Noto: l’Unuci per la “Storia di Pachino”
NOTO: l’UNUCI per la “STORIA DI PACHINO”di Emanuele U. Muscova
NOTO – Venerdì 20 Marzo 2015, nell’aula del Seminario Vescovile, il Programma “Incontri culturali del Marzo 2015” previsti dalla locale Sezione UNUCI (Unione Nazionale degli Ufficiali in Congedo) di Noto – dopo la brillante e riuscitissima Conferenza dell’On.le Avv. Sofia Amoddio in Sala Gagliardi il 6 dello stesso mese – si è concluso con l’Incontro dell’Autore dir. prof. Emanuele Umberto Muscova, che ha relazionato in maniera brillante ed esaustiva sul suo recente libro “Storia di Pachino”, introdotto dall’amichevole conversazione di Mons. Giuseppe Malandrino, Vescovo Emerito di Noto, che ha promosso e finanziato l’opera. Pubblichiamo con piacere una sintesi dell’intervento di Mons. G. Malandrino e la relazione del prof. E.U. Muscova, ringraziandoli per la loro prestigiosa presenza e collaborazione con l’UNUCI-Noto. B. Iacono
INTRODUZIONE DI MONS. G. MALANDRINO
La presentazione del libro sulla “Storia di Pachino” a Noto è senz’altro da ritenersi un bel “segno dei Tempi”: due Città vicine geograficamente, ma con storia molto differente, come anche appare apertamente da un altro volume dello stesso nostro Autore sulla “Storia di Noto”, recentemente pubblicato. Ed è significativo in questo contesto che a scrivere una “Storia di Pachino” sia proprio un Netino pur essendovi state, soprattutto in quest’ultimo periodo, una buona dovizia di opere sulla Storia pachinese.
Mi tocca allora, e lo faccio proprio ben volentieri, esprimere stima e complimenti, assieme ad un grazie vivissimo al caro nostro Autore, il cui volume ha avuto un parto alquanto tormentato. Appena sono venuto a conoscenza di questo lavoro rimasto nel cassetto, mi son dato da fare in tutti i modi, con alcuni amici, per la sua pubblicazione.
Conoscevo bene, d’altronde, ed apprezzavo il caro prof. U. Muscova per vari altri scritti e parecchi concernenti proprio Pachino e i suoi abitanti: tanto più che si era calato nella vita pachinese da buon Docente e Preside o Dirigente che dir si voglia. Anche qui è valso il detto evangelico: ” Non si accende la lucerna per metterla sotto il moggio.” e poi il Tesoro nascosto non può restare sotto terra ma occorre dissotterrarlo e utilizzarlo!
E, allora, il sottotitolo del libro che anch’io come voi ho trovato in copertina: ”A cura di Mons. Giuseppe Malandrino” vuole significare solo l’atteggiamento evangelico e, mi si permetta in questo caso, “paesano” di chi è in ricerca per valorizzarli della “perla preziosa” o del “tesoro nascosto”…Diciamolo, poi, chiaramente: senza dubbio oggi abbiamo soprattutto bisogno e urgenza dei beni economici ( citiamo appena: Lavoro – Sanità – Scuola – ecc.), ma non possiamo certamente emarginare o cestinare i beni morali, civili e culturali, senza escludere quelli religiosi, pur nel rispetto della libertà di ciascuno: sarebbe un suicidio comunitario! Tanto più che, come diceva Sua Santità San Giovanni Paolo II “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro!”
Certo, non è difficile riconoscere che, mentre la memoria di Noto risale ab immemorabili, questa di Pachino è datata al 21 luglio 1760. Si comprende, così, la seria difficoltà per Pachino di formarsi come Comunità, vista anche la provenienza dei suoi abitanti da Malta e dai vari comuni viciniori: verso le quali località Pachino non può non nutrire vera e duratura gratitudine.
Nei riguardi specifici di Noto desidero citare appena qualche “spaccato”: – lo scambio commerciale, culturale e lavorativo – le tante Personalità pachinesi formatesi nelle Scuole Superiori di Noto – per non parlare della Diocesi di Noto alla quale Pachino deve molto e…viceversa!
Tornando all’argomento del nostro incontro, voglio ricordare che ci si accosta ad un libro del genere come quello del ns. Muscova non per semplice sete culturale o, peggio, per sola curiosità, ma come nutrimento vitale, se è vero che “Historia magistra vitae”. Infatti, ho ferma fiducia che volumi come questo – per fortuna non “figlio unico di madre vedova” – non possono non dare un valido contributo alla crescita globale del nostro Territorio negli ambiti della Moralità, Legalità, Lavoro, Sanità, Ambiente, ecc.!
L’interessante è che la storia non sia studiata o letta come adorazione intoccabile delle ceneri, ma come spinta ad un continuo miglioramento, proprio come dice Mahler: “ La storia significa tener vivo il fuoco e non adorarne le ceneri ”, appunto perché la vita di ciascuno di noi e di ogni città “…crescit eundo…”!
