“Sul filo”: un libro di Grazia Maria Schirinà “…camminando in equilibrio”.
“Sul filo” un libro di Grazia Maria Schirina’
“…camminando in equilibrio”
Si può camminare in equilibrio su un filo con la sola capacità mentale? L’Autrice grazie anche all’utilizzo nel testo di uno stile lucido e molto agile, coinvolgerà il lettore con la narrazione di eventi straordinari al limite della spiegazione scientifica, vissuti durante il suo stato di degenza per aver contratto il virus del CoVID-19.
“Si tratta di un argomento per lo più ancora sconosciuto, che da qualche tempo abbiamo iniziato a studiare, nel tentativo di rendere più fisiologico il sonno che induciamo attraverso la sedazione. Sentire raccontare questi momenti, che noi medici abbiamo sempre considerato come uno stato di come, è sicuramente molto interessante e allo stesso tempo utile alla ricerca. Avere informazioni direttamente dal paziente sugli effetti della sedazione è un contributo decisamente interessante e degno di attenzione”. (dalla Prefazione di G. Pedrotti)
“In ogni caso, l’interpretazione di tutta la vicenda narrata nel volume ci offre due possibilità, anzi forse molte di più. L’esito della malattia e del dolore può essere frutto della capacità dell’uomo di affrontare con la scienza i problemi che la natura gli pone. In tal caso bisogna ringraziare chi ci ha preceduto negli studi della malattia e chi ci ha curato nei giorni della degenza. Potremmo concludere che abbiamo beneficiato dell’opera di molti e che dobbiamo a loro un grande ringraziamento. L’imponderabile è dovuto al Caso, a situazioni che si sono combinate in maniera che noi non soccombessimo e siamo stati fortunati perché il Caso ci ha risparmiati. È un essere, il Caso? È combinazione fortuita di situazioni? È qualcosa che a noi non è dato di governare? Ci sentiamo in balia degli eventi contro i quali non è possibile combattere e dipendiamo da qualcuno o qualcosa che si prende gioco di noi come vuole?” (dalla Postfazione di don G. Pianta)
Prefazione al libro
di Giovanni Pedrotti
Ho letto con grande interesse e talvolta anche con commozione la narrativa della Prof.ssa Schirinà riguardante il periodo del suo ricovero nel reparto di Terapia Intensiva; in qualche passaggio sono stato talmente coinvolto nel racconto al punto da immedesimarmi completamente e rivedere con i miei occhi quanto ella racconta. Con interesse e con commozione per tre ragioni. Innanzitutto, la professoressa è stata degente nel nostro reparto a causa del CoViD nel pieno della pandemia, quando, per far fronte all’elevato numero di ricoveri, abbiamo dovuto trasformare le sale operatorie in reparti di terapia intensiva, e solo così abbiamo avuto spazio sufficiente per accogliere e curare tutti i pazienti. Inoltre, per noi anestesisti-rianimatori, che abbiamo quotidianamente a che fare con pazienti sospesi tra la vita e la morte (che cerchiamo di combattere e vincere), tra la veglia e il sonno (che noi stessi procuriamo), sentire raccontare quanto sognato durante i periodi di sedazione e le sensazioni che il paziente percepisce nei momenti in cui non è completamente cosciente, non è cosa di tutti i giorni. Infine la capacità di pensiero e di scrivere dell’autrice ha creato un racconto piacevole in cui tutto ciò che fa parte del sogno e tutto quello che appartiene al reale viene descritto in modo chiaro e, per certi aspetti, con particolare lucidità.
