Noto: presentato “Susiti Babbasuna” di Corrada Spataro.
PRESENTAZIONE di
“SUSITI BABBASUNA – Costrette o custodite “
di Cettina Raudino
In “Susiti Babbasuna” di Corrada Spataro emerge la ricca e vibrante interiorità d’una poetica artistica e socio-letteraria che, nel valorizzare il Mondo delle Donne, ne testimonia tutta la forte e grande attualità.B.Iacono
NOTO, 20 Marzo 2022 – Si nasce per caso in un luogo, per caso se ne assorbono gli umori presenti e le memorie passate con involontario respiro. Si nasce per caso uomo o donna in un certo luogo, ma può capitare che quel caso diventi destino, o che almeno quel caso il destino lo plasmi e lo orienti, vi dia spinta evolutiva e che, con la compenetrazione empatica di chi ha condiviso uno stesso luogo, anche se in un altro tempo, se ne intercetti le voci, quelle sussurrate o messe a tacere dalla cultura prevalente e ci si trovi ad un certo punto, quasi a voler assolvere ad un inevitabile compito, a desiderare di pagare un debito di riconoscenza verso chi non può o non ha potuto parlare. Nascendo donna, può capitare di sentire l’impellenza di dare con la scrittura nuova vita a quelle storie oscuramente pulsanti di donne dimenticate, che hanno pagato con la costrizione o con la protezione che paralizza, (il malinteso senso del custodire) la loro ribellione o il loro desiderio di vivere scegliendo autonomamente per sé. E’ questo che spinge Corrada Spataro a risalire l’anonima verticalità del tempo, ad arrampicarsi attraverso genealogie femminili immemori per riformulare nuove identità, quasi un senso di gratitudine che la spinge a ripercorrere a ritroso percorsi migratori che uniscono terre e donne, a connettere le microstorie alla macroStoria, il frammento alla cornice complessiva e dare nuova prospettiva storica a fenomeni che come rivoli, erroneamente ritenuti secondari, hanno portato acqua nel grande mare della Storia. La finzione narrativa colma le zone d’ombra e infittisce di trame di parole, lacrime e pensieri quei silenzi non altrimenti registrati in nessun archivio. Ricostruisce l’immaginario individuale di Rita, Assuntina, Marietta, Sarina, Teresa, ‘Nzina, Lucia, Marguerite, Sarah, Marisa, Giulia partendo dall’immaginario collettivo, dal Novecento in su fino al Medioevo, attingendo dai ricordi personali, dalle tracce documentali, dalle letture dotte, dalle suggestioni storiche, dalle confessioni raccolte sulle ginocchia delle sarte, delle vicine di casa, delle zie e delle nonne. Pensieri, gesti, sentimenti trovano dignità di ricordo, nascono dal bisogno di riscatto per fare giustizia e pace con una Storia vergata da mano maschile che non solo le ha cancellate dall’ufficialità dei grandi eventi che si leggono solo nero su bianco sui libri, ma che anche nega loro una storia individuale, perché ne inghiotte la volontà e la libertà di autodeterminarsi (come nel caso di Marisa e Giulia), lasciandole irrisolte e piene di rimpianti.
L’opera di Corrada Spataro si ascrive a quel genere narrativo di letteratura al femminile, fra la prosa narrativa e la diaristica, che vuole sensibilizzare sull’esperienza di genere in una società patriarcale, accendere il riflettore sulle minoranze, fondendo esperienza storica ad esperienza individuale. Il vissuto personale viene anche descritto non solo nella sua componente fortemente emotiva, ma anche come prodotto sociale, l’io individualizzato lascia il posto ad una dimensione transpersonale: l’influenza della sociologia o dell’etnografia si sente. ( v. Il treno di Marisa; La casa di Giulia; Le mie isole)
BREVI NOTE DI ANALSI STILISTICA – La narrazione non è lineare, a volte il piano della realtà oggettiva dei fatti diventa sfondo, allusione sottintesa, si stacca dalla scrittura e va in penombra per dare risalto ad altro, a ciò che sta dietro e molto più spesso dentro. Il linguaggio, metaforico crea immagini anche ardite e talora, soprattutto nella prima parte pecca forse di eccessi di aggettivazione, mentre nella seconda parte si matura e si scolpisce, facendosi più snello e sobrio. Il ricorso al dialetto è frequente. La fabula è quasi costantemente interrotta da un io narrante che si sofferma sugli stati d’animo, apre digressioni descrittive, paesaggistiche o storiche, calca la mano sui moti interiori e sulle sensazioni minute e impalpabili che abbondano e che costituiscono il vero, fitto tessuto narrativo. Il silenzio muto di secoli si effonde ampio e voluttuoso finalmente libero di raccontarsi senza più condizionamenti o catene.