E non dimentichiamo mai che “…si cresce e si vince uniti…”: la discordia e le lotte tarpano le ali; sentiamoci invece spronati dalla storia di ieri e dalle situazioni e apporti di oggi con confronti scambievoli costruttivi secondo l’antico motto “ Imitamini carismata meliora” ! Letture come quelle di questo libro sulla “Storia di Pachino” possono indubbiamente suggerire e favorire la crescita delle nostre Comunità, l’usufruire e far tesoro delle esperienze passate, l’amore alla propria Terra (“Nihil volitum nisi praecognitum=Nulla è voluto che non sia stato prima conosciuto), la conoscenza e l’emulazione dei nostri Uomini illustri secondo l’incitamento foscoliano “A egregie cose…”, infine quel giusto senso dell’Umiltà che ci ricorda che “ Il mondo non inizia con noi perché non era all’anno zero”, e ci libera dalla concezione che “Lo Stato sono Io!”, come esclamava Luigi XIV di Francia.
RELAZIONE DELL’AUTORE DIR. PROF. EMANUELE UMBERTO MUSCOVA
Ripresentazione del libro di Storia di Pachino
Rivolgo il mio reverente saluto a Mons. Giuseppe Malandrino,amato Vescovo Emeri-to di Noto,ai Presidenti dell’UNUCI e del MEIC,ma anche ai concittadini presenti. In verità debbo confessare che,dopo la presentazione del mio ultimo libro di Storia di Pachino del 3 gennaio 2014 nella Sala parrocchiale di S. Corrado a Pachino, non pensavo di ripresentarlo a Noto,mia città natale,ma l’amico Biagio Iacono, nuovo Presi-dente dell’UNUCI, con l’autorizzazione di Mons. Malandrino, il mecenate di questa mia modesta pubblicazione,tale presentazione è stata inserita nel programma mensile dell’Associazione.
Inizialmente debbo estrapolare dal libro questa brevissima premessa. Non mi nascondo che dopo avere scritto e pubblicato alcuni testi di Storia e di archeologia di Pachino,potrebbe sembrare strano il fatto che io abbia riaperto il discorso sulla preistoria e sulla storia predette. E’ assai noto alle persone di cultura il concetto scientifico che vuole che lo storiografo,nella stesura del suo lavoro,non lo possa fare una volta per tutte,perché non è detentore di tutte le conoscenze sull’argomento trattato;infatti la storia odierna è una scienza umana in costante crescita,non solamente nella sua strut-tura epistemologica,ma anche nei suoi contenuti,legati alla documentazione in atto disponibile,ma suscettibile di ulteriore crescita con la ricerca e il possibile ritrova-mento di nuove testimonianze archivistiche ed archeologiche in seguito a nuove ricerche e ai nuovi scavi specifici. La cultura in generale,com’è a tutti noi noto,è soggetta al fenomeno dell’obsolescenza, e quindi va costantemente aggiornata, e così avviene per la cultura storica.
Mi pare giusto sottolineare che dopo le pregevoli pubblicazioni del prof. Giuseppe Drago, del Pastore Valdese Pietro Valdo Panascia, della professoressa Rosa Savarino, del giornalista Corrado Arangio, di Mons. Salvatore Guastella, storiografo ecclesiale e di altri ancora, compreso il mio breve testo sui Pachinesi di Toronto, non potevo non sentire l’esigenza di aggiornare i miei ultimi libri di storia e di archeologia. Il presente libro ha visto la luce per la generosità del mecenate della cultura Mons. Malandrino.
In ordine alla preistoria pachinese debbo dire che fu merito del dottor Paolo Orsi l’iniziare ad eseguire le sue esplorazioni archeologiche sul finire dell’Ottocento nell’area del Promontorio di Pachino, offrendoci i quadri preistorici dei reperti rinvenuti sia nella Grotta Corruggi, sia in quella di Calafarina, sia nella Necropoli castellucciana di Calafarina. Per ciò che riguarda la più antica Grotta Corruggi gli scavi furono ripresi direttamente ed in modo archeologicamente più corretto dall’archeologo ligure prof. Luigi Bernabò Brea, che, pur nel rispetto nei riguardi del dr. Orsi, si rese conto dello scavo tecnicamente inesatto, perché Orsi si era servito di un gruppo di collaboratori, e gli scavi non erano stati da lui direttamente controllati. La Grotta dava reperti di due culture, nello strato superiore quella dell’Età Neolitica, poi in uno strato intermedio una condizione sterile di reperti, in quanto per circa un millennio e oltre la Grotta era rimasta disabitata, e poi nello strato più antico quella risalente all’Età Paleolitica Superiore. Il Museo Orsi conserva tutti i reperti trovati dai due archeologi.
