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“Pirandello …jettatore? di Enzo Papa

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“Pirandello …jettatore? di Enzo Papa

PIRANDELLO  JETTATORE ?

di  Enzo  Papa

Corrado Sofia mi raccontava che quando al Caffè Aragno entrava Pirandello, gli “amici” della famosa terza saletta, si toccavano perché era entrato l’”innominabile”, il cui nome non doveva pronunciarsi perché portava jella. Era certamente uno scherzoso atteggiamento, ma in fondo non tanto scherzoso, perché nei confronti di Pirandello quella comarca di intellettuali di stanza all’Aragno nutriva sì stima, ma anche invidia. Del resto Pirandello non era un frequentatore assiduo, era piuttosto un solitario, non passava serate e nottate a sparlare in quella sorta di “università”, come Sofia definiva la terza saletta con i suoi stabili avventori. Antonio Aniante racconta che “rari erano i suoi incontri nei ritrovi del centro; di tanto in tanto lo si vedeva entrare da Aragno per via delle Convertite, riuscire immediatamente sul Corso o viceversa, dopo aver dato un rapido sguardo nella grande sala ove il suo debitore non si faceva mai trovare”.

Erano quei malevoli invidiosi a far credere che egli portasse jella anche solo a nominarlo, magari nel tentativo di sminuirne il valore letterario. Del resto, dicevano quelle malelingue, nessuno meglio di lui avrebbe potuto scrivere “La patente, identificando Rosario Chiàrchiaro, il protagonista della novella e dell’atto unico con lo stesso autore. E non l’ha scritto lui quel “mistero profano” che è “All’uscita”? E poi, perché portava appeso al panciotto quell’amuleto col teschio di metallo?

Probabilmente ne era convinto anche Vitaliano Brancati che in un articolo su “Il Tempo” dell’8 marzo 1948, poi in “Il borghese e l’immensità”, scrive:” Basta gettare uno sguardo sulle fotografie di Pirandello per vedere com’egli tenesse alla sua espressione diabolica. Raramente l’obiettivo riusciva a scattare prima che egli, con un’alzata di sopracciglio, mettesse nel proprio viso un’aria infernale. In alcune fotografie si vede un Pirandello seduto e arruffato che scrive a macchina quello che un Pirandello ritto in piedi e maligno gli detta con l’indice teso”. E ancora: “Negli ultimi anni, parlando di un suo poema autobiografico, disse che la sua opera letteraria era la sua “vendetta”. Si attribuiva a cuor leggero una missione di malignità e ne parlava a voce alta”.

Non sembra essere da meno Leonardo Sciascia che alla voce “Spiriti, Spiritismo” nel suo “Pirandello dall’A alla Z” ha scritto: “E da questo punto è ormai chiaro che i personaggi di Pirandello sono anche “ombre”, sono anche “spiriti”, sono anche pensionati della memoria”; e si potrebbe anche dire che sono, in rispondenza al sentire popolare, “anime del purgatorio” che allo scrittore chiedono riscatto. E sono molti i luoghi, nell’opera di Pirandello, cui possiamo riferirci a dimostrazione della somiglianza tra fantasia e “comunicazioni spiritiche”; ma si pensi soprattutto ai “Sei personaggi”, alla loro apparizione, all’apparizione di madama Pace; e alla giusta soluzione scenica che se ne diede alla prima rappresentazione parigina, facendoli ascendere dal profondo, dagli inferi”. E Lietta, la figlia, non aveva scritto al padre, tra il serio e il faceto:” Non c’è mai da fidarsi, di certi pizzetti mefistofelici e certi occhi puntutissimi”?

Racconta Corrado Alvaro nella prefazione al primo volume delle Novelle per un anno: “Una mattina, quella mattina, m’ero levato presto e sentimmo con mia moglie uno schianto in casa, come un mobile che si spacca pel caldo; cercammo dappertutto, non si era rotto niente, non era caduto niente. Qualche minuto dopo, una voce piangente al telefono ci diceva che Pirandello era morto qualche momento prima. Fummo sicuri che quello schianto era stato un suo avviso, come se avesse picchiato forte a chissà quale porta. Chi telefonava era la sua nuora Olinda, con la voce del pianto che non si conosce mai nelle persone”. Appare certamente non di poco conto quanto accadde ad Alvaro, ma c’è da crederci. Qualcuno ha anche avanzato l’ipotesi, ironizzando, che era piuttosto Alvaro ad avere poteri soprannaturali.

Fatto sta che Pirandello prima di morire, cosa veramente strana e incomprensibile, si fece portare il libro delle firme dei visitatori e firmò per primo, in cima alla pagina, il suo stesso libro funebre, che si può vedere in mostra nella casa museo del Caos. Che voleva significare? Perché quella stranezza? A ben riflettere, l’anno della morte, il 1936, era un anno bisestile. Non si dice che l’anno bisestile porta jella? Anno bisesto, anno funesto! Chissà!

C’è poi la famosa disavventura delle sue ceneri; una storia che sembra scritta proprio da lui “post mortem”. Si sa che Pirandello volle farsi cremare e che l’urna che conteneva le ceneri venne deposta nel cimitero del Verano e lì dimenticata. Si fece fatica a ritrovarla dieci anni dopo, quando si trattò del trasferimento ad Agrigento. Famoso restò il viaggio in treno, la cui cassetta che conteneva l’urna servì da tavolino ad alcuni passeggeri per giocare a “Tressette col morto”. Pare poi che non tutte le ceneri vennero riversate nel cilindro di piombo inserito nella “rozza pietra” sotto il famoso pino, perché al momento del trasferimento un improvviso e strano soffio di vento ne fece volar via una parte, avverandosi così la volontà di Pirandello che voleva le sue ceneri sparse al vento. E c’è di più. Quando si pensò di fare il DNA delle ceneri rimaste attaccate nella parte interna del vaso greco che le aveva contenute, ci si accorse che quelle ceneri, incredibilmente, non appartenevano tutte alla stessa persona. Ma non era stato lui a scrivere, quasi profeticamente, che siamo tutti “Uno, nessuno e centomila”?

Enzo Papa

NOTA BENE: Questo articolo è apparso il  4 agosto 2021

su “La Sicilia” di Catania che ringraziamo per la collaborazione.

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