Il racconto è collocato temporalmente nella primavera del 2021, quando il numero di pazienti ricoverati era ancora elevato, erano ormai terminate le vaccinazioni del personale sanitario e si iniziava a vaccinare il resto della popolazione, dando la priorità ai più anziani. Un periodo che non dimenticherò mai! Mai nella mia esperienza di medico avevo vissuto un periodo così difficile e per certi aspetti drammatico; la pandemia da CoViD-19 è stata, ed è tuttora, un’emergenza sociale oltre che sanitaria e questo ha contribuito a rendere ancora più difficile il lavoro e la nostra esistenza. Tutti noi, medici, infermieri e operatori sanitari, siamo stati catapultati in un mondo surreale, nel quale tutte le conoscenze e le certezze acquisite in anni di studio e lavoro, da un momento all’altro, sono venute meno. Mi è tutt’ora difficile fare ordine in questo periodo. Abbiamo vissuto in un tempo sospeso, in certi momenti sembrava che tutto scorresse velocissimo e il tempo non bastasse, in altri tutto era rallentato, come se il tempo non passasse mai. Ancora oggi, dopo quasi due anni dall’inizio della pandemia, non è chiaro quando potrà essere messa una vera fine a questa immane tragedia. Come non commuoversi leggendo queste pagine che raccontano, seppure in modo originale, questo particolare momento del nostro lavoro e della nostra vita? Come non emozionarsi sentendo i racconti di chi sta dall’altra parte; di chi, da paziente, racconta i difficili momenti della degenza in terapia intensiva a causa del CoViD, degenza che, per molti, troppi, non è servita a salvare la vita? Nessuno di noi era preparato ad accettare che persone sostanzialmente sane o con patologie lievi entrassero in terapia intensiva e non uscissero vive. Molti operatori sanitari hanno vissuto con grande disagio l’impossibilità di garantire a pazienti e famigliari di poter scegliere con chi condividere gli ultimi istanti della loro vita. Per tutti la consapevolezza che i pazienti ricoverati in terapia intensiva hanno la possibilità di soffrire meno grazie alla sedazione, perché i ricordi della terapia intensiva talvolta sono angoscianti.
Si tratta di un argomento per lo più ancora sconosciuto, che da qualche tempo abbiamo iniziato a studiare, nel tentativo di rendere sempre più fisiologico il sonno che induciamo attraverso la sedazione. Sentire raccontare questi momenti, che noi medici abbiamo sempre considerato come uno stato di coma, è sicuramente molto interessante e allo stesso tempo utile.
Nella recente letteratura scientifica appaiono continuamente nuovi lavori che cercano di evidenziare i pro e i contro della sedazione dei pazienti in terapia intensiva; l’obiettivo è studiare, capire e individuare il miglior sistema per garantire ai pazienti il sollievo dalla sofferenza, senza incidere negativamente sul mantenimento, in primis, delle funzioni vitali (quella neurologica, quella respiratoria e quella cardiocircolatoria).
Avere informazioni direttamente dal paziente sugli effetti di tale sedazione è un contributo decisamente interessante, che noi professionisti non possiamo farci sfuggire. La professoressa Schirinà, con il suo stile letterario lineare ma molto espressivo e ricco di particolari, è riuscita a raccontarci quello che la sua mente ha elaborato durante il periodo di degenza in terapia intensiva, nel quale, per garantire adeguati livelli di confort, è stata sottoposta a diversi livelli di sedazione. Per noi anestesisti non è comune leggere il racconto di ciò che il paziente ha percepito, anche sotto forma di sogno, durante i periodi di sedazione. Anche di questo va il merito alla narrazione.
Un grazie sincero da parte mia e di tutti i collaboratori, che da questo racconto potranno trarre importanti elementi di riflessione riguardo l’attività della mente dei pazienti sottoposti a sedazione; come molti erroneamente continuano a credere, in quei momenti le funzioni cognitive non sono completamente assenti. Mi auguro che questo racconto abbia la diffusione che merita e possa indurre qualche ripensamento in tutte quelle persone che ancora oggi, dopo due anni dall’inizio della pandemia, difficilmente riconoscono e comprendono le grosse sofferenze che, a causa del CoViD, i pazienti e i loro cari hanno vissuto.
