Ieri ed oggi: dal Colera del 1837 al Covid-19.
Ieri ed oggi: dal Colera del 1837 al Covid-19.
di Giuseppina Calvo
NOTO, 15 Aprile 2020 – Molti aspetti della pandemia da Covid-19 che stiamo vivendo ci riportano alle pandemie del passato: dalle pesti, alla malaria, al colera, alla spagnola del secolo scorso. La diffusione del Coronavirus presenta tante analogie con le pandemie ottocentesche da “Cholera morbus”, il “mostro asiatico” che decimò la popolazione europea. La prima pandemia di Colera fece la sua comparsa in Europa nella prima metà del XIX°sec. Dal 1829, dalla Russia all’Italia, nessuno degli Stati europei fu risparmiato.
In Italia arrivò nel 1835. Da Nizza, allora provincia del Piemonte, il morbo si diffuse dapprima nelle regioni del Nord Italia e ben presto al Centro e Sud Italia. A Giugno 1837 arrivò in Sicilia. Dai primi casi di pescatori a Palermo, il Colera divampò in città estendendosi rapidamente nei grandi e piccoli Centri specie delle fasce costiere.
ASPETTI SANITARI
La malattia era fulminante, l’infezione colpiva l’intestino provocando in poche ore una fortissima disidratazione che riduceva la vittima in fin di vita. L’infezione in Sicilia ebbe la sua fase acuta dalla fine di agosto a tutto ottobre 1837, provocando la morte di oltre 70.000 persone, di cui circa un terzo nella sola Palermo. La medicina appariva disarmata e la diffidenza dei ceti popolari nei medici e nella ospedalizzazione accreditava più i “guaritori” e il conforto dei religiosi e della preghiera che la medicina. Si individuava la causa della malattia nella collera divina, in particolari congiunture astrologiche, in complotti governativi, nell’avvelenamento messo in atto da untori.
La diffusione del Colera ebbe gioco facile in una società più urbanizzata ma drammaticamente arretrata in campo igienico pubblico e privato: sporcizia e rifiuti, sistemi idrici e fognari fatiscenti, problematiche legate al seppellimento dei morti, scarsa attenzione alla igiene personale.
Le disuguaglianze sociali facevano di poveri e indigenti le prime vittime del morbo che trovava terreno fertile in interi quartieri popolari abbandonati alla sporcizia e in corpi mal nutriti e fisicamente deboli. Il Colera mise a dura prova la tenuta del Governo borbonico ed evidenziò in campo medico le difficoltà nella comprensione della malattia (solo nel 1883 Koch ne isolerà il bacillo)e l’inadeguatezza delle politiche sanitarie fino ad allora messe in campo dal Governo.
PROVVEDIMENTI GOVERNATIVI
L’emergenza imponeva il ricorso a misure che limitassero il contagio, così furono prontamente predisposte pulizia delle strade, cordoni sanitari terrestri e marittimi che controllavano in maniera capillare persone e merci, lazzaretti per isolare malati e contagiati.
Il “Magistrato Supremo di Salute pubblica” da Palermo assunse pieni poteri in diverse materie che attenevano alla salute e all’ordine pubblico, mentre in periferia Intendenti e “Deputazioni sanitarie” ne mettevano in atto le disposizioni; quest’ultime, già abolite nel 1820, furono riesumate nel periodo emergenziale per il controllo dei porti, delle navi in contumacia, di cordoni sanitari e lazzaretti. Si susseguiva senza posa l’emanazione di regolamenti e circolari e la stretta messa in atto dal Governo sugli spostamenti, sui commerci, sui controlli di polizia, sulle pene severe per chi infrangesse le disposizioni dei magistrati di sanità, generarono un diffuso malcontento fra la popolazione che sfociò in rivolte popolari e nella conseguente tremenda repressione borbonica.
Nelle città in preda al panico si diffondeva sempre più la tesi dell’avvelenamento, individuando gli untori fra i funzionari borbonici. A Catania e Siracusa la furia popolare venne politicamente incanalata nella lotta per l’indipendenza siciliana. I liberali siracusani aizzarono il popolo contro gli odiati Borboni accusati di diffondere il colera spargendo nottetempo sostanze venefiche nelle acque dei pozzi per decimare i ribelli. Un ruolo di primo piano nella vicenda lo ebbe l’avv. Mario Adorno, autore di un proclama che fece firmare il 21 luglio dal Pancali, Sindaco Patrizio della città di Siracusa, rivolto “ai Confratelli Siciliani” nel quale rivelava i nomi degli untori borbonici. Seguì una sommossa generale e incontrollabile che venne ben presto stroncata con la forza. Per ristabilire l’ordine Re Ferdinando II inviò in Sicilia il Generale Del Carretto a cui furono concessi poteri eccezionali.
Le truppe governative occuparono Siracusa arrestando i rivoltosi; fra questi l’avv. Mario Adorno e il figlio Carmelo, accusati di cospirazione contro lo stato, che il 18 agosto 1837 furono fucilati in Piazza del Duomo a Siracusa. Il colera, da lì a pochi mesi iniziò la sua fase discendente. Il 23 settembre il Generale Del Carretto ordinò la soppressione del cordone sanitario, considerato oramai inutile e di intralcio alle comunicazioni e al commercio; a seguire, il 31 ottobre successivo, cessarono, con decreto di Ferdinando II, gli stessi poteri speciali conferiti al Marchese Del Carretto. Ovvie e ampiamente studiate le conseguenze economiche, demografiche e politiche che l’epidemia di Colera provocò e che aprono un’altra pagina di storia.
NOTO CAPOVALLE
Il Colera e i tumulti antiborbonici dei Siracusani si rivelarono un’occasione da sfruttare per la città di Noto, già Capovalle dall’età araba fino alla riforma del 1819. Noto, nonostante la presenza di alcuni fermenti antiborbonici, si mantenne fedele alla Corona e ciò le consentì di riappropriarsi del titolo di Capovalle che deterrà fino al 1865.
Il Re con decreto del 23 agosto 1837 declassò Siracusa da Capoluogo di Valle a Capoluogo di Circondario a favore di Noto. Da quella data per la città di Noto, grazie ai privilegi propri di un centro governativo, iniziò un periodo di grande rinascita.
Giuseppina Calvo
Archivista Archivio di Stato di Siracusa