Città segrete di Sicilia: Noto e le altre…!
Dal THE TIMES del 7 settembre 2013:
CITTA’ SEGRETE DI SICILIA: NOTO E LE ALTRE…!
di Sean Thomas (traduzione di Angelo Fortuna)
E Noto non è che l’inizio: ce ne sono otto di queste città barocche punteggiate
attorno alla Sicilia sud-orientale, tutte incluse nella Lista dell’Unesco
per la loro sublime teatralità.
A Comiso, un nuovo aeroporto sta aprendo nel bello ma poco visitato angolo sud-orientale dell’Isola.
La città è bella. Il decadimento è eloquente. Gli abitanti sono fascinosi. La storia è da vertigini. I palazzi fiammeggiano con i colori ocra e scarlatto sotto il sole italiano del tramonto. I gelati sono eccezionali, la birra è fredda, il vino è eccellente, i fusilli al nero di seppia sono deliziosi e nella fatale quiete del pomeriggio riarso dal sole si possono praticamente udire i petali di gelsomino che cadono nelle fontane di marmo, perché non ci sono turisti. Probabilmente devo aver fatto un sogno. Non ci possono veramente essere graziose città italiane che sono, anche oggi, scarsamente visitate da estranei? Ci sono e io le ho viste. Si trovano nella Sicilia del Sud-Est. I Britannici hanno visitato la Sicilia per secoli. Lord Nelson notoriamente ebbe qui un appuntamento amoroso con Emma Hamilton nel 1798. Prima di loro l’affare del vino Marsala fu scoperto da accorti mercanti britannici (e sottolineo accorti; un commerciante di vini del 18° secolo, come è divenuto famoso, scrisse a casa sua alla propria sorella in Britannia: “Tuo fratello è morto, mandane un altro”). Intorno al 1815, la Sicilia divenne quasi una colonia britannica, che avrebbe certamente conferito una prospettiva completamente nuova al Padrino: “Don Corleone, siete arrestato”.
Fin dai giorni dell’Impero, i nuovi invasori britannici si sono innamorati di questa grande isola mediterranea triangolare vicino alla punta del piede della Calabria. Oggi, si possono trovare molti turisti britannici a Palermo, Cefalù e Taormina e lungo le spiagge del nord e dell’ovest. E tuttora un altro angolo di Sicilia è rimasto immune praticamente da tutti gli escursionisti (non solo Britannici): le pianure ondulate, sobborghi sonnolenti e altopiani calcarei nel lontano sud-est dell’isola. Perché? Forse a causa della sua reputazione come la più calda e polverosa zona di un luogo caldo e polveroso – come disse Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il grande romanziere siciliano: “Una estate siciliana è implacabile come un inverno siberiano”. Forse, inoltre, a causa dell’accessibilità. I più grandi aeroporti sono ore lontani, a Catania e Palermo.
Tutto ciò sta per cambiare. Dopo decenni di litigi e di rinvii, l’aeroporto militare di Mussolini a Comiso è finalmente aperto al traffico civile. Ryanair ha già annunciato tre rotte, una da Stansted, con inizio dal 18 settembre. Dopo secoli di abbandono, la Sicilia sud-orientale spera per la vostra intrapresa turistica. Che cosa ci si può aspettare di trovare? Cominciamo da dove sto al momento (o piuttosto, dove sono seduto all’ombra di carrubi [si tratta in realtà dei ficus dei giardini pubblici di Noto; Sean Thomas fa confusione tra ficus e carrubi – ndt], bevendo un po’ del più forte caffè al mondo: i Siciliani portano l’assuefazione per il caffè come colpo secco a livelli straordinari). Di fronte a me c’è la Porta Reale, costruita a metà del 19° secolo per onorare la visita di Re Ferdinando II. Questa elegante Porta funziona come simbolico accesso alla città di Noto e alle meraviglie architettoniche dell’interno. Noto sbalordisce voluttuosamente: il suo centro è un assemblaggio delicatamente composito della briosa architettura tardo-barocca: interamente costruita con la stessa pietra calcarea color dorato chiaro e albicocca, tipica della regione.
Ciascuna via ha balconi con ghirigori, ciascun palazzo vanta grondoni, ciascuna piazza fiammeggiante ha palme regali che ombreggiano fontane bianco marmo, ciascun angolo di via ha uomini in abiti di lavoro che prendono sorbetti con gusto e a poche centinaia di metri l’una dall’altra si possono vedere le cupole di chiese teatrali che praticamente sono interamente facciata. Sembrano ambienti hollywoodiani modellati con costosa pietra georgiana. Inoltre, tutto ciò avviene nel mezzo di un’area alquanto anonima, assetata, rocciosa. È come se qualcuno avesse staccato i più graziosi angoli di Parigi e li avesse scaricati nelle vicinanze delle Valli dello Yorkshire – durante uno spettacolare periodo di siccità.
E Noto non è che l’inizio. Ce ne sono otto di queste città barocche punteggiate attorno alla Sicilia sud-orientale, tutte incluse nella Lista dell’Unesco per la loro sublime teatralità.
