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“Sulla Rifondazione di Noto ed Avola…” di Francesca Gringeri Pantano

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“Sulla Rifondazione di Noto ed Avola…” di Francesca Gringeri Pantano

Perché Noto fu rifondata su terre del Marchese di Avola e progettata dallo stesso Architetto della “Città Esagonale”?

di Francesca Gringeri Pantano

Su mia richiesta alla Presidente dell’Associazione AVOLESI NEL MONDO abbiamo ottenuto il fascicolo dell’omonima Rivista,ancora in distribuzione cartacea dallo scorso mese di Dicembre 2024  Anno XXV n.2 (55), contenente l’INSERTO della prof.ssa Francesca Gringeri Pantano che qui riproduciamo solo nell’Incipit della prima pagina. I Lettori che vogliano esaminarlo integralmente si rivolgano alla Presidente dell’Associazione prof.ssa Grazia Maria Schirinà telefonando al n°349.6025909.  Biagio Iacono

  

   L’antica Noto, situata sull’altopiano ibleo, nel rialto del Monte Alveria, e circondata da poderose fortificazioni, l’11 gennaio 1693, intorno alle 14:15, fu distrutta – con le altre città del Val di Noto, fra le quali Avola – da un terremoto orribile e spaventoso.

 Nella città rovinarono parti delle mura, crollarono le cinquantasei chiese, le diciannove strutture conventuali e i sontuosi ed alti palagi. Da oltre mille a quattromila, riferiscono le cronache del tempo, furono le persone rimaste sepolte fra le macerie per il crollo degli edifici. I sopravvissuti, sparsasi voce che l’intero monte sarebbe sprofondato, in preda al terrore si rifugiarono nelle campagne e nelle grotte dei dintorni, ma gente scelerata ne approfittò, per appropriarsi di quanto rinveniva fra le rovine. Un primo consulto dei notabili avvenne il 15 febbraio. Si propose di conservare l’antico sito, riunire le popolazioni fuori le mura e avviare i lavori di sgombero, ma la diversa opinione di più giurati rimandò la decisione, per cui si attese l’inviato del Viceré di Sicilia.

   Come addetto alla ricostruzione delle città demaniali (per le feudali la riedificazione dipendeva dai feudatari) giunse a Noto, nella qualità di Vicario Generale – sostandovi dal 24 febbraio al 9 marzo – Giuseppe Lanza, duca di Camastra. Al suo arrivo questi vide una mon-tagna di pietre abbandonate, ma fu del parere di doversi riedificare nello stesso sito la città; ciò in sintonia con le direttive ricevute dal Viceré, mirate a impedire, per ragioni militari e soprattutto economiche, quali le costose mura di fortificazione, nuovi insediamenti urbani in prossimità del mare. Il Consiglio Civico, convocato il 27 febbraio, non accolse all’unanimità l’indicazione del Camastra, e da subito si costituirono fazioni pro o contro la riedificazione in un luogo diverso dall’originario.

   Prevalse con forza l’idea di abbandonare l’atavico suolo e di avvicinarsi alla costa. Si avanzarono più proposte, fra le quali Vendicari, in prossimità della Torre, l’area della greca Eloro, la piana innanzi Madonna della Marina; ma la decisione consensuale dei convocati si raggiunse sul cosiddetto fego delli Meti, che dai colli iblei si estendeva fino al sottostante fiume Asinaro. Effettuatosi in esso un sopralluogo, al Duca piacque solamente, per adeguarsi alla volontà vicereale e per l’assonanza topografica con l’antico sito, la sommità pianeggiante del colle denominata Pianazzo, luogo distante quasi otto km dal distrutto abitato e poco meno dalla costa. Una scelta, quella del colle delli Meti, che ha posto e pone molti interrogativi, perché sia il Pianazzo, dove fu ricostruita la “parte alta” della nuova Noto, sia il pendio del colle, dove poco dopo si progettò la “parte bassa” della città, erano proprietà del Marchese di Avola.

   Terre delli Meti: già dello Stato di Avola nel 1398 e concesse in enfiteusi dal 1606. Avola nel 1361 era stata infeudata, come baronia, a Orlando d’Aragona, figlio naturale del re di Sicilia Federico III. Nel 1530 la città ebbe il titolo di Marchesato. Gli Aragona di Avola, per contratti matrimoniali si cognominarono nel 1513 Aragona Tagliavia e dal 1639 Pignatelli Aragona Cortès. Il governo della città lo ebbero per circa cinque secoli, ovvero fino al 1812, quando in Sicilia fu abolita la feudalità, ma si protrasse, per i beni allodiali, quasi fino all’Unità d’Italia.

   Nel territorio di Noto la tenuta delli Meti, di circa cinquanta salme e nei documenti denominata anche Stagliata et Meti di Coffitella, era parte del feudo Falconara, di complessive salme 3497. Quest’ultimo, insieme coi feudi di Frammedica e Laufi, pur ricadendo nel territorio di Noto, apparteneva ai feudatari di Avola. Dalle ricerche che ho compiuto nell’archivio privato dei Pignatelli Aragona Cortès, depositato presso l’Archivio di Stato di Napoli, emerge che i suddetti feudi, nel 1398, erano già membri dello Stato di Avola.

   Tale appartenenza fu cementata dalla sentenza del 9 giugno 1471, emanata dal Tribunale del Regio Concistoro di Palermo, che li dichiarò – erano stati rivendicati dagli eredi di Antonio Caruso, barone di Spaccaforno (Ispica) – spettanti al barone di Avola, Gaspare d’Aragona (1483) e ai suoi eredi. Nel 1598 fu la Marchesa di Avola, Maria de Marinis (1542 c.-1616) – vedova di Giovanni II d’Aragona Tagliavia (1548-1577) – che, assieme al figlio ed erede universale Carlo II (1604),  si diresse in Magna Curia, affinché dai vari possessori abusivi fossero restituiti al Marchesato di Avola terre e vigne dei feudi in questione. Il possesso indebito di alcune di queste terre, fra le quali «la stagliata et Meti di Coffitella, perdurava ancora nel 1606. …

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Rifondazione Noto Avola INCIPIT

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