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“Prefazione all’Opera di Nuzzo Monello” di Vincenzo Piccione d’Avola.  

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“Prefazione all’Opera di Nuzzo Monello” di Vincenzo Piccione d’Avola.  

Prefazione all’Opera

di Nuzzo Monello  

 di Vincenzo Piccione d’Avola

Premessa

Nel 1973 ero un giovane di 21 anni, ed ero ritornato ad Avola da qualche mese dal servizio militare e nelle mie quotidiane uscite in paese, attraversando a Ciazza (piazza Umberto I), mi accorsi che nel nascente Museo Civico, allocato a quel tempo nel palazzetto neoclassico ex Ufficio del Registro (sito dell’ex Chiesa di San Sebastiano), vidi al balcone sul portone la gigantografia “Le Lumache”, e nelle due grandi ante spalancate, era apposta la locandina che invitava a visitare la Prima Mostra di Gigantografie Le Maschere”su immagini di ispirazione avolese di un certo Nuzzo Monello (dicembre 1973 – gennaio 1974). Questo nome non mi veniva nuovo, anche perché un lontano ricordo di fanciullezza mi faceva inquadrare il Monello (classe 1946) nell’associazione sportiva cattolica “Stella Maris”, fondata nel territorio della Chiesa Madre di Avola da un vulcanico e zelante sacerdote, Don Antonio Frasca, arciprete di Avola dal  1943. La mostra di gigantografie avolesi del Monello era davvero una novità per la città di Avola, in me, giovane studente universitario di filosofia a Catania, suscitò un grande interesse e, nei giorni d’apertura (dicembre 1973), ebbi a soffermarmi più volte a contemplare le belle gigantografie del Monello, tanto che non resistetti a chiedere all’autore il dono di una locandina, recante l’immagine di una di quelle gigantografie “Lumache, i crastuna”, che conservai gelosamente nel mio studio-archivio nella mia casa di Avola in via Napoli. Il mio incontro con la passione fotografica del Monello risvegliò in me la medesima  passione, un po’ sopita da tempo, ripresi allora in mano la mia macchinetta fotografica Kodak Eastmantich, donata a mio Padre da una fabbrica di scarpe, per continuare a coltivare e a sperimentarmi col magico occhio fotografico.

Così, da quel mio incontro sublime e di gran fascino con la fotografia di Nuzzo Monello ebbi modo di dar fondo ed esercitare al meglio quella mia passione sopita per la fotografia, che in verità mi trascinavo sin dalla mia prima adolescenza. Trascorsero parecchi anni quando ebbi modo di incontrare di nuovo nel Palazzo Municipale della Città di Tremestieri Etneo (Catania) il prof. Nuzzo Monello in occasione della premiazione di un suo volume “Appunti sul Territorio montano di Noto” (1991), candidato nel Premio Regionale di Storia e Tradizioni Locali “Historiae Siciliae” dell’Opera Internazionale Praesepium Historiae Ars Populi, da me fondata in Geraci Siculo nel 1987.

Allora correva l’anno 1992, e fu proprio in quella sede della cerimonia di premiazione del Premio Historiae Siciliae del Congresso Nazionale Eventus Praesepium Meeting 1992, che rivangai al prof. Nuzzo Monello il mio ricordo di quella Mostra avolese di Gigantografie del 1973 e lo sollecitai a produrre il catalogo delle fotografie gigantografiche di quella fortunata manifestazione di cultura avolese. Anche in questa vicenda ne è passata acqua sotto i ponti del nostro Vallo di Noto, ben 23 anni, infatti, solo ora, nel 2025, vede la luce il mio sollecitato catalogo della Prima Mostra Gigantografica sul tema “Le maschere”, raccolta di 62 gigantografie in bianco/nero, opere di Nuzzo Monello.