Giovanni Pedrotti
Direttore Anestesia e Rianimazione Ospedale di ROVERETO (TN)
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UNA STORIA
Postfazione di Giancarlo Pianta
Dal mese di febbraio 2020 tutti viviamo in un incubo che a volte sembra svanire per ridarci la serenità; a volte sembra occupato da nubi si fanno più dense e ci fanno temere che tornino per tutti giorni di dolore e angoscia. Anche adesso, di fronte a una situazione che potrebbe dirsi più serena per la scoperta di un vaccino che ci immunizza, ci troviamo a dover contestare chi per ragioni varie rende il nostro futuro e la nostra convivenza più dolorosa e carica di preoccupazione. La situazione di incubo ci ha costretti tutti per giorni e giorni in casa, privati della nostra consueta libertà di spostamento e obbligati a mutare a volte radicalmente le nostre abitudini. Ci erano proibite le visite, le passeggiate, le gioie degli incontri, perfino le nostre devozioni e l’espressione della nostra fede.
Le storie più terribili sono state quelle che hanno vissuto coloro che hanno avuto parenti in ospedale, ai quali non era possibile far visita e che si potevano contattare solo per telefono, a secondo della disponibilità del personale infermieristico, per altro sottoposto a un lavoro massacrante. Conosco molte di queste storie che non sono finite bene e conosco i parenti con i quali non ci è stato possibile altro che celebrare, in sordina e in pochi, le esequie. Il ricordo dei cari che se erano andati in silenzio, senza il conforto di una mano amica, è tuttora fonte di angoscia e di sogni allarmanti.
La storia di Grazia Maria, fortunatamente non ha avuto questo esito: dopo giorni ed esperienze di angoscia, ha potuto ritrovare la sua vita consueta e i suoi cari. Dico vita consueta, ma segnata dall’esperienza dei giorni tremendi dell’ospedalizzazione che lascerà per sempre un ricordo e un segno indelebile.
Lo scritto che ci ha consegnato è la narrazione di questa esperienza che ha coinvolto lei, i suoi familiari e la cerchia di amici con i quali conduceva vita tranquilla. Un ciclone li ha travolti e questa è la narrazione, in prima persona di questa disgrazia, conclusasi positivamente.
E qui abbiamo il racconto dell’esperienza su due livelli: quello della narrazione oggettiva di ciò che è accaduto e quello onirico che fa da interpretazione soggettiva e per certi aspetti angosciante di quanto è accaduto.
La narrazione oggettiva segue l’incedere temporale degli eventi: malattia, ricovero, peggioramento, cure sempre legate a un filo, personale disponibile, medici pazienti e esperti professionalmente, amici preoccupati, familiari angosciati per quanto di peggio possa succedere. E’ la storia di giorni di angoscia, vissuti da coloro che erano accanto a Grazia Maria: lei ha ricostruito questa esperienza dal suo punto di vista e dal letto dell’ospedale.
Nel suo caso la scienza ha fatto il suo corso, è riuscita a far sì che Grazia Maria passasse nel tunnel della malattia e della sofferenza e ne uscisse liberata, dopo aver superato le prove terribili che l’hanno portata vicino alla fine. Gli uomini del XX secolo, a differenza di quanto avveniva anche solo un secolo fa, hanno circuito il male, l’hanno definito e hanno trovato il rimedio, impedendo che il virus avesse il sopravvento e designasse la fine della vita. Le capacità dell’uomo non sono infinite, ma sono grandi; la tecnologia medica è in grado oggi di affrontare molte situazioni che, anche solo nel passato recente, sarebbero state una sconfitta. Il credente deve dar lode a Dio per queste capacità che egli ha raggiunto con il suo studio e la sua applicazione; anche il non credente deve dar merito a tutti i sacrifici, alle giornate passate nella ricerca di quanto poteva far fare anche solo piccoli passi verso la identificazione della strada della salvezza.
