo constatato con sgomento che molti giovani si sono fatti addomesticare con facilità da quella che allora era l’ideologia dominante, il marxismo, di cui peraltro erano già ben visibili i segni di decadimento per strutturale incapacità di rispondere alle vere esigenze dell’uomo. Tra i risultati più gravi di questo addomesticamento non possiamo non ricordare l’infausta stagione del terrorismo. La società dei consumi che i giovani contestavano non ci mise molto a conquistare molti di loro con le richieste da loro stessi avanzate del “tutto e subito”, che favorì il loro intrappolamento nella rete del consumismo, quello che poi sfociò nella stagione degli Yuppies degli anni ‘80, e della pseudo-liberazione sessuale alla Wilhelm Reich che, perfino ai nostri giorni, l’attrice Catherine Deneuve ha ancora indicato come frontiera e ideale irrinunciabile, anche a costo di subire pesanti avances e molestie da parte degli uomini. Ella ha, infatti, senza mezzi termini legittimato il diritto delle donne di essere sessualmente importunate per preservare i “benefici” dell’irrinunciabile libertà sessuale.
Il rischio di una rivoluzione etica per salvare l’umanità dai pericoli della guerra e dagli squilibri economici elevati a potenza scatenò, dopo il ’68, la reazione, economicamente e politicamente parlando, dei padroni del mondo, i quali, per stornare l’attenzione dei giovani dai mille anni di pace profetizzati da La Pira, si affrettarono ad offrire loro i paradisi artificiali della droga e un simulacro di liberazione sessuale che in realtà era solo una semplice riduzione del sesso a mero oggetto di piacere senza implicazioni di ordine sentimentale e spirituale. Questo il contentino dato alle femministe che gridavano “il ventre è mio e lo gestisco a mio piacimento”? Fu facile offrire loro i rimedi a gravidanze indesiderate grazie ai contraccettivi, all’aborto, “crimine abominevole”, promosso addirittura a diritto umano e prontamente liberalizzato. Per una singolare eterogenesi dei fini, la giusta emancipazione della donna si è trasformata in cosificazione della donna, ridotta a oggetto; il che porta a presumere che la tragica diffusione del femminicidio sia strettamente legata a questa operazione di annientamento di ciò che la figura femminile rappresenta nel disegno di Dio: “In principio, Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Genesi, 26, 27)).
La sostanziale uguaglianza tra uomo e donna, da tutti invocata, in realtà non si è ancora pienamente realizzata, malgrado la testimonianza di Gesù Cristo, malgrado l’art. 3 della Costituzione italiana, malgrado il posto centrale che la figura di Maria, la tota pulchra, detiene nel campo della fede cristiana cattolica. Gli abili burattinai che hanno manipolato la pars construens della Contestazione giovanile, così ben interpretata da Giorgio La Pira, ne hanno realizzato la pars destruens offrendo spazi immensi alla scristianizzazione della società, al secolarismo, all’apostasia di massa, consegnando la società al relativismo etico e al nichilismo, tra i cui figli legittimi riscontriamo l’eutanasia, la fecondazione eterologa in vitro, l’utero in affitto, la clonazione, senza contare le aberrazioni delle ideologie del post-umano e del transumano, che aprono scenari apocalittici per l’avvenire dell’uomo e del mondo. In uno dei messaggi che sarebbe stato trasmesso da Maria a una veggente, leggiamo: “Questa generazione è sprofondata nel disamore, nel libertinaggio morale, nella mancanza di fede, nella decadenza sociale, nell’incongruenza dei concetti e delle norme, nella sfida spirituale, nell’accoglienza di ideologie nefaste, nello stordimento mentale, nella perdita dei valori e nella negazione di Dio. Questi sono alcuni dei modi di mancare di rispetto della Volontà di Dio, sui quali l’uomo costruisce, in ogni ambito, il suo transito terreno ed imposta le relazioni con i propri fratelli e con la Creazione che lo circonda. Figli, l’uomo sta camminando sulla terra, sempre in cerca di qualcos’altro che soddisfi il suo insaziabile appetito, non proprio per il bene, ma per quanto porta ad infrangere la Legge di Dio e degli uomini, per quello che gli procuri dominio sugli altri e la supremazia mondiale. In questo processo, per il solo fatto di desiderare di essere superiore ai propri fratelli, l’uomo sta decadendo e si sta facendo prendere dalla superbia personale, che porta nell’ambiente in cui si muove, avendo il pensiero fisso di essere indipendente e di sottomettere gli altri”.
Non so se sia stata veramente la Madonna a pronunciare queste parole; quello che è certo è che corrispondono in maniera impressionante alla triste realtà della disumanizzazione crescente della persona umana ad opera dei suddetti burattinai. Tutto ciò toglie forse qualcosa alla carica ideale con cui La Pira invitava a prendere coscienza della mutata situazione storica e della necessità di intraprendere il sentiero di Isaia passando dall’inverno dalla schiavitù e del deserto alla primavera della terra promessa? Non è forse vero che il genere umano, oggi in pieno 2018, si trova ancor più che nel ’68 dinanzi ad una scelta apocalittica, finale? Non siamo ancor più che nell’epoca della Contestazione nella necessità di scegliere tra il suicidio della famiglia umana, tra la distruzione del pianeta e la conversione delle armi in aratri? Se così è, è tempo di colmare il ritardo culturale in cui il mondo si dibatte e prendere coscienza dell’inevitabile ed irreversibile migrazione verso civiltà e strutture nuove. Il passaggio di stagione è la via obbligata per la sopravvivenza della vita sulla terra, perché non diventi un deserto desolato. Il pensiero e le intuizioni di La Pira sono ancor poggi, più che in passato, di pressante attualità.
Angelo Fortuna