In verità, dobbiamo subito aggiungere al nostro discorso, che la Mostra del Monello del 1973 fu un punto d’arrivo e, al tempo stesso, un punto di ripartenza, perché il Nostro si era già nel 1972 sperimentato parecchio e diligentemente nella sua Libera Attività Complementare (LAC), come zelante ed entusiasta giovanissimo insegnante presso la Scuola Media Statale “Giovanni Aurispa” di Noto, anche sotto i benevoli auspici e incoraggiamenti della compianta Preside del tempo, la prof.ssa Antonietta Coco. In quella esperienza netina d’insegnamento LAC, il Monello, quale provetto pioniere della fotografia, seppe coinvolgere ed entusiasmare gli alunni di quella scuola media fino alla realizzazione della Prima Mostra Fotografica sui Monumenti di Noto. Passano gli anni e nel 1977 la passione  fotografica  per immagini eloquenti di luoghi del cuore e gesti umani di vita è all’attenzione di un importante evento di cultura, il Simposio sull’Architettura di Noto, celebrato dal 13 al 20 novembre 1977 nel cuore di Noto, città simbolo della ricostruzione barocca del Vallo di Noto dopo il sisma catastrofico del 1693; in quell’assise d’alta cultura vengono esposti all’attenzione dei convegnisti gli artistici elaborati fotografici del Monello sui monumenti netini, raccogliendo lusinghiere approvazioni e qualificati apprezzamenti.

La fotografia di Nuzzo Monello

Compiuta la doverosa premessa a questa prefazione all’opera-catalogo della fotografia di Nuzzo Monello mi inoltro nella mia prefazione-riflessione critica sulla operosità del Nostro. L’Opera si apre con una foto del 1952 (di un ignoto fotografo dell’epoca), che coglie quasi a sorpresa l’immagine di un ragazzino tra i quattro, forse cinque anni, accovacciato quasi in bilico sul ciglio di una ringhiera di balcone, nel suo piccolo volto si legge in modo chiaro uno sguardo disincantato che si perde nell’infinito.

È il piccolo Nuzzo Monello arrampicato nel balcone della sua casa natia posta in via Cirenaica ad Avola; il suo innocente sguardo proiettato in lontananza lascia in un certo senso ora presagire tutto quanto oggi stiamo apprezzando e celebrando.

Le immagini fotografiche del Monello e le radici dell’etnografia.

Il volume del Monello si può definire opera di fotografia etnografica, che vede la luce nella città di Avola negli anni della seconda metà del Novecento (1973).

Non è per me azzardato dire che quest’opera fotografica di Nuzzo Monello è, prima di tutto, un contributo di considerevole valore segnico e concettuale all’interno della nostra tradizione siciliana e, in senso lato italiana, di studi demologici, e, quindi, all’area disciplinare specifica e consolidata dell’antropologia visiva. A mio parere il suo rilievo consiste in primo luogo nella saldatura che il Monello compie, in modo del tutto spontaneo, fra oggetti e soggetti visivi fotografati di studio propri alla disciplina in senso globale (mi riferisco al concetto di fotografia antropologica in Boas, Malinowski, Griaule, Mead e Bateson) ad altri aspetti poi inerenti alla storia etnografica italiana (mi riferisco al concetto di fotografia etnografica in Loria, Corso e Boccassino).

Ma la saldatura non avviene solo nell’accomunare in una stessa struttura visivo- espositiva questa casistica disciplinare etno-antropologica, che può, a volte, apparire diversa in senso areale e storico, cioè dal rischio che le immagini fotografiche si stacchino troppo dal reale e dalla contingenza storica, di cui in realtà devono essere latrici.

Essa consta anche nel fatto che il Monello fa valere in tutto il suo percorso analitico di studio e ricerca fotografica, sapientemente descritto nella sua opera a corredo delle immagini fotografiche, alcuni attributi propri di quella antropologia squisitamente “in stile italiano”, su cui io ho avuto più volte modo anch’io di soffermarmi in alcuni miei scritti in mie opere pubblicate.

