Carlo La Licata: il Maestro del “Pervaso”.
CARLO LA LICATA IL MAESTRO DEL “PERVASO”
di Nuzzo Monello
La solitudine, tessuto di afflati e di Poesia
Quella rete di valori umani, artistici, solidali, per quanto il tempo ci aiuti a trascurarli, sono l’essenza della vita e nulla tralasciano, al contrario ritornano e si proiettano sia nei nostri cuori sia nelle nostre Arti. La solitudine, aiuta i poeti e incrementa, potenzia lo status culturale “raggiunto”. E noi viviamo la “solitudine” apparente, mentre siamo portatori di “comunicazioni frattali”, liberi nelle sfere universali dell’amore. Un affettuoso abbraccio in uno a Carlo, alla bellezza e al profumo dei fiori, alla Poesia, alla Musica e all’Armonia Cosmica.
Come la schiuma del mare, tra cielo e terra, copre le onde e batte sulla rena e contro gli scogli rendendo il paesaggio vivo, dinamico, rumoroso, occultando ogni privilegio delle stagioni, così la terra sovrastata dalla natura e turbata dal vento agita d’infinità di colori, di forme e di suoni gli orizzonti. Silenziosamente, dona di frutti tutto ciò che vi vegeta, pervade ogni luogo in superficie e trova nelle stagioni la sua natura d’essere.
Né il mare né i rilievi offrono soluzioni alla solitudine per chi ricerca pace e serenità.
Carlo, l’ha cercata la solitudine, ha scelto i monti Iblei, ripercorrendo l’eremitaggio di cui i luoghi narrano infinite esperienze, ma quasi incredulo per l’eccesso dei suoi nuovi bisogni dell’anima, ha preferito un suolo consacrato che gli permettesse l’ascesa graduale al cielo, la preghiera. Madonna Scala del Paradiso, luoghi non di sovrumani silenzi, e profondissima quiete, ma di adeguato riposo e spazio alla riflessione e alla partecipazione espressiva del creato.
Sentire nello Spirito il calore del soffio della contemplazione e nel contempo, sentire, nel corpo il flebile fluire delle relazioni umane, il compiacimento e riconoscimento di quella pittura, di tutti i quadri, come squarci dell’umile mondo contadino e come paesaggi di orizzonti perduti. Ripercorrere, le correnti contemporanee dell’Arte pittorica e trovare un tassello per collocarvi l’opera di Carlo La Licata è il desiderio mio e di tutti i suoi estimatori, è d’interesse dell’Arte.
È stato tale il suo slancio per ciò che ha amato, la sicilianità, da cui è stato coinvolto da rendergli la mano lieve e sfumata nei toni interpretativi della natura, delle cose, delle persone, fino a fargli immaginare la sua stessa vita come dissolvenza di materia verso l’essenza, lo spirito, così da evolversi dai forti toni reali, naturali, artificiali e relazionali, per diradarsi negli alti toni dello spirito, sfumare e pervadere con candida luminosità d’ogni colore, l’esistenza declinata ai colori pastello.
Via via che l’anima lasciava al suo corpo un’irrimediabile e consapevole decadimento, Carlo si nutriva e arricchiva di pacata umanità, dai rossi, ai verdi, ai lilla, ai dominanti marroni, ai gialli, agli azzurrini e rosati cieli, delineati nelle forme della sua memoria. Luoghi della sua esistenza, spesso memoria dei costumi, ravvivata dalle rappresentazioni folkloristiche e dagli usi della Sicilia ancora agricola, apparentemente lontana dalla modernità e internazionalità delle rivalutazioni delle sacre e umili diete.
Emerge una Sicilia virata a seppia, per indicarci un’epoca intramontabile, volutamente superata, fatta di sudore e sacrificio, benedetta dai suoi infiniti prodotti saporiti, colorati e pieni del calore del sole che vi sorge e tramonta. Una Sicilia lontana dai mercati mercificanti e dagli imballi meccanizzati e omologanti rispetto al cesto, contenitore simbiotico dell’amato prodotto. Quasi a dire è fatto con le mie mani, e in cambio aprire alle trasmutazioni ed elevazione dei suoi soggetti, di volta in volta burattini, persone e infine personaggi.
Tali appaiono donne, oggetti e cose, poste in posa, inanimate e immutevoli affinché ci si possa accorgere che il tempo muta gli scenari tutt’intorno per affermare i valori di sentimenti apparentemente superati. Le emozioni e gli affetti di ciascuno, senza prevalenza o sesso come l’affetto di una madre verso il suo bambino e lo sguardo senza genere dal bambino alla madre. Oggi non possiamo che prendere atto del suo pensiero pervasivo dei luoghi che ha vissuto, che lo hanno contaminato, degli oggetti che lo hanno allietato, dell’idea che lo ha sospinto nella fede, che lo hanno conclamato Artista. C’è da dire che da quando ho conosciuto Carlo e più intensamente nei primi anni ’80, in occasione del tradizionale Saluto alla Primavera a Noto, nulla e tutto è cambiato: principalmente è cambiato il tono e il senso dell’agitazione culturale alla quale il pensiero spesso univa l’azione propositiva mentre il frustrante esito l’assopiva. Oggi appare risolta quella costante voglia unanime, diretta all’essenziale riscoperta della monumentalità di Noto e l’ambito protagonismo per migliorarla e renderla visibile azzizzata, agli occhi del mondo, occasione di splendida Bellezza.
Furono momenti di elevato orgoglio, di comune sentire per il “Bene e l’Interesse” della città barocca.
Fu il tempo che con Carlo e tanti altri artisti che operavano a Noto, unimmo le forze e gli intenti per frantumare quella orribile e resistente barriera elevata contro la rigenerazione, per recuperare usi, costumi, arti, mestieri integrati nel tessuto storico culturale, capaci di favorire il riconoscimento e la fruizione delle peculiari bellezze della monumentalità del centro barocco nella rinnovata proposizione del Val di Noto.
Sembra di vedere stagliate nei cieli di Noto le quinte di color pastello di Carlo. All’orizzonte alberi, frutti e foglie sventolanti alle brezze di Noto Antica come i drappi nelle processioni della Santa Spina e di San Corrado.
Non è uno di noi che se ne va, ma un artista che ha misurato un percorso.
Monti Iblei ~ Sant’Elia ~ Avola, lì 16 settembre 2018 Nuzzo Monello