Nicola Arduino: il pittore “copiato” e …”cancellato” dalla Cattedrale di Noto!
Chi era Nicola Arduino:
il pittore “copiato e …cancellato”
dalla Cattedrale di Noto!
di Maria Luisa Arduino
PREMESSA – Quando sono nata mio padre aveva cinquant’anni: una vita dietro le spalle. Io, come tutti i giovani con un’esistenza davanti a sé, non davo molta importanza al passato e mi pareva che papà dovesse essere sempre stato cosi come l’avevo conosciuto. Quando mi raccontava di fatti e persone del suo passato io li collocavo inconsciamente in un tempo indefinito, senza collegarlo al momento presente. Il ricordo che mi ha lasciato, è stato più quello del pittore che del padre e dell’uomo. Pensando a lui lo rivedevo nel suo studio con la bella testa di capelli bianchi l’espressione energica e serena mentre dipingeva ascoltando musica.
Ora, dopo tanti anni che non c’è più e anch’io ho una vita dietro le spalle, il tempo ha assunto per me una diversa dimensione e, la sua figura, invece di allontanarsi nel ricordo si è sempre più avvicinata fino a divenire una presenza costante nella mia vita. Così, quando ho iniziato a riordinare i suoi lavori sono affiorati anche i ricordi, nelle sue lunghe lettere alla famiglia scritte da Buenos Aires e dalla trincea della Grande Guerra, nelle piccole agende con minute annotazioni di spese, impegni, pensieri, nelle vecchie fotografie logore e ingiallite, ho ritrovato gli avvenimenti e le persone di cui raccontava e che avevano a poco a poco formato l’uomo che era diventato mio padre.
D’anno in anno, a ritroso, ho ripercorso il cammino della sua vita fino ad arrivare ad un ragazzo di sedici anni che, nel lontano 1903, dalla piccola Grugliasco andò a Torino ad iscriversi all’Accademia Albertina delle Belle Arti perché voleva fare il pittore.
Traggo da:
http://www.nicolarduino.it/arduino07it/01biografia1.htm
alcune delle notizie più importanti sulla vita e sulle opere di mio Padre:
<< Intorno al 1880, la famiglia Bertier da Chambery nell’Alta Savoia, si trasferisce a Grugliasco vicino a Torino con la giovane Celestina, che qui incontra e sposa appena diciottenne Carlo Arduino.
Il 6 agosto 1887 nasce il secondo dei loro sei figli: Nicola Arduino.
Ancora ragazzino Nicola aiuta il nonno paterno e il padre nel lavoro di decoratore. L’impresa famigliare di decorazione, senza lavoro nei mesi invernali, non dava certo un gran benessere alla numerosa famiglia ma, nella piccola Grugliasco li chiamavano “famija real”, tanto mamma Celestina riusciva sempre a farli uscire ben vestiti e tenere con molto decoro una piccola graziosa casa nel vecchio centro accanto alla Chiesa. Una famiglia molto unita e nonostante le difficoltà economiche, anche spensierata, dove tutti amavano molto la musica (a volte si recavano al teatro Regio a Torino fin dal mattino per assicurarsi un posto in loggione!) La mamma, una figura importante nella sua giovinezza, per un particolare feeling che li univa, poi un ricordo dolce e forte che lo accompagnerà tutta la vita.
E, da quel piccolo caldo nido avrà inizio la sua avventura di uomo e di artista, quando, nel 1903, il richiamo irresistibile della pittura gli farà affrontare a sedici anni la non facile decisione di iscriversi all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Saranno nove anni (per una fortunata combinazione sempre sotto la guida del Maestro Giacomo Grosso) nei quali, fin dall’inizio, ebbe medaglie, borse di studio, viaggi premio nelle principali città d’arte che confermeranno a lui e alla famiglia che quella era stata la decisione giusta. La vincita della medaglia d’oro alla fine del sesto anno (come miglior allievo) gli consente l’uso di uno studio personale per altri tre anni di perfezionamento nell’Accademia stessa, proprio accanto a quello del Maestro, con il quale avrà così modo di approfondire una sincera ed affettuosa amicizia.
Nel 1911 espone per la prima volta alla Promotrice delle Belle Arti a Torino con il quadro “La cicala”: la critica è lusinghiera e l’acquisto dell’opera da parte di un collezionista genovese gli consente di comprare un biglietto di prima classe per Buenos Aires sulla nave Regina Elena e seguire così il Maestro Grosso che lo aveva invitato ad andare con lui in Argentina.
Durante la traversata scoprì il lusso della prima classe a cui non era certamente abituato ma…anche il mal di mare che però non gli impedì di eseguire qualche ritratto, di fermare in rapide impressioni i bagliori di uno spettacolare tramonto all’equatore e anche a volte di esibirsi con il suo violino, strumento che amava suonare e portava sempre con sé insieme ai pennelli.
Nella ricca Buenos Aires del primo Novecento approdavano artisti europei di consolidata fama e naturalmente di età matura così, questo pittore ancora tanto giovane e già tanto bravo suscitò subito interesse e ammirazione nell’ambiente dell’alta borghesia dove l’aveva introdotto il suo Maestro. E’ facile seguirlo in questi anni dalle lunghe lettere che scriveva quotidianamente alla sua famiglia, con la quale sentiva il bisogno di condividere tutte le emozioni. >>
Aprì uno studio ed iniziò un brillante periodo di affermazione professionale con ritratti a persone importanti e facoltose e di intensa vita sociale sempre invitato a prime teatrali, cene e ricevimenti, dove ebbe modo di conoscere personaggi di passaggio a Buenos Aires come il grande Arturo Toscanini e l’attrice Tina Di Lorenzo, finché decise di tornare per qualche tempo in Italia per rivedere la famiglia. Partì con un biglietto di andata e ritorno, per il suo rientro a Buenos Aires aveva in programma la sua prima mostra personale. Era l’anno 1914, nel cielo politico europeo si stavano addensando grosse nubi e mentre attendeva una schiarita gli eventi precipitarono e invece di tornare a Buenos Aires partì per il fronte della Grande Guerra ! Come già per il periodo argentino, anche per questi durissimi anni sono le sue numerosissime lettere alla famiglia che ci raccontano una guerra vista e combattuta da un pittore.