La mia guida, Antonio, che indossa abiti senza calze come solo un italiano sa fare, spiega la bellezza inaspettata. “Abbiamo subìto un grossissimo disastro. Molte migliaia di persone morirono. Fu molto cattivo”. “Beh, sì”, rispondo. “Ma anche buono!”. “Ah”. Antonio sviluppa il concetto. Nel 1693, un terremoto distrusse le antiche città in tutta la Sicilia meridionale. Noto, Modica, Palazzolo, Catania, Scicli, Ragusa, Caltagirone e Militello furono colpite in modo particolare. Veramente, i loro resti architettonici ingombrano ancora il paesaggio. Man mano che si guida l’auto intorno ad essi (e si deve andare in macchina, poiché il trasporto pubblico è incompleto) si vedranno cumuli di inquietanti rovine: di solito residui del grande terremoto.
Di norma, le città avrebbero dovuto essere gradualmente ricostruite insieme nel posto in cui si trovavano. Tuttavia, in un lungimirante decreto di iniziativa civica – che deve essere stato fatto per qualche grave e brusco aumento di tasse locali – i maggiorenti della regione decisero di ricostruire tutte le città nello stesso sensazionale stile barocco, talvolta ai piedi del vecchio borgo, talvolta ad alcune miglia dalle rovine visitate in continuazione e talvolta nascoste nei selvaggi burroni calcarei che squarciano questo primordiale paesaggio terrestre.
È difficile scegliere la migliore di queste otto città. La favorita di Antonio è la tranquilla Scicli (che è servita, come parecchie di queste città come palcoscenico per i gialli della serie televisiva siciliana su Montalbano). “Ci sono persone che ancora vivono in grotte”, dice. “Come sono vissute per 2.000 anni, ma ora hanno gabinetti igienici, così è tutto Ok”. Altrettanto graziosa è Ragusa che sta a cavalcioni su una gola teatrale con un reticolo naturale di vie d’epoca georgiana su un lato (immagina la Città Nuova di Edimburgo, ma con 3.000 ore di luce solare) e una seconda città più piccola, più elegante, con la cattedrale sulla parte più alta, sull’altro. Comunque, la mia favorita è Modica. È la città che descrivo nel paragrafo di apertura, nascosta in una gola, a circa dieci miglia dalla costa. Mentre ci sono alcuni avventurosi autobus pieni di turisti a Noto e a Ragusa (e certamente a Catania), a Modica conto tre turisti e uno di loro sono io. Siamo tutti sistemati nello stesso grazioso hotel, rifatto da antiche catapecchie nell’antico ghetto ebreo e dalla brillante idea di Marco Giunta, architetto milanese, e da sua moglie architetto. Siccome noi facciamo la nostra deliziosa colazione da produzione biologica in un giardino con veduta attraverso un burrone urbanizzato nel centro barocco di Modica, Marco spiega come dieci anni fa, quando arrivò, le costruzioni che essi hanno amorevolmente lustrato secondo i criteri attuali di bellezza erano state abbandonate dagli abitanti delle catapecchie.
“Nella sua camera, 40 anni fa, ci sarebbe stata un’intera famiglia. Cinque o sei persone… più un asino. Con un buco nel pavimento per gabinetto igienico. In seguito, tutti si mossero verso appartamenti nelle periferie. Essi non capivano perché io volessi comprare le loro vecchie case abbandonate”. Seguendo l’esempio di Marco, altri tuguri vicini sono stati pure lentamente riadattati, ma è un segno dell’apatia delle cose qui intorno che si possono ancora comprare case del ghetto in rovina per circa 20.000 euro (17.000 sterline).
Naturalmente, la Sicilia sud-orientale è lungi dalla perfezione. Alcune delle città più nuove sono brutte e l’eccessivo sviluppo ha sporcato vasti tratti della costa. Nella calura dei gironi assolati, le città, giovani e antiche, cascano nella quiete assoluta, come se una pestilenza stesse opprimendo il pomeriggio. Tuttavia, è un’area straordinaria, integra e a buon mercato. Il cibo è quasi universalmente delizioso: dalla pasta con le sarde, finocchio e uva passa ai famosi cannoli.
In una delle mie esplorazioni finali, mi diressi a Noto antica, l’antica città di Noto devastata dal terremoto del 1693. E’ oggi una città fantasma, con lucertole che scivolano tra le chiese in rovina e poiane che volteggiano sulle torri friabili. Da qui c’è molto di più da vedere e da fare. Potrei andare a est a Siracusa, dove i marinai mangiano le gonadi color arancione dei ricci di mare sotto le mura fenicie del porto; potrei dirigermi a ovest, ad Agrigento, che vanta forse la più nobile collezione di templi greci del mondo, Grecia inclusa.
Per il momento, comunque, sono contento di indugiare qui, nelle rovine che parlano di Noto antica, dove la Sicilia dei Greci e dei Romani, degli Arabi e dei Normanni, degli Angioini e dei Borboni, la Sicilia degli ambiziosi architetti milanesi, morì nel grande terremoto – solo per risorgere di nuovo.
Sean Thomas – Traduzione di Angelo Fortuna