TEMATICHE – Cattura subito l’interesse, la cura che l’autrice dedica all’articolata titolatura che struttura la raccolta, ogni capitolo ci ricorda che sono STORIE DIMENTICATE (di donne senza storia), ed è questo il fil rouge che lega donne appartenenti a generazioni, dimensioni spazio-temporali diverse, culture diverse, geografie lontane, e che ci conduce al cuore del tema: la condizione della donna, il suo doloroso percorso alla conquista di sé. Corrada Spataro si sofferma su quegli apparenti passaggi a vuoto, su quelle vite anonime, fatte di rinuncia, silenzio, sottomissione, perdita. Esplorato ampiamente il tema dell’emarginazione di genere sociale e culturale nella Sicilia della prima metà del Novecento la sua subordinazione alla cultura patriarcale incarnata dalle figure maschili familiari, padre, marito, fratello, castranti e censuranti, il suo ruolo e il prezzo pagato nei grandi processi migratori del Novecento. Il confronto intergenerazionale negli anni ’60 e ’70 è un’altra particolare angolazione che trova spazio soprattutto nella prima parte, Le mie isole. Il titolo stesso (Le mie isole) ci suggerisce l’immagine della sponda, ci porta entro il confine, sul crinale del passaggio quasi iniziatico fra passato e presente. Un’insularità posseduta quando è identità rivendicata e un’insularità che possiede quando è isolamento e marginalità. Insularità anche come possibilità di νόστος di ritorno ad un’Itaca della memoria familiare a cui la giovane e inquieta Rita, italoamericana di terza generazione, approda per incontrare una se stessa sconosciuta e ascoltare con gratitudine la storia di tutte le donne che l’hanno preceduta e che, affinché lei possa godere oggi del diritto ad una libertà senza confini, hanno silenziosamente negato i propri, rinunciandovi, cancellate così dalla storia ufficiale. Il racconto procede con la tecnica delle scatole cinesi, una storia dentro l’altra, una donna che porta ad un’altra.
Ogni donna è definita poi attraverso il suo viscerale rapporto con i luoghi, che siano le isole dal vento profumato, un quartiere popolare chiuso nella sua arcaica liturgia quotidiana, un chiostro silenzioso o la terra dura delle colline piemontesi. Quelle storie Corrada vuole riscattare e salvare dall’oblio della memoria, dal mai detto, dando loro nuova vita e dignità, perché LA MEMORIA E’ RINASCENZA.
Nella seconda parte, La veste di Sarah si esprime la volontà di dialogare con la Storia dando spazio ad un altro grande tema quasi ignorato dalla cultura ufficiale: quello delle mistiche nel Medioevo ed in particolare si accendono i riflettori sul fenomeno del beghinaggio e sulla condizione della donna in questa epoca. Nell’Altomedioevo il Cristianesimo riprende e rinforza in una prospettiva teologica, la tradizione misogina già viva nella cultura giudaica e greco-romana. Il peccato originale, che è di per sé un peccato di orgoglio intellettuale ( di hybris), viene trasformato nel Medioevo in peccato sessuale e la donna ed il corpo, da Eva alle streghe, diventano luoghi diabolici, la peggiore incarnazione del male (J. Le Goff). La donna nel Medioevo non ha una fisionomia propria e riesce a liberarsi dal dominio maschile solo attraverso la castità o rinchiudendosi nel chiostro. Qui impara a scrivere e miniare i codici. Come ben ricostruito dagli autori Luperini e Cataldi nella loro Storia della Letteratura italiana, le cose cambiano nel XII secolo con l’avvento della cavalleria in Francia, l’affermazione della letteratura in volgare che mette in crisi l’egemonia ecclesiastica sulla cultura e porta all’affermazione della teoria dell’amor cortese che divulga una concezione positiva della donna e dell’amore, ma ancora un processo di forte idealizzazione. La donna, pur presenza dominante nella letteratura laica in volgare nei secoli XIII e XIV, lo è solo come destinataria: nessuna donna riesce ad affermarsi come scrittrice se non Compiuta Donzella la cui identità è ancora sconosciuta.
