Perché “La corruzione spuzza!” non è da correggere!
“LA CORRUZIONE SPUZZA!” NON È DA CORREZIONE
di Paolo Anelli
Di fronte allo scenario di un’Italia che celebrava il ventennale di Tangentopoli nel 2013 con una serie di scandali politico-finanziari, abbiamo già in questa sede culturale ricordato la denuncia fatta, in tempi non sospetti, dall’estro narrativo di Gino Raya. Nei mesi a seguire è piovuto sul bagnato: con il Mose veneto, Mafia capitale, e l’Expo, si sono intensificati i ritmi dei misfatti a fronte della lentezza dei provvedimenti anti-corruzione. Nel frattempo, quando oggi si leva forte il grido del Vescovo di Roma, si pensa a correggere una parola.
- Frontespizio del libro di Jorge Mario-Bergoglio 2013, trad.dell’ed. argentina del 2005.
Se le pubbliche latrine si chiamavano in antico “vespasiani” lo si deve, si sa, all’imperatore romano Vespasiano, che introdusse gli orinatoi a pagamento, ed impose anche una tassa sui fullonici, quelli che lavavano le stoffe utilizzando l’orina raccolta dalle latrine. Stando a Svetonio (De vita Caesarum (VII, 23): Reprehendenti filio Tito, quod etiam urinae vectigal commentus esset, pecuniam ex prima pensione admovit ad nares, sciscitans “num odore offenderetur”; et illo negante: “Atquin”, inquit, “e lotio est”.
Al figlio Tito che gli rimproverava il fatto d’aver persino tassato l’orina, l’imperatore mise sotto il naso il denaro ricavato dal primo pagamento e gli chiese se era infastidito dall’odore. Tito disse di no, e lui: “Eppure, viene dall’orina”. Da qui il detto pecunia non olet, che propriamente sta a significare che il denaro “non ha odore”, o, stando all’etimologia del latino olēre: “non esala odore”. Odore che di per sé quindi non è né buono né cattivo. Ma il contesto originario non fa pensare ad una moneta olente, nel senso di fragrante (l’olezzo è un odore piacevole, un profumo), quanto a una moneta che emana odore sgradevole: puzzolente. Termine questo che si forma da puzzo (cattivo odore), derivato dal latino parlato putiu(m) e da putēre = puzzare (mandare, fare puzzo).
Paolo Zolli, alla voce puzzo nel DELI (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, 1985), dice anche che il termine risale al XIII secolo e che nel latino medievale di Venezia del 1227 si trova pucia, con una ‘a’ finale che farà della putja latina (da putīre) la puzza che lo Zingarelli riconosce come voce autonoma, variante letteraria di puzzo e variante pure dell’area settentrionale italiana, varianti associate alla forma arcaica spuzza, come sanno i veneziani ad est e i genovesi ad ovest, i quali la chiamano spussa. In laguna il diminutivo va a creare quel proverbio – a ognun ghe piaze la so spuséta – che non potrebbe avere un senso metaforico (a ognuno piace il proprio parere) se non avesse prima di tutto quello materiale, biologico, della “emissione rumorosa di gas intestinali”, che costringe la sgradevolezza dell’odore a restare in corpore vili, legata ai prodotti dell’attività defecatoria. Ai quali, in chiave olfattiva, si accosta la materia organica in avanzato stato di decomposizione e tutto ciò che è putrĭdus: putrido, putrefatto, fracido, rancido, guasto, marcio (Georges-Calonghi). Essere putrido e puzzare, putrēre e putēre (e putīre), vengono entrambi dalla stessa radice, come putrĭdus e putĭdus (puzzolente), come puter putris putre e putens. E questa radice è pu-, una radice che ha in sé l’idea di marcire (v. Francesco Semi, Interpretari, 1973).
La lingua italiana ha dunque sia il puzzo sia la puzza, e alla puzza s’accompagna, nel nord Italia e in ambito letterario, la spuzza. E se il Devoto-Oli avverte anche che “talvolta” la puzza è sostantivo “sentito come accrescitivo” del puzzo, si può allargare alla spuzza questa caratteristica rafforzativa. Possiamo quindi concludere che quando Papa Francesco nel suo discorso alla popolazione di Scampia, a Napoli, il 21 marzo scorso, ha gridato che “la corruzione spuzza” non è andato fuori dalle norme della lingua italiana, tanto che gli organi di stampa hanno messo le virgolette al vocabolo pronunciato più volte dal Papa o lo hanno giustificato come lapsus dialettale dovuto alle sue origini liguri (in realtà piemontesi: il suo bisnonno era di Portacomaro in provincia di Asti). Ma la sorpresa maggiore viene dal sito stesso del Vaticano, che ha “depurato” il termine usato dal Papa. Si legge infatti nel testo ufficiale: Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti, nessuno di noi può dire: “io non sarò mai corrotto”. No! È una tentazione, è uno scivolare verso gli affari facili, verso la delinquenza, verso i reati, verso lo sfruttamento delle persone. Quanta corruzione c’è nel mondo! È una parola brutta, se ci pensiamo un po’. Perché una cosa corrotta è una cosa sporca! Se noi troviamo un animale morto che si sta corrompendo, che è “corrotto”, è brutto e puzza anche. La corruzione puzza! La società corrotta puzza! Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza!
Un vero eclatante errore è proprio questa correzione del Vaticano, perché a un Papa Bergoglio che vuole essere un pastore, e che chiede ai sacerdoti di “essere pastori con l’odore delle pecore” (Messa Crismale del giovedì santo, l’anno scorso), a un Papa Bergoglio che, pastore tra il suo gregge, ama uniformare ad esso il suo linguaggio e si congeda proprio dai napoletani con “A Maronna v’accumpagne”, a un Papa Bergoglio, la cui sensibilità biologica fa indicare il vero problema sociale (“il problema non è mangiare, il problema più grave è non avere la possibilità di portare il pane a casa, di guadagnarlo!”… e si prende la pizza che un popolano gli offre), a un tal uomo, che ha coraggio di dire pane al pane, e spuzza alla puzza, è bene non indebolire la parola che detta così come l’ha detta ha tutta la forza del grido: “LA CORRUZIONE SPUZZA!”.
Paolo Anelli