Noto: “Oltre l’Eldorado” di Angelo Fortuna
Venerdì 21 Febbraio 2014, a Noto, Domenico Pisana ha presentato in
Sala Gagliardi il recente romanzo di Angelo Fortuna “Oltre l’Eldorato” di Santocono Editore ,Rosolini.
Pubblichiamo la Prefazione di Domenico Pisana[1] con le foto di Vincenzo Medica che ringraziamo
Introdurre un’opera letteraria, al di là del suo valore culturale, assume sempre la caratteristica di un dono verso la persona dell’Autore che sente quell’opera come una sua creatura.
Mi sono avvicinato ai racconti di Angelo Fortuna tenendo presente ciò che sosteneva, già nel 1866, lo scrittore Luigi Settembrini nella sua opera Lezioni di letteratura italiana. “Ci sono due specie di critiche – affermava Settembrini -, l’una che s’ingegna più di scorgere i difetti, l’altra di rivelar le bellezze. A me piace più la seconda che nasce da amore, e vuol destare amore che è padre dell’arte; mentre l’altra mi pare che somigli a superbia, e sotto colore di cercare la verità distrugge tutto, e lascia l’anima sterile”.
Condivido molto questa idea di Settembrini, e cercherò, pertanto, di evidenziare le luci di questo libro, quelle che mi hanno particolarmente colpito. Lo faccio non soltanto con l’occhio e il cuore del lettore, il quale spesso si ferma alle storie narrate e alla fine trae le sue conclusioni spesso legate al gusto e al gradimento, ma anche andando al di là del racconto nel tentativo di offrire una chiave ermeneutica che possa far comprendere quel che l’Autore colloca dentro la tessitura della sua narrazione, innalzando così il suo testo a livello di letteratura.
Angelo Fortuna ci dà nei suoi racconti un vero e proprio “paesaggio dell’anima ed un ethos della vita”, dispiegati su un pentagramma su cui scorrono fatti, episodi, esperienze, ricordi che oscillano tra il soggettivo e la creatività narrativa, e attraverso cui l’Autore, superando il dato autobiografico, si fa “scrittore di cose”, mettendo in relazione – come già nei suoi precedenti libri di narrativa – quelli che il grande padre della linguistica, il De Saussure, chiama langue, langage e parole, cioè lingua, linguaggio e parola.
Dentro la narrazione di Fortuna c’è uno scorrere di luoghi e di personaggi cui l’Autore mette in bocca parole, sentimenti, valutazioni, rievocazione di accadimenti, risentimenti; c’è un mondo di personaggi come Tanino, burbero e simpaticissimo; Giovanni, reduce da dodici mesi di naia a Udine; Flavio, giovane estroverso e di grande fantasia; Ianu l’arbu le cui caratteristiche emergenti erano “il volto orrendamente butterato e il colorito complessivo grigio-nerastro, che era all’origine dell’appellativo impostogli dalla gente del suo quartiere, il Fondaco, fin dalla prima giovinezza”. E ancora, il vu cumprà senegalese Ahmed, zia Pina, ragazzi liceali come Ciccio, Giovanni Campisi e Francesca; Amalia, docente di lettere e il maestro elementare, “sempre refrattario a ogni iniziativa fuori dai muri della scuola”; Marcello, Roberto Romano, protagonista del lungo racconto – o romanzo breve? – Oltre l’Eldorado, che dà il titolo al libro, il prof. Piero Piccione e così via… Si tratta, insomma, di personaggi attorno ai quali le sequenze narrative fanno rivivere passioni e sentimenti, gioie e tristezze, sogni e illusioni, delusioni e speranze, bisogni e amori, desideri e aneddoti.
Leggendo alcuni racconti di Angelo Fortuna, ci si accorge subito che si tratta di narrazioni che si muovono dentro l’orizzonte etno- antropologico della nostra terra siciliana, particolarmente dell’area del Val di Noto, e che interpretano un percorso umano e sapienziale con originalità e compartecipazione emotiva.
Fatti e storie raccontati offrono, senza dubbio, l’occasione di guardare al passato e di immergersi nel patrimonio tradizionale del popolo siciliano, della terra siracusana, non per contemplarlo o incensarlo, ma per testimoniare, come sicuramente è nell’intento dello scrittore, che vale la pena sforzarsi di fare della memoria storica la vera maestra di vita per ogni tempo.
Questo libro di racconti si snoda certamente su tre livelli: il primo storico-antropologico, il secondo letterario, il terzo di carattere etico- sapienziale.
