– Ebrei siciliani tra nazisti e fascisti – di Enzo Papa
Ebrei siciliani
tra nazisti e fascisti
di Enzo Papa
Si fanno sempre più interessanti gli studi sulla presenza ebraica in Sicilia, le cui comunità fin dal VII secolo, e anche prima ancora, operavano sparse un po’ ovunque; ne sono testimonianza non solo le scoperte archeologiche, come i miqweh di Siracusa e di Palermo, o le tante lapidi sepolcrali medievali rinvenute, ma anche tutta una documentazione tratta dal buio degli archivi notarili, statali e privati, che via via è stata presentata e discussa nei vari convegni di studio: da quello, palermitano del 1992, che vide la partecipazione di illustri personalità del mondo scientifico, al seminario di formazione siracusano del novembre 2018, che si tenne nella sala convegni di Casa Bianca, lì dove c’è il bagno rituale ebraico, il miqweh.
Ai fondamentali studi di Nicolò Bucaria e di altri insigni studiosi che con i loro contributi hanno dato prova della lunga e costante presenza del mondo ebraico in Sicilia, si aggiunge ora la fatica di Alessandro Hoffmann, “Gli amici di Moise”, un volume di oltre trecento pagine edito dalla prestigiosa casa editrice Kalòs, rinata alla luce, e ci presenta una sorta di siciliano novecentesco Spoon River ebraico che, in quanto siciliani, ci tocca molto da vicino.
Da quando è stata istituita la giornata della memoria, in Italia nel 2000 e dall’ONU nel 2005, la storiografia sulla Shoah è stata ed è continuamente rivitalizzata nel ricostruire e interpretare quei tragici eventi illuminando microstorie e personaggi scomparsi nei campi di sterminio o fortunosamente sopravvissuti, ma obliati, cancellati o anche mai esistiti nella cattiva memoria collettiva. Eppure molti di essi, prima delle leggi razziali, e alcuni dopo la guerra, quando quell’obbobrio vergogna dell’umanità ebbe termine pur avendo lasciato insanabili ferite, sono stati figure di alto rilievo culturale, economico, sociale, scientifico e anche politico. Ne conosciamo molti.
Ma non conoscevamo (se non qualcuno, ma, così, en passant), i personaggi che Hoffmann porta alla nostra conoscenza e alla nostra coscienza: siciliani o che con la Sicilia hanno avuto buoni commerci, buoni rapporti nei campi più diversi: un diorama di “cento e più storie di ebrei di Sicilia”, come recita il sottotitolo, presentati con gusto di narratore e, insieme, con la delicata eleganza del fine biografo-ricercatore che sembra entrare in punta di piedi nelle loro storie personali, sollevandone con delicatezza il velo fusco della memoria.
Conosciamo, così la bella storia di Adamo Baumann, il famoso medico oculista polacco che scelse di essere siciliano, palermitano, allievo del Prof. Gaetano Lodato, suo relatore alla tesi di laurea, ma anche quella di Giuseppe Levi, padre della scrittrice Natalia, nata a Palermo ( che andò sposa a Leone Ginzburg), e che fu il maestro dei premi Nobel Luria, Dulbecco e Levi Montalcini, oppure quella di Mario Ovazza “un uomo che visse tre volte”, prestigiosa figura di politico, “uno dei padri della Regione Siciliana”, per ben quattro legislature eletto deputato nel collegio di Catania (di lui si occupò lungamente lo storico Giuseppe Carlo Marino e, più recentemente, Nicolò Bucaria), morto nel 1974 e che molti a Catania dovrebbero ricordare.
Ogni personaggio di questi cento e passa ha una sua storia e ciascuna di esse profondamente si incide nel nostro animo; e sono tante microstorie che vengono fuori dall’imponente mole di documenti e di testimonianze su cui per anni ha lavorato Hoffmann. Siciliani nativi e siciliani d’adozione, perseguitati sfuggiti miracolosamente alle delazioni fasciste (si sa bene chi fossero codeste spie e cosa ricavassero dalla loro turpitudine) costretti a vivere in semiclandestinità, internati umiliati nella loro humanitas, deportati destinati alle camere a gas di Auschwitz e di Dachau: un’invisibile e sconosciuto repertorio di vittime sacrificate sull’altare della vergogna.
A Catania operava una consistente comunità di ebrei, di cui conosciamo i nomi, riportati da Hoffmann: Schiff, Sacerdoti, Orvieto, Almagià, Servadio, Rimini, Bemporad, Grinstein…. Di quest’ultima famiglia originaria di Odessa, una delle famiglie ebraiche più in vista della Catania bene, titolare a Paternò di un’importante impresa di import-export, si occupò anche il giornalista catanese Igor Man (Igor Manlio Manzella), russo per parte di madre, amica di famiglia. Le leggi razziali non risparmiarono neppure i Grinstein, catanesi d’adozione, costretti quasi con dileggio ad espatriare negli USA. Altre belle pagine Hoffmann ha dedicato agli ebrei “catanesi”, come quelle al pittore Roberto Rimini, una delle figure più rappresentative della pittura siciliana e nazionale del Novecento, che, pur nato a Palermo, visse sempre a Catania, spegnendosi ad Acitrezza nel 1971.
Come Palermo e tante altre città, anche Catania ha il suo “Giardino dei Giusti”, prima a Monte Po e poi all’interno del Parco Gioieni, con i cippi dedicati a chi si adoperò, rischiando la vita, per salvare la vita degli altri. Venne inaugurato nel giorno della memoria, il 27 gennaio 2003. E proprio ai Giusti Hoffmann ha dedicato l’ultimo capitolo di questo suo importante studio che oscilla tra narrazione e storia, tra recupero memoriale e tensione letteraria e che, come scrive in postfazione Salvatore Savoia, “si rivela, pagina dopo pagina, una preghiera alla civiltà del vivere”.
Enzo Papa