Si tratta, a conti fatti, di un posizionamento preciso riguardo ai fondamentali della disciplina della fotografia demologica, che è, allo stesso tempo, riconosciuto come il nucleo di una eredità scientifica storicamente comprovata e formata, oltre ad essere una modalità del tutto attuale e viva di operare nella ricerca etnoantropologica. Pertanto, il saggio sulle immagini fotografiche prodotte dal Nostro, secondo una mia attenta analisi critica, si basano in modo stretto e originale su una letteratura dei costumi di popolo e di assetti urbani della tradizione, assai densa e ben controllata da rigoroso spirito scientifico, espressa magistralmente dall’Autore in altre sue opere precedentemente pubblicate. Il lavoro di Nuzzo Monello rientra, pertanto, a pieno titolo nel filone dei saggi su Renato Boccassino, Lamberto Loria e Raffaele Corso, che scandagliano gli inizi dell’esperienza italiana di fotografia etnografica.

La questione euristica che sta alla base del volume-catalogo del Nostro è quello della conoscenza antropologica oltre la parola, della posizione effettiva della sensorialità – in questo caso della visione – nel sistema cognitivo del ricercatore e di come la disciplina etnografica, nel corso del tempo, abbia sviluppato e abbia reso cosciente a sé stessa il significato dell’uso di immagini fotografiche, per restituire l’osservazione sul campo visivo anche con sfumature liriche d’alta poesia.

Al riguardo, quanto affermato da noi, si legge in modo chiaro in queste opere fotografiche del Monello:

  • Canne al vento
  • Il mito della Ninfa Siringa
  • Il mandorlo in fiore
  • La fornace “a carcara”
  • Mare vecchio di Avola: la tonnara e “a logghia” (la loggia)
  • Vendicari
  • La via solita del carrettiere
  • Le lumache
  • Uva: “a racina ri preula”
  • Quartieri popolari di Noto: vita e contesti
  • Maschere (fotografia tematica della Mostra avolese di Gigantografie)

All’esame attento dell’opera presente, penso che i tratti fondanti del saggio di Nuzzo Monello sono:

        a) – una filologia dei suoi primi percorsi di etnografia fotografica;

   b) – il dipanarsi nel suo scritto di emozioni visive corredate da una riflessione sulla fotografia, colta come strumento di conoscenza antropologica di reperti della cultura materiale, dei luoghi natii e di altri aspetti di tradizioni e costumi popolari, oltre alla caparbia attenzione ad emergenze del territorio ibleo urbano, suburbano ed agricolo. Monello inizia la sua indagine rilevando il carattere fondante attribuito allo sguardo e all’osservazione, che poi ha saputo trasmettere ai suoi allievi nelle sue esperienze di insegnamento scolastico LAC, sperimentando pioneristicamente con quelle giovani generazioni la bellezza storico-artistico-monumentale del Barocco di Noto nella fotografia: Prima Mostra Fotografica sui Monumenti di Noto, ad opera del Gruppo Fotografia della Scuola Media Statale “Giovanni Aurispa” di Noto, 30 maggio 1972.

 Immagini  del   ‘reale   vissuto’. Ambiti   e   incontri   visivi   etnografici   e antropologici.

È chiaro che al Monello interessava, in quel tempo, sondare soprattutto il lascito di una etnografia visiva post-risorgimentale, che vuole assurgere ai motivi ispiratori di tutta la letteratura meridionalistica, sviluppatasi dopo l’Unità d’Italia (1860-1861) attorno alle problematiche della Questione meridionale.

Lasciati alle spalle i presupposti per una critica oggettivante e frutto diretto di uno sguardo sugli errori e le ingiustizie delle classi egemoni nella prima metà del‘900, con lo scritto e la fotografia del Monello si entra nel grande e articolato mondo della fotografia come esperienza di socialità, di collaborazioni e incontri di vita (rif: immagini fotografiche: Quartieri popolari di Noto: vita e contesti).

A questo focus fotografico Monelliano se ne lega un altro, quello del rapporto fra la fotografia, le esposizioni e gli allestimenti di sapore museale di “quadri di vita e di paese” e la circolazione delle immagini per fini di elicitazione, cioè l’arte del provocare e del tirar fuori comportamenti e risposte in situazioni di intervista socio-etnografica e di lavoro di campo sociologico, così come possiamo rilevare nella raccolta fotografica di immagini di luoghi avolesi, netini e in genere del territorio ibleo-jonico, e ancora, come esempio emblematico, la suddivisione delle classi sociali in piazza Umberto I di Avola a Ciazza, il quartino dei braccianti, il quartino dei mediatori e proprietari, il quartino dei professionisti.