Arruolato come soldato disegnatore, di notte aveva il compito di avvicinarsi alle linee nemiche per disegnarne le postazioni belliche mentre nei momenti di pausa lasciava la trincea e nelle retrovie riprendeva i pennelli per ritrarre generali o compagni d’armi, lo scorcio di un paesaggio e perfino qualche fiore quasi a testimoniare che la vita e la bellezza erano più forti della distruzione e degli orrori della guerra.
Fu congedato nel 1919. Non tornò più in Argentina; aprì un bellissimo studio nel cuore di Torino: dal grande terrazzo sui tetti la vista della cupola del Guarini, palazzo Madama e come sfondo le morbide curve delle colline…fu il luogo che sicuramente ha più amato, non solo uno studio ma forse anche un isola felice nella quale continuò a dipingere secondo la sua sensibilità senza seguire le nuove correnti che dopo la fine della guerra avevano monopolizzato la critica ufficiale ed il panorama artistico. Non fu una scelta facile, ma fu certamente una scelta “ d’amore”.
La sua carriera proseguì come ritrattista sempre ricercato e apprezzato, con una vasta attività di cavalletto: paesaggi e nature morte, fino a quando nel 1922 il maestro affreschista Achille Casanova lo chiamò ad affiancarlo nei grandi dipinti che doveva eseguire nella Basilica del Santo a Padova. Così, come un cerchio che si chiude, eccolo di nuovo davanti a dei muri, muri che, poco più che bambino aveva imparato dal nonno a dipingere con le raffinate volute delle decorazioni liberty ed ora davano inizio alla sua prolifica attività di affreschista. Accanto alla pittura da cavalletto incomincia ora la lunga serie di affreschi in chiese, palazzi pubblici e dimore private in tutte le città italiane.
Intorno al 1930 arrivò a Savona per eseguire un affresco nella chiesa di san Giovanni, ma aveva sbagliato le misure dei disegni preparatori che erano molto grandi, per consentirgli di rifarli sul posto gli misero a disposizione un terrazzo che confinava con un altro terrazzo dove abitava la giovane Amelia Masciolino … si sposarono tre anni dopo..! “Mi sono sposato per un errore…”amava dire, scherzando, in realtà, furono una coppia di ferro per più di quarant’anni!
Realizzato nella sua attività, approdato ormai cinquantenne nella sicurezza affettiva di una famiglia la sua vita sembrava incamminata nel più felice dei modi, ma, dopo pochi anni la Seconda Guerra Mondiale ne scardinò di nuovo progetti e serenità.
La notte dell’Immacolata del 1942 un bombardamento distrusse il suo bellissimo studio e la sua abitazione con tutto quanto in essi contenuto: restarono con gli abiti che avevano addosso. Ma, quella stessa triste mattina lui andò subito a ricomprarsi colori e pennelli come un giovane studente di belle speranze; a cinquantacinque anni il suo entusiasmo e la sua passione non erano stati distrutti, dipingere era la sua vita e lui avrebbe dipinto sempre e comunque nelle difficoltà e nei disagi dello sfollamento per poi ritornare a Torino alla fine della guerra e… RICOMINCIARE!
Non c’erano difficoltà che potessero scoraggiarlo quando dipingeva non sentiva fatica, per questo riuscì a ricoprire di affreschi centinaia di metri quadrati di pareti e volte, arrampicandosi su ponteggi altissimi fino ad ottanta anni. Poi, per riposare, camminava per campagne, montagne e spiagge “a caccia” diceva lui, di soggetti da dipingere. Divoratore infaticabile di libri, passava a volte gran parte della notte a leggere, amante di ogni forma di spettacolo seguì tutta la vita teatro, cinema e poi anche la televisione. La tecnica, il progresso lo affascinavano: all’inizio del 1900 fu tra i primi a comperarsi una radio a galena e…moltissimi anni dopo, guardando alla televisione la discesa del primo uomo sulla luna, ricordò con grande emozione, quando ragazzino in Piazza d’Armi a Torino si sdraiava per terra per poter vedere di quanto i fratelli Wright sarebbero riusciti (tempo permettendo) ad alzarsi in volo!
Il suo studio sempre molto spazioso, illuminato da un ampio lucernario rigorosamente esposto a Nord, da cui dosava la luce con sapienti giochi di tende chiare e scure, era aperto ad allievi, pittori, modelle, amici, chi veniva per un ritratto o per vedere quadri o semplicemente per fare un saluto, si dipingeva tutti insieme, ascoltando musica e parlando di mille argomenti.
Alle cinque, immancabilmente veniva servito il tè, una consuetudine che Amelia Masciolino aveva portato dall’Inghilterra dove aveva studiato alcuni anni. Era un uomo aperto che stava bene con la gente e la gente stava bene con lui. Così è stato fino all’ultimo giorno di vita: il 17 aprile 1974.
Maria Luisa Arduino
1) – FINE DELLA PRIMA PUNTATA A CURA DI BIAGIO IACONO