Fase 2 e la vera sfida per la ripresa economica- di Nicola Bono
La vera sfida della fase 2 per la ripresa economica
di Nicola Bono
L’avvio il 4 maggio della fase 2 è un momento importante perché non solo costituisce il necessario passo per l’auspicato ritorno alla normalità, ma anche perché solo così potrà essere calcolato il danno reale causato ai vari comparti del sistema economico dal Covid-19 e quindi valutare le misure di ristoro. Non appare infatti conducente la generale pressante richiesta di aiuti economici senza distinguere tra la fase 1 dell’emergenza, che comporta l’assistenza agli infetti e la fornitura di provvidenze e liquidità alla cittadinanza e alle imprese, per assicurarne la capacità di riaprire, e la fase 2 della ripresa economica. La ripresa comporta infatti strumenti diversi, non solo la necessaria quantificazione delle perdite effettive settore per settore, considerato che ci sono comparti dell’economia che non ne hanno subito, ma anche e soprattutto le strategie di intervento, dalle quali sarebbe opportuno escludere ipotesi di provvidenze a pioggia, che non servono certamente a fare sistema, e non fanno neanche onore a chi li concede.
Ma quali strumenti di sostegno ha dato l’Unione Europea fino ad ora in ordine alla pandemia? Prima del 23 aprile aveva già dato con la BCE la disponibilità di circa 3.000 miliardi di € di cui 1120 miliardi, 240 dei quali solo per l’Italia, per contrastare la speculazione sullo spread con l’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi UE in difficoltà, e 1.800 Miliardi di € per finanziare famiglie e imprese con problemi di liquidità, mentre la Commissione UE aveva disposto la sospensione dei limiti imposti dal Patto di Stabilità, che ha consentito al governo di emanare il decreto di marzo “Cura Italia” con 25 Miliardi di € e 350 miliardi di liquidità, il decreto di aprile che ha aumentato la liquidità di altri 400 Miliardi di € per i prestiti con garanzia di stato alle imprese, ed ora il decreto di maggio in preparazione di 55 miliardi di €, che hanno già prodotto alcuni significativi risultati. Nella riunione del 23 aprile, in aggiunta a tali misure, i leader europei hanno approvato la strategia delle quattro azioni a sostegno della ripresa economica dei Paesi Europei consistenti nel Fondo SURE, e cioè una misura per sostenere le indennità di cassa integrazione destinate ai lavoratori, che per l’Italia vale 17 Miliardi di €, i finanziamenti ai progetti d’impresa della BEI, che vale per l’Italia circa 30 miliardi di € e il MES che vale per l’Italia 36 Miliardi di €.
Su quest’ultimo punto fino al 24 aprile alla Camera dei Deputati si sono registrate forti critiche da parte dei gruppi sovranisti, contro una misura che in effetti non presenta alcuna delle problematicità che le vengono a torto imputate. Infatti l’attuale proposta di accesso ai 36 miliardi del MES non riguarda neanche lontanamente l’esperienza della Grecia, e non solo perché è un prestito totalmente privo di condizionalità, a parte il solo obbligo di essere utilizzato per le spese sanitarie, ma perché nei fatti si tratta di un prestito conveniente con cui potere effettuare molte delle spese per migliorare strutturalmente la sanità italiana e dare maggiore sicurezza alla salute dei cittadini anche in futuro. Infatti il presunto rischio MES è una balla spaziale, perché il meccanismo del commissariamento della Troika può scattare solo in presenza della manifesta impossibilità del Paese debitore di restituire le somme ricevute in prestito, quindi di importi tali da evidenziare il rischio di default. Mai potrebbe accadere una cosa del genere per soli 36 Miliardi di €, che costituiscono una cifra insignificante perfino per la Grecia. L’insieme delle misure concesse dall’UE e già approvate il 23 aprile comporta per l’Italia un aiuto complessivo di circa 80 miliardi di €, oltre ai 240 Miliardi della BCE, ma la vera novità è la quarta misura, consistente nella inedita creazione di un fondo che, per impegno della Presidente della Commissione UE Ursula Von der Leyen, dovrà operare nell’ordine di non meno di altri 1.500-2.000 Miliardi di €, di cui almeno 200 Miliardi di € per l’Italia e che conterrà misure sia di credito, che contributi a fondo perduto per la ripresa.
Uno strumento che è quanto di più vicino possa esistere ad un eurobond, chiamato Recovery Fund. Una misura con garanzia della Commissione UE, chiesta dai paesi più in difficoltà, che di fatto è stata accolta all’unanimità, compresa la Signora Merkel, che si è limitata ad osservare l’esigenza di una Europa più omogenea quanto a spese e a tasse, sottintendendo l’opportunità di un maggiore rigore sulla spesa. Ed è questo il punto vero della questione e cioè che il governo passi subito alla urgente definizione delle strategie sia di impiego dei fondi, che di controllo della loro gestione, perché è in procinto di arrivare una massa enorme di risorse per consentire al nostro sistema economico di guarire dai danni della pandemia, ma anche e soprattutto dai vecchi vizi e disfunzioni che ne hanno minato le capacità di crescita virtuosa. Una battuta in voga negli anni novanta paragonava l’economia italiana ad una Ferrari che correva con il freno a mano tirato a causa di una burocrazia, a tutti i livelli istituzionali, che impedisce alla macchina amministrativa di funzionare e che quindi impone due interventi prioritari: la semplificazione massima delle procedure e l’introduzione di controlli efficaci per evitare abusi e illegalità.
Una semplificazione da estendere anche allo strategico sistema del credito, tra i più farraginosi del mondo e responsabile dei ritardi nella concessione della liquidità, malgrado le garanzie statali. E ancora l’esigenza di selezionare un pool di manager con capacità e competenze per fornire alla pubblica amministrazione il supporto per una strategia di utilizzo efficace ed integrale delle risorse per potenziare il sistema produttivo nazionale, a partire dal superamento del gap infrastrutturale, tecnologico e digitale del Paese. Questi alcuni esempi non esaustivi delle possibili finalizzazioni delle risorse, per far sì che l’Italia non perda l’appuntamento per invertire la tendenza al declino. Solo così l’Italia, dopo trent’anni di stentata crescita del PIL alla media dell’1% l’anno, a causa delle sciagurate politiche clientelari adottate dai vari governi, potrà finalmente rimuovere quel freno a mano tirato e riprendere liberamente la sua corsa e riconquistare tutti i primati che le sue oggettive capacità le consentiranno, in linea con le più forti economie d’Europa e del mondo.
On. Nicola Bono
già Sottosegretario al Ministero per i BB.AA.CC.
NOTA BENE:
L’articolo di cui sopra è stato pubblicato, fra gli altri, anche dal quotidiano LA SICILIA del 7 Aprile u.s. qui in: https://bit.ly/2YJFJ86