Gli ambiti di ricerca fotografica del Monello, a un esame attento dell’opera, sono sette e sono questi qui appresso elencati con le immagini fotografiche di riferimento:

a) – la cultura materiale rappresentata nelle seguenti opere fotografiche:

– le maschere (un elmetto tedesco fessurato da proiettile dell’ultima guerra mondiale (1939-1945) e una maschera tribale carnescialesca, illuminati ad effetto da una fiammella di  lumera)

–  la fornace “a carcara”

–  la carbonaia “a fossa ro crauni”

–  la via, la solita del carrettiere: il ritorno dal lavoro al calare del sole, vintinura (i tipici muri a secco lungo la via campestre)

–  il ricovero serale delle galline sotto il cassone del carretto

–  paramenti, bardature d’animali da soma: armigghi

–  A coffa ra scecca, borse intrecciate di fibre di agave per contenere l’alimento dell’animale da traino

–  Stalla di campagna con mangiatoia, a mangiatura.

b) – i ritratti di tipi fisici rappresentati nelle seguenti opere fotografiche:

– Quartieri popolari di Noto, vita e contesti: Rammendo “a signura Juvara” Noto 1973, (popolana netina che seduta sull’uscio di casa cuce una calza);

– Corrada, Vendicari 1973;

– Nuzzo Monello (con una serpe tra le mani), fondo Mosche;

– Bimbi: Paolo e Marisa, pensieri infantili, Noto 1973.

c) – le cerimonie rappresentate nelle seguenti opere fotografiche:

– Noto Anni ‘60: in attesa della sposa per il matrimonio presso la Chiesa di Sant’Antonio Abate a Noto

d) – i segni e i luoghi della Storia culta rappresentati nelle seguenti opere fotografiche:

– la Chiesa Madre di Avola in piazza Umberto I (1973)

– il Dolmen Ciancio (territorio archeologico di Avola 1973)

– Noto 1972, San Michele Arcangelo, antica statua collocata nell’omonima Chiesa nel Cassaro di Noto, oggi custodita in una delle cappelle laterali della Basilica Cattedrale di San Nicolò in Noto.

e) – le classi sociali e i luoghi delle antiche tradizioni di lavoro rappresentati nelle seguenti opere fotografiche:

– Avola a ciazza, piazza Umberto I, il quartino dei braccianti (1973)

– Avola a ciazza, piazza Umberto I, il quartino dei proprietari terrieri, dei mediatori, dei commercianti r degli imprenditori (1973)

– Avola a ciazza, piazza Umberto I, il quartino dei professionisti (1973)

– il caricatoio di Vendicari e i ruderi dell’ex tonnara visti dalla spiaggia

– Mare vecchio di Avola: la tonnara e “a logghia” (la loggia)

f) – il mito, la natura, gli animali, le esperienze e le umane emozioni rappresentati nelle seguenti opere fotografiche:

– il mito della ninfa Siringa

– Canne al vento, Arundo donax L., canna domestica, canna comune

– Mandorlo in controluce lunare e solare (1972)

– le lumache: cesto di canne e verghe di ulivo o di carrubo intrecciate, i crastuna

–  la chiocciola nell’atto di elevare il proprio peso, ‘u ntuppateddu, uva, racina ri preula

 Vendicari 1972, vista dall’interno della tenda canadese (2°campeggio)

– Esperienze fotografiche di Vendicari 1972:

– Vendicari prima della solarizzazione dell’emulsione di stampa;

– Vendicari solarizzazione della emulsione di stampa;

– Vendicari, disegni dell’Arc Giuseppe Monello (1970)

g) – siti d’epoca e contesti urbani popolari rappresentati nelle seguenti opere fotografiche:

– Scorci netini 1973:

– quartiere del Cianazzu (Piano Alto di Noto), cortile

 – quartiere Mannarazzi, cortile

– quartiere Agghiastreddu. Cortile con ingresso a portale in pietra bianca iblea in via Vincenzo Scarrozza

– cortili interni alle case con ingresso a portale aperto in pietra bianca iblea (n.3 soggetti fotografici)

– Edicola votiva su testata d’angolo in casa d’epoca nel quartiere Agghiastreddu, in via Vincenzo Scarrozza.