Il livello storico – antropologico
Ogni narrazione è situata dall’Autore dentro contesti storico-artistici ed antropologici ben calibrati. Se, ad esempio, nel racconto Fulminato dalla luce e dal barocco dorato risaltano subito “i lastroni scuri di pietra lavica, luccicanti come specchi, del corso Vittorio Emanuele, i quali moltiplicavano, rilanciandoli verso l’alto, i bagliori solari e l’intenso calore estivo”, nel racconto Basta un pomodoro, grazie! la cultura enogastronomica la fa da padrona nel passaggio dalla tradizione alla modernità con punte di critica a comportamenti ed abitudini. La tradizione religiosa compare tra le pieghe del racconto Nel dramma cosmico della Donna de Paradiso ove viene rivissuta la tragedia dell’Addolorata, mentre consuetudini e riti legati alla famiglia patriarcale si evidenziano nel racconto Ianu l’arbu ove Fortuna racconta “il caso di Pietro Campisi che, in occasione del fidanzamento ufficiale, non solo si presentò a casa della ragazza senza la canonica sigaretta in bocca, ma addirittura rifiutò quella che il futuro suocero gli offriva. La promessa sposa – prosegue l’Autore – guardò disperatamente in direzione dei genitori, del padre in particolare che, entrato pure lui in stato di confusione, quasi barcollante per il timore di aver commesso una grossa gaffe pronunciando il suo sì al fidanzamento, uscì di casa per rientrare, rasserenato in volto, solo un’ora dopo”.
Ecco, se guardiamo in prospettiva metanarrativa è come se l’Autore volesse offrire ai sui lettori pezzetti di vita finalizzati a ridisegnare nella contemporaneità una metafora dell’identità. La narrativa di Angelo Fortuna si pone infatti come rivitalizzazione dell’ethos culturale, sociale, antropologico e religioso della sua terra, richiamando in filigrana la questione dell’identità dell’uomo e il tema delle sue radici come “spazio di senso”. Non c’è dubbio allora che da questi racconti ne viene fuori un’operazione che da un certo punto di vista segue un “discorso storico-antropologico” che fissa alcuni punti sulla natura ontologica dell’uomo e anche di “geografia della memoria” , come ben si evince, del resto, dal racconto Luce nel mistero, ove l’Autore rievoca come nel giorno del 1 maggio “fin dal sorgere del sole, secondo tradizione, ogni famiglia o gruppo di amici ha già raggiunto la propria destinazione, ad esempio, una casetta di villeggiatura ad Avola Antica o a Borgellusa o alla Falconara o alla Palma o vicino al mare. Molti sono già sulla spiaggia del Lido o di Pantanello o presso l’antico molo di Mare Vecchio. Altri ancora si sono spinti oltre fino alla spiaggia della Cicirata, a Calabernardo e al lido di Noto, nonché in qualche abitazione campestre lungo la strada provinciale di Bochini. Presso l’ingresso del parco delle Rimembranze, a due passi dalla stazione ferroviaria, – scrive l’Autore – stazionano alcuni ragazzi in moto, quasi tutti in calzoncini e in atteggiamento balneare, pronti a raggiungere una delle tante giustamente decantate spiagge, come Fontane Bianche, Eloro, Pizzuta, Calamosche, ove meglio esercitare il loro gusto dell’esotico o anche, sognar non nuoce, nella speranza di qualcosa di nuovo, di un incontro galante per esempio”.
Dunque uno scenario di luoghi, luoghi che – per Angelo Fortuna – hanno una loro posizione geografica, spaziale, ma sono sempre, ovunque, una costruzione antropologica. Hanno sempre una loro storia, anche quando non decifrabile; sono il risultato dei rapporti tra le persone. Hanno una loro vita: nascono, vengono fondati, si modificano, mutano, possono morire, vengono abbandonati, possono rinascere.
Chiaramente l’operazione narrativa di Angelo Fortuna, e vengo al secondo livello, quello letterario, ha trovato approdo sulla pagina grazie alla sua immaginazione creativa e alla sua capacità di tradurre in sequenze letterarie le storie che egli narra. Per l’Autore non si è trattato di mettere insieme “un repertorio di avvenimenti o di personaggi”, ma di articolare una mappatura di riflessioni che passano attraverso personaggi, miti ed emblemi che si sono rivelati più a lungo e più intensamente memorabili nel vissuto collettivo della terra siracusana.
Questo libro ha pertanto un suo valore letterario perché le storie di vita che offre disegnano una sorta di “prosopo-grafia dal basso”, distribuita su racconti articolati sia su momenti soggettivi che su momenti comunitari, con un livello narrativo di memoria territoriale: la vita in famiglia, la scuola, i rapporti tra uomini e donne, gli approcci amorosi, le passioni, il tempo libero, la religiosità, i pellegrinaggi, l’esaltazione dei luoghi, le metamorfosi, gli scambi verbali, le problematiche giovanili, la quotidianità, il tema dell’immigrazione, del dolore, dell’indifferenza etc. In questo quadro narrativo trova un certo spazio la scuola, atteso che l’Autore ha vissuto, come docente e Preside, parecchi anni della sua esistenza nella realtà scolastica. Così i racconti Il secchione e la maliarda , Quel mazzolin di fiori, Una strana voce interiore rappresentano la ricostruzione di accadimenti sedimentati nella memoria scolastica dell’Autore.