Sembra un paradosso ma in realtà è solo un’apparente contraddizione. La donna nella lirica d’amore è una figura fortemente simbolica costruita solo a misura dell’immaginario maschile. Esiste un divario molto grande fra questa presenza massiccia della donna nella letteratura e la sua incidenza molto marginale nella realtà storica del tempo. Indubbiamente fra il XII ed il XIV secolo la donna comincia ad affermarsi: nell’aristocrazia acquista il diritto di eredità e proprietà, mentre nei ceti artigianali e mercantili avvia attività in proprio. Non entra nelle corporazioni, solo raramente ne ha accesso. Ma a differenza della donna della società cortese in Provenza, resta esclusa dalla gestione del potere e dalla cultura. Il mercante scrittore della metà del XIV sec. Paolo di Certaldo nel suo “Libro dei buoni costumi” dà questi precetti sull’educazione della donna: “ E s’ella è fanciulla femmina, polla a cucire, e none a leggere, se già no la volessi fare monaca. Se la vuoli fare monaca, mettila nel monistero anzi ch’abbia la malizia di conoscere la vanità del mondo e là entro imparerà a leggere”. Imparare a leggere è inutile e pericoloso, la donna può istruirsi solo al riparo delle mura del chiostro. Alcune donne dei ceti più elevati sapevano scrivere ed hanno certamente scritto. Perciò l’unico spazio fino al Cinquecento in cui si afferma la voce femminile è quello della cultura ecclesiastica, sia del convento (ricordiamo Ildegarda di Bingen) sia del laicato religioso. “La fede, l’incontro con l’Anima, con Dio diventa la sola conquista di libertà prima terrena e quindi o poi celeste. Le mistiche dimostrano che era possibile una vita autentica e libera dal potere politico-religioso degli uomini perché ogni essere umano poteva innalzarsi ad un grado notevole di perfezione grazie alla conoscenza di sé.” Attraverso l’esperienza mistica anche la donna acquista il diritto ad accedere alla perfezione e santità. La santità delle donne fa paura, corre sempre il rischio di sconfinare nell’eresia o nella stregoneria, perciò la mistica va vigilata. La vicenda di Marguerite La Porete, è la prova di quanto espresso. La teologa del XII secolo, autrice de Lo specchio delle anime semplici, verrà portata al rogo da Guillaume Humbert, il grande inquisitore perché giudicata dalla ortodossia ecclesiastica come falsa profetessa. Lo Specchio venne considerato come una delle principali fonti dell’eresia del libero spirito. Il passo dall’eresia alla stregoneria è brevissimo. Cos’altro poteva essere Marguerite se non una strega?
Accanto al fenomeno delle mistiche, custodite nel privato dei monasteri, Corrada Spataro accosta quello di una forma di laicato religioso, pubblico, che si diffuse nelle Fiandre, in Belgio ed in Francia a partire dal XII secolo: il beghinaggio. Oggi la parola beghina va a designare una donna bigotta e dalla mentalità fortemente ristretta ed è interessante ancora una volta osservare come il linguaggio abbia conservato un’impronta culturale maschile, come una concezione maschile si sia proiettata nell’universo femminile. La storia della calabrotta Marisa, ne Il treno di Marisa, apre invece uno scenario inquietante sui matrimoni per procura e sul sacrificio di sé che a causa della povertà fecero molte donne meridionali nel dopoguerra andando in spose, come vera e propria merce di scambio, ai contadini delle Langhe, nella terra di Pavese. Era questa una terra allora molto arretrata e attraverso la storia di Marisa si denuncia l’inganno mistificatorio del grande Nord evoluto che invece, nella vita reale di questi territori, mostra un volto duro e spietato. Qui, in pieno boom economico quando le fabbriche cominciano a rappresentare un’alternativa di vita più dignitosa e redditizia, in assenza di donne e giovani che non volevano più continuare a lavorare la terra perché questa condizione le assimilava a tutti gli effetti a bestie da soma, dall’altrettanto povero e arretrato Sud partono giovani donne che recideranno il legame con la terra, gli affetti e la cultura d’origine, ultime fra gli ultimi. Anche quello di Marisa è un ritorno al paese di origine, la Calabria, che le permette di riscrivere la propria storia, di costruire cambiamenti, realizzare alternative e trasferire alla giovane nipote Sabrina il proprio bagaglio di esperienza, aiutandola a divenire una donna libera e forte.
Con l’ultimo racconto, La casa di Giulia, ritorna la malia del cunto. Siamo in un quartiere popolare, in un dedalo di viuzze dove ogni casa si appoggia all’altra, ne ruba segreti e sospiri, dove il destino delle donne è immobile e già scritto. In una rete di vicinato che custodisce e costringe cresce nella seconda metà degli anni ’60 la protagonista, Giulia. Studiare è un lusso ed una stravaganza, dire una parola incauta è compromettere il proprio destino. Nessuna alleanza fra donne ma anzi un microcosmo asfissiante fatto di relazioni crudeli e grette. Questa è una storia vera.
Cettina Raudino
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NOTA BENE: Di Corrada Spataro, in questo giornale, puoi integralmente leggere “La casa di Giulia” e “Il tempo delle attese” cliccando:
http://www.valdinotomagazine.it/sito/2020/09/la-casa-di-giulia-un-racconto-di-corrada-spataro/
http://www.valdinotomagazine.it/sito/2015/05/il-tempo-delle-attese-di-corrada-sapataro/
Le foto della serata sono tutte di
Nuzzo Monello, che ringraziamo per la collaborazione.