Le foto, cui abbiamo fatto cenno, mostrano in tutta verità e nella realtà visiva una grande attenzione ad aspetti prossemici e cinesici. La fotografia, in effetti, è e rimane una comunicazione non verbale, pur nella gestualità del tempo e dello spazio e, in forza di questo aiuta a definire meglio il contesto sociale e culturale delle umane interazioni tra idea e realtà sensibile (prossemica).

Allo stesso modo, la fotografia etnoantropologica riesce anche a comunicare, senza un linguaggio verbale, la gestualità di un corpo, cioè lo stato d’animo e le emozioni di un soggetto fotografato e a svelarne visivamente i messaggi sottesi (cinesica).

Per altro, in forza anche di quanto abbiamo affermato, dobbiamo evidenziare che questo ricco patrimonio fotografico del Monello in quell’epoca fu definito da un’importante testata giornalistica regionale il fotografo della Sicilia che scompare.

· Analisi della produzione fotografica di Nuzzo Monello

Volendo ora avviare l’analisi delle immagini fotografiche del Monello dobbiamo subito  osservare che sarà necessario, nel tempo che verrà, riservare, ancor meglio e con dovizia di dettagli, ai documenti fotografici una particolare cura di inventario, schedatura, catalogazione e archiviazione anche descrittiva dei soggetti fotografati: l’ispirazione, la storia e le emozioni.

Il Nostro, nella sua pioneristica operosità artistico-fotografica si mostra, pertanto, interessato all’impiego delle immagini anche come fonti di esperienze didattiche, di divulgazione e di supporto anche per un eventuale allestimento museale a carattere demologico ed etnoantropologico.

Tutto questo, comunque, anche per mantenere viva una sensibile “popolarizzazione” della ricerca scientifica a livello fotografico, anche tramite la circolazione di tutte quelle immagini che documentano la sensibilità e l’estro artistico dell’Autore, spesso mettendo in stretta relazione scritto e immagine, così come ha realmente fatto Nuzzo Monello in questa sua opera-catalogo fotografico che ci sta donando.

In realtà, dobbiamo pure osservare che esiste una “insanabile contraddizione” nella natura della fotografia, che ferma un attimo del tempo presente nello scorrere del tempo stesso. Cioè: la fotografia, così come l’ha elaborata il Nostro, non permette in realtà di vedere il passato con tutte le sue sfaccettature, emozioni e contraddizioni, ma nell’intento artistico ci offre oggi il modo e una metodologia visiva per interpretare le microstorie, il passato, i luoghi, i segni della quotidianità, gli oggetti, la natura, gli uomini e le emozioni etc… e, anche, al tempo stesso, di ricostruirlo tramite il canone della memoria, sempre capace di allestire nella mente di ciascuno, una “ricostruzione”, cioè una messa in scena di ciò che realmente rappresenta la visione di una immagine fotografica.

 – La Fotografia di Nuzzo Monello ‘partecipante’ ai sentimenti natii

Il Monello nel corso delle sue sperimentazioni fotografiche riflette sull’impiego della macchina fotografica e sulle tecniche pioneristiche di sviluppo fotografico e, di pari passo, prova una elaborazione del metodo anche con una sua riflessione teorica sulla pratica fotografica, che col suo attento obiettivo esprime amore alla sua città natia e anche a quella d’elezione, Noto, colte, sia l’una che l’altra, dal Nostro come luogo (topos) ove tutto sembra appartenerti nel cuore, nell’anima, nei sentimenti e tutto come le trame di un tessuto… t’imbriglia tra merletti vuoti e pieni, e nell’insieme diviene tra i profumi espressione delle tue insolite visioni, di manifestazioni di vita, di amicizie, di affetti. 

(N. Monello, Si può volere il bene di una Città?)