In questa ricerca siamo su una via che ci porterà sempre più lontano, anche se le mutazioni della natura e quelle che l’uomo ha causato ci daranno sempre nuovi problemi e grattacapi da affrontare e risolvere. Noi abbiamo goduto della ricerca di coloro che ci hanno preceduto, i nostri figli godranno della nostra saggezza nel non compromettere definitivamente il mondo nel quale viviamo e usufruiranno di quanto abbiamo saputo definire e scoprire. Il mondo naturale è lì, noi vi siamo immersi; non è né buono né cattivo, qualche volta ci è favorevole, qualche volta è “madre maligna” quando si oppone alla nostra salute e al nostro benessere. Non lo fa di proposito: sono eventi naturali che leggi naturali guidano e governano, a nostro vantaggio o svantaggio. Certo più che mai, con Leopardi, possiamo dire di essere signori della natura e suoi schiavi. A lei certo non importa di noi!
Altra cosa è dare significato a quello che ci capita, trovare un senso a quello che ci coinvolge con il trascorrere dei giorni. Siamo gli unici esseri viventi che si chiedono perché ci capitano alcune cose e quale significato possiamo dare agli eventi positivi o negativi dei quali è riempita la nostra vita.
Siamo gli unici esseri viventi che si chiedono il perché del dolore e della gioia, che sanno stabilire delle relazioni di amore duraturo con altri viventi e siamo capaci, a volte, di sacrificare la nostra vita per queste persone.
“Pietro, che mi guardava da lontano, si avvicinò alla fine emozionatissimo, per dirmi che era contento per me, che avevo ricevuto un così importante miracolo e dunque una vita nuova da vivere”. Così scrive l’autrice, commentando quella vicenda che l’aveva portata alle soglie della morte e dalla quale ne era uscita: per miracolo e benevolenza di Dio? Oppure per i meriti dei medici e degli infermieri che l’avevano curata?
Il dietologo, una delle persone che la protagonista incontra nella sua vicenda di dolore, quasi alle fine del tunnel, si rivolge a lei con queste parole: “Pensi a trarre da questa esperienza l’insegnamento di godere della sua vita, di questa vita che le stata ridata, perché lei era considerata spacciata e invece è qua. Approfitti di questa nuova opportunità di vita e faccia quello che può, per cambiare in meglio, quello che prima non andava”.
L’interpretazione di tutta la vicenda ci offre due possibilità, anzi forse molte di più. L’esito della malattia e del dolore può essere frutto della capacità dell’uomo di affrontare con la scienza i problemi che la natura gli pone. In tal caso bisogna ringraziare chi ci ha preceduto negli studi della malattia e chi ci ha curato nei giorni della degenza. Potremmo concludere che abbiamo beneficiato dell’opera di molti e che dobbiamo a loro un grande ringraziamento. L’imponderabile è dovuto al Caso, a situazioni che si sono combinate in maniera che noi non soccombessimo e siamo stati fortunati perché il Caso ci ha risparmiati.
È un essere, il Caso? È combinazione fortuita di situazioni? È qualcosa che a noi non è dato di governare? Ci sentiamo in balia degli eventi contro i quali non è possibile combattere e dipendiamo da qualcuno o qualcosa che si prende gioco di noi come vuole?
Certo: può essere vero. Ma l’autrice della storia e protagonista della vicenda si appella più volte a Qualcuno che l’ha graziata e che, con sogni o manifestazioni, si è fatto carico di mostrarle la sua vicinanza e la volontà di non consegnarla alla morte.
Quante “Dio-incidenze” l’autrice ha saputo trovare nella sua vicenda! Ecco un’altra interpretazione. L’autrice non ha dubbi: la sua sofferenza, la sofferenza che ha causato a molti suoi congiunti, doveva avere un significato e trovare risposta nella volontà di questo Dio che faceva coincidere tutti i tasselli della sua vicenda e non l’ha abbandonata alla morte.
E qui spunta la parola “miracolo” che suggella tutto e trova nella volontà di Dio una spiegazione. Non lo si può escludere, ma non lo si può dare come evento scientifico.
Ecco la bellezza della vita: ognuno dà un suo significato a quello che accade e ognuno trova in esso un percorso che dia una spiegazione. Al credente l’ha insegnato Cristo, il primo che ha letto la sua storia nel segno della vicinanza di Dio che non l’ha abbandonato a ciò che gli uomini avevano decretato per lui. Lui ha scelto di vivere la sua vita nel segno dell’impegno, confidando in suo Padre che lo ha riconsegnato alla vita: la risurrezione.