Credo che di fronte alla considerazione dei giovani che hanno ormai perso il senso della memoria (quella che conservava e tramandava in primis la famiglia con i suoi riti, le sue occasioni periodiche di incontri parentali allargati e la trasmissione per narrazione da parte degli anziani), il compito di un racconto letterario sia quello di far capire che non può esserci “oggi senza passato”. E questo è quello che in fondo scaturisce dalle pagine del libro di Angelo Fortuna, che mirano a far capire come e perché la società di oggi è diventata quella che è, e dunque come siamo fatti noi, uomini dei nostri giorni.
La narrativa che assume storie di vite, vicende e accadimenti passati come quelli raccontati dall’Autore, non è pertanto – come potrebbe sostenere Nietzsche – “un’occupazione da vecchi”, un “culto dei morti”, un “guardare indietro”, un “cercare conforto nel passato”, ma uno strumento d’arte per farsi un’idea di uomini e di cose del passato, al fine di comprendere i problemi del presente.
Questo libro tiene viva l’ “identità collettiva” delle nostre popolazioni siciliane che ormai tende a smarrirsi. E quando vengono meno le identità collettive , come di fatto sta accadendo, le nuove generazioni (e forse non solo loro) si vanno assuefacendo “ad un oggi senza passato”.
Questo volume di Angelo Fortuna costituisce, infine, un “patrimonio valoriale di sapienza” per la cultura del nostro tempo. Con i suoi racconti l’Autore offre ai lettori la possibilità di accostarsi ad una scrittura necessitata da una forte esigenza di comunicazione: ogni racconto non è teoresi sganciata dal reale, elaborazione di un pensiero astratto ed asettico, quanto invece lettura della quotidianità nell’ottica di una rielaborazione di sentimenti e di accadimenti.
Così è nel racconto Un nero, candido sorriso… , poggiato proprio sull’incontro con un vu cumprà, Ahmed, “senegalese appena diciannovenne, pelle color ebano, occhi nerissimi come i suoi capelli
riccioluti,”; così è nel racconto Speranza oltre il comico e il tragico della vita, ove l’Autore impregna il suo testo di un realismo etico che fa emergere i tanti mali di una società in cui “Non resta che somatizzare, in uno slancio di condivisione, il dolore del mondo con i limiti che condizionano la persona, innamorata d’infinito e costretta a vivere nella precarietà, preda della malattia, della violenza, della morte”. Dalla narrazione trasuda la tragicità dell’esistenza, di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti, anzi – osserva l’Autore – spesso si viene coinvolti in un processo di somatizzazione che raggomitola angosce e tormenti, oblio, indifferenza, perdita del lavoro, solitudine, inquietudine, rotture sentimentali, odio, ingiustizie, violenza. Un lunga lista ove, però, Angelo Fortuna è convinto che “si può riaprire il sentiero della speranza, si può illuminare il mistero dell’essere, si può tornare a sorridere. Di gioia. Oltre il comico, oltre il tragico, oltre il dramma del vivere, ci attende l’Amore.”
Per Angelo Fortuna la cronaca, la memoria, la storia con le sue luci e le sue ombre, la fede, la natura e i suoi paesaggi, l’arte e la cultura si fanno vita, ed è per questo che egli fa ricorso a strumenti linguistici idonei a comunicare con immediatezza ed efficacia, ad un linguaggio non cavilloso ma semplice, convincente, lineare ed aperto poiché finalizzato non alla periodizzazione estetica ma a parlare agli animi e al cuore dei lettori.
Anche la sintassi dei racconti ha un andamento rapido, vivace, vario, mai monotono ed uniforme; il tono è quasi sempre “esistenziale” e relazionato al valore dell’interiorità, lo stile colloquiale e caratterizzato da espressioni che danno l’idea di una conversazione pacata, bonaria ed amichevole.
Marziale, in un suo epigramma, per contrapporsi a scrittori che infarcivano la loro scrittura di artificio, di retorica ed alchimie distanti dalla vita degli uomini, affermava “Hominem pagina nostra sapit” : ebbene, i racconti di Fortuna “sanno di uomo”, e quindi di storia, di memoria, di affetti, di sofferenze, di gioie e di semplicità, di insegnamenti morali e sapienziali. I racconti ci offrono la rappresentazione realistica del vivere quotidiano osservato con uno sguardo vigile, schietto e disincantato e, nel contempo, partecipe.
Fortuna ha scritto non solo con la mente ma soprattutto con il cuore, quasi mutuando la frase di Lucilio “Dall’interno del cuore io traggo il verso”. Proprio in questa espressione mi pare possano trovare sintesi i suoi racconti. Senza il cuore, infatti, ogni sua riflessione, sia di carattere storico, politico, etico e sociale , letterario, religioso, affettivo, amicale, risulterebbe un mero giuoco di parole che potrebbe incantare senza però comunicare nulla. E l’Autore di questo volume non ha avuto come obiettivo quello di incantare, ma comunicare la testimonianza del suo cuore.
Domenico Pisana
[1] Dottore in Teologia Morale, giornalista-scrittore, Presidente del Caffè Letterario “Salvatore Quasimodo” di Modica