Ciò significa per il Nostro, che la messa a punto del metodo della osservazione fotografica si può definire partecipante, perché è avvenuta misurandosi di continuo con la riflessione sull’impiego tecnico della fotografia, usandone sapientemente le immagini anche per rammemorare (e attualizzare) il suo rapporto affettivo con la sua storia, col suo paese, con i luoghi del cuore e anche con le persone che hanno sfiorato la sua vita; …realizzando, in tal modo, un corpus fotografico enormemente diverso dalla fotografia tradizionale, molto più “creativo” e “immersivo”.

Il lavoro fotografico di Monello, pertanto, non fu allora, nei lontani anni ’70, soltanto un taccuino di appunti visivi di diletto, ma costituì un imprescindibile sistema di organizzazione per immagini della sua ricerca a carattere artistico-monumentale, sociologico ed etnografico di un territorio d’alto interesse storico, architettonico- monumentale e socio-culturale, e, in tutta questa operosità, la fotografia assurge a veicolo mediante il quale il Nostro impostò e costruì una vera e propria metodologia della osservazione fotografica, partecipante a ogni emozione e sollecitazione derivante dai tempi, dei luoghi e delle umane gestualità di un determinato territorio d’elezione. La fotografia fu, quindi, utilizzata per far porre ai contemporanei domande precise sui luoghi, sulle azioni, sulle cose o eventi fotografati, anche allo scopo di far percorrere con l’occhio un’immagine che diventa individuazione, selezione, distinzione di un intero patrimonio di memoria, capace di dare identità a un popolo.

Al riguardo il demologo Francesco Faeta ha notato che «la rilevanza estetico formale della fotografia per veicolare l’importanza del dettaglio e la sua capacità di suscitare emozione e quindi attenzione» assurge a una intersezione fra la «pregnanza conoscitiva, qualità estetico-formale, fascinazione» e l’asse interpretativo di ogni realtà visiva che ci circonda, metodo questo che Monello utilizza nel suo lavoro.

Infatti, il Nostro nelle sue opere fotografiche dimostra che è possibile leggere e interpretare la grande vicenda dell’umano innestato in un particolare territorio, mettendo così a profitto gli esiti di una tradizione di studi, come quella etnografica italiana, che coglie e valorizza il nesso: qualità estetica-fascinazione-conoscenza e che, poi in seguito, si è misurata col neorealismo (filmico e fotografico), come esperienza, sia espressiva sia rivelatrice, di una certa realtà storica ed etnografica. In definitiva le immagini di Monello, più che essere un post-it visivo memoriale di un’esperienza etnografica vissuta, sarebbero l’espressione di un preciso progetto etnografico in chiave visuale e scientificamente documentaria.

Esso emerge in un intreccio intertestuale di piani comunicativi (testo-didascalie- immagini), come ho già sottolineato ed evidenziato in precedenza in questa mia prefazione all’opera del Monello.

In particolare, devo aggiungere che alcune immagini fotografiche del Nostro sono davvero ‘iconiche’ e confesso che si sono stampate indelebilmente nella memoria profonda della mia interiorità:

– Quartieri popolari di Noto, vita e contesti: Rammendo “a signora Juvara Noto 1973 (popolana netina che seduta sull’uscio di casa cuce una calza);

– Avola a ciazza, piazza Umberto I, il quartino dei braccianti (1973);

– la Chiesa Madre di Avola in piazza Umberto I (1973), (ove io intravedo con forte commozione nell’anima, tra le case dietro la Matrice di San Nicolò, la mia bianca casa natia di via Napoli);

– Mare vecchio di Avola: la tonnara e “a logghia” (la loggia);

– Scorci di Noto: Edicola votiva su testata d’angolo in casa d’epoca nel quartiere Agghiastreddu, in via Vincenzo Scarrozza;

– le lumache: cesto di canne e verghe di ulivi o di carrubo intrecciate, i crastuna;

– Bimbi: Paolo e Marisa, pensieri infantili, Noto 1973.

Conclusioni

Volendomi ora avviare alle conclusioni di questa mia prefazione all’opera in esame, mi corre l’obbligo di affermare che tutta l’operosità fotografica di Nuzzo Monello va a supportare la convinzione che la fotografia è la principale forma di documentazione etnografica e storico-monumentale e così, al tempo stesso, può assurgere anche a supporto e sintesi dimostrativa di tesi di studio, quali appunto quelle che animarono il Simposio sull’architettura di Noto sul tema: “Autoscienza e non autocoscienza nella forma urbana di Noto” (Noto, 13-20 novembre 1977).