Ma tutto questo è leggibile nel segno della scienza? Credo di no.
Ma la nostra vita può essere leggibile solo nel segno della scienza? Certamente no: ogni uomo in fondo si “affida”, chi a qualcosa, chi a qualcuno.
Dentro queste letture noi troviamo un significato per le nostre vite; la saggezza ci aiuta a non demonizzare chi interpreta la vita in maniera diversa dalla nostra e così diventiamo capaci di arricchirci a vicenda: credenti o no. Per questo ci confrontiamo e siamo felici che tutta la nostra vita sia sempre costellata da domande e non ci tranquillizziamo nelle risposte trovate, sempre provvisorie.
24 novembre 2021 – Giancarlo Pianta
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GRAZIA MARIA SCHIRINA‘ è nata il 9 febbraio del 1951 ad Avola, dove vive e ha insegnato latino e greco nel Liceo Classico Statale “E.Majorana”. Specialista in Studi sul Dramma antico, è tra i soci fondatori dell’associazione “Amici dell’INDA”, dell’Associazione di Cultura Classica, AICC, sez. di Avola e dell’Associazione culturale “Gli Avolesi nel Mondo”, della quale è attualmente presidente e responsabile del periodico omonimo, che viene diffuso in tutto il mondo.
Studiosa di storia locale, ha al suo attivo la pubblicazione e la curatela di:
- Santa Venera in Avola. Appunti per una storia di Parrocchia
- Note di critica letteraria all’opera di Giuseppe Schirinà
- Omaggio a Santa Venera
- Per un’introduzione alla scrittura di Giuseppe Schirinà
- Audi quo rem deducamopera postuma dello scrittore Giuseppe Schirinà
- L’avola racconta
- Tra pubblico e privato opera prima di Gaetano Munafò
- Inedita
- L’invito delle campane
- La risacca
- Sul filo (onirica e memoria).
Ha tradotto in dialetto siciliano e pubblicato per il Liceo Classico della sua città Antigone di Sofocle, di cui ha curato la regia della rappresentazione al teatro greco di Palazzolo Acreide. Con quest’opera ha anche portato alla vittoria il gruppo teatrale nella rassegna di CinemAvola per il Giffoni Film Festival 2008. Quale referente del progetto “Teatro a scuola”, ha curato la riduzione e la messa in scena di svariate opere, tra cui “Rudens” di Plauto, “Lisistrata” di Aristofane, “Cyrano” di Rostand, “Spoon River” di Lee Masters, “L’avaro” di Molière…
Vincitrice di concorsi letterari, ha pubblicato varie raccolte di poesie inserite in altrettante antologie. Suoi articoli di storia, arte e artisti locali, si trovano in riviste specialistiche, in cataloghi degli autori e in volumi di poesia e narrativa, anche come introduzione alla lettura o come postfazione. Ha ricevuto targhe e riconoscimenti pubblici, tra cui il “Premio Proserpina” assegnato per i meriti culturali dall’Associazione di promozione culturale dei Siciliani nel Mondo “Napoleone Colajanni” a Caravaggio. Si è fatta patrocinatrice di arte e cultura nel territorio siracusano, proponendo incontri, mostre, rassegne, concorsi, eventi culturali di notevole spessore.
A Siracusa, dal 29 marzo al 6 aprile 2003, ha patrocinato la mostra del Pittore delle sabbie, Franco Tiralongo, presso la Cripta del Collegio, e, ai Mulini spagnoli, ha collaborato a una mostra di attrezzature della tradizione contadina per la vendemmia e la produzione del vino, Prima della luce. Dall’uva al vino prima dell’avvento dell’elettricità.
Sabato 10 settembre 2022 le è stato conferito a Noto il riconoscimento per meriti culturali in occasione della manifestazione E…state in poesia 11° Recital Itinerante di Poesia in siciliano e in lingua italiana.