In quella importante assise culturale netina la fotografia del Monello si veste di impegno sociale e civile, e di questo ne è pure segno tangibile la fondazione della Cooperativa “Il Carretto” (Noto 1983), perché attraverso quelle immagini fotografiche si possono anche intravvedere gli scopi sociali scaturiti dalla cultura di una società ancora agricola ( …di allora… n.d.r.) tradizionale e popolare e, per altro, da quelle stesse immagini, al tempo stesso, si evince il desiderio di proiettarsi nell’impegno culturale per il recupero e il riuso del patrimonio artistico-monumentale delle città della zona sud di Siracusa e in particolare di Noto, che vanta fino ai nostri giorni i simboli della cultura plurisecolare nei gloriosi nomi storici degli architetti netini, che magistralmente operarono nella ricostruzione delle città distrutte dal catastrofico sisma del 1693: Gagliardi, Sinatra e Labisi. Possiamo allora affermare in queste nostre battute finali, che il pensiero di fondo di Nuzzo Monello, in quei lontani anni ’70, sia identificabile nel fatto che le fotografie fossero strumenti utili per restituire alla immaginazione reale di ognuno il senso di quella ricerca antropologica in modo “oggettivo” e, quindi, un vero progetto per avvalorare la veridicità di ciò che si vedeva ancora e si verificava a ogni livello socio-culturale, proprio in quelle particolari Comunità iblee della seconda metà del ‘900 inoltrata.

Alla luce di quelle intuizioni, dobbiamo concludere che le fotografie del Monello sono anche ancora oggi, a distanza di tanti anni, vive testimonianze dello sguardo di un osservatore etnografico, che nel suo intento riesce a mostrare anche le umili e ordinarie pratiche di vita quotidiana lavorativa su un terreno assai intellegibile e, cioè, l’immagine fotografata della realtà (rif. immagine fotografica del quartino dei braccianti nella piazza di Avola a ciazza).

Nella luce di questa profonda visione antropologica della realtà, le immagini fotografiche di Nuzzo Monello, colonna sonora visiva di tutta l’opera presente, si caricano, comunque, di forze umane e sovrumane, di interiorità e spiritualità, che includono impensati intrecci emotivi, evocativi e sorprendenti nuovi modi interpretativi fra crude realtà e progetti di vita nuova, tra fascinazione d’eterni valori, d’incontri umani e, infine, di sublimi conoscenze di luoghi e di anime d’infinita bellezza.

         Gennaio, 2025                Vincenzo Piccione d’Avola

– Riferimenti bibliografici:

  • Vincenzo Piccione, Saggi demologici in “L’Archivio Storico Comunale di Geraci Siculo, Messina 1998.
  • Vincenzo Piccione, Esperienze culturali in “I Ventimiglia delle Madonie”, Atti del I Seminario di Studio, Geraci Siculo 1987.
  • Faeta Francesco, Strategie dell’occ Saggi di etnografia visiva, FrancoAngeli, Milano 2023.
  1. Nuzzo Monello says:

    Riporto con piacere la nota del Dr. Prof. Vincenzo Piccione d’Avola:
    Con mia grande soddisfazione vedo pubblicata integralmente su Noto magazine [direttore Biagio Iacono] la mia prefazione all’opera di Nuzzo Monello “Prima Mostra di Gigantografie – Avola 1973”. Assai grato al dott. Iacono per l’attenzione generosa riservatami, manifesto di vero cuore il mio sincero apprezzamento all’operosità culturale e giornalistica d’alto livello per quanto attiene ai contenuti di Noto magazine.
    Vincenzo Piccione d’Avola
    21 febbraio 2025

  2. Ringrazio di vero cuore il collega Vincenzo Piccione d’Avola, ricambiando affettuosi sentimenti di stima ed amicizia, nella speranza di poterlo – quando che sia – conoscere personalmente. A presto. Biagio Iacono

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