Grotta Calafarina
Era una piccola comunità di cacciatori e di pescatori, com’è dimostrato dai reperti rinvenuti. Ma la Grotta Calafarina forniva reperti dell’Età Neolitica e dell’Età del Rame, ma anche di tempi successivi. Se ci spostiamo dalla Grotta alla Necropoli di Cala-farina, costituita da tutta una serie di tombe a grotticella artificiale, troviamo reperti archeologici costituiti da asce silicee, punte di frecce e di giavellotti, resti di giada, vasi di vario tipo e grandezza e qualche lamina di bronzo, materiale che ha consentito agli studiosi di conoscere il modulo di vita degli uomini preistorici.
Procedendo rapidamente avanti nel tempo occorre dire che mitologicamente l’area del Promontorio dagli antichi venne considerata il Refugium Apollinis e l’Anthera Apollinis, ossia la Porta di Apollo. Infatti è stato scritto dal grammatico ed erudito Ambrogio Teodosio Microbio nel IV sec.d.C. che secondo una tradizione una comunità di Libici venuti dalla vicina Africa aveva occupato tutte le aree del Promontorio, facendo razzie e stragi. Gli abitanti si rivolsero alla divinità per essere aiutati. Il dio Apollo non fu sordo alle imprecazioni e alle preghiere e punì la tracotanza degli invasori facendo scoppiare una terribile pestilenza, che li decimava e costrinse i Libici ad andar via, ritornando in Africa; pertanto al dio Apollo venne attribuito il soprannome di Libystino, ossia uccisore dei Libici. Per questa sua protezione gli abitanti del Promontorio gli costruirono templi. Il tempio di Apollo della Magna Grecia potrebbe essere quello di S.Lorenzo, che sta alla base della Cripta bizantina all’interno di un attuale frantoio, tempio individuato da Orsi e studiato e relazionato dal prof. Giuseppe Agnello, illustre archeologo della civiltà cristiano-bizantina.
L’area predetta fu meta di Fenici con i loro commerci, di Greci colonizzatori,di Punici invasori e di Romani conquistatori. Vi passarono i Greci che si recavano nell’isola d’Elba alla ricerca dei metalli; nel 357 a.C. vi passò il siracusano Dione diretto all’occupazione di Siracusa in assenza di Dionigi il Giovane, che lo aveva esiliato. Nel IV sec. a.C. vi approdò con la sua flotta il generale cartaginese Imilcone diretto all’occupazione di Eloro. Nel 212 a.C. vi passò il cartaginese Bomilcare, che portava aiuti a Siracusa,assediata e poi occupata dalle legioni del console romano Claudio Marcello. Nel 72 a.C. vi approdò la flotta romana guidata dal generale siracusano Cleomene ,il delfino del Governatore Caio Verre, ma fuggì appena gli arrivò la notizia che nel porto Ulisse si trovavano le navi dei pirati, che poi lo inseguirono e gli incendiarono le navi. A Portopalo si trovano ancora gli avanzi del laboratorio del garum, una sorta di salsa ottenuta dalla macerazione di pesci e fatta essiccare e posta in anfore d’argilla per essere inviata a Roma, perché i Romani ne erano ghiotti, secondo la tradizione.
Nel 64 d.C. vi approdò S. Paolo secondo gli Atti degli Apostoli, prima di recarsi a Ro-ma per essere processato e condannato. Nel IV sec. vi approdò S. Ilarione proveniente dalla Palestina in cerca di un luogo solitario dove poter pregare, come aveva già fatto nel deserto. Nel periodo cristiano-bizantino si registrarono nuovi insediamenti e sorsero basilichette, come la Trigona ed altre distrutte dal tempo e dagli uomini. Di tali presenze sono testimonianze certe anche gli scafi delle navi bizantine rinvenute nel pantano Longarini e al largo del porto di Marzamemi. All’arrivo delle armate arabe di Al Forat nel IX secolo ci furono pure piccole comunità musulmane, ma di esse rimane solamente la traccia di un acquedotto, rinvenuto casualmente durante lavori agricoli. Ma con l’arrivo dei Normanni fu introdotto l’Ordinamento feudale, così in periodo aragonese il territorio di Scibini divenne una baronia e fu affidata a Gagliardetto di Mont Cloup. Nel 1396 la baronia fu acquistata dall’acrense Mainetto Sortino, ricco possidente dimorante a Noto Antica, che poi l’anno successivo venne investito del titolo di barone dai monarchi Maria e Martino I il Giovane..
Procediamo più rapidamente. Durante il regno di Filippo II, Re di Spagna e di Sicilia, la nobildonna Ippolita Sortino ereditò dal padre D.Vincenzo il feudo e il titolo di baronessa nel 1558 e nel 1562 contrasse matrimonio con il nobile di Piazza Armerina Gian Francesco Starrabba. E da quella data in poi ne furono feudatari gli Starrabba fino ad arrivare a D. Gaetano Starrabba, principe di Giardinelli che, volendo ottenere un posto nel Parlamento di Sicilia e i relativi privilegi, nel 1758 inoltrò una supplica al Re di Napoli e di Sicilia Carlo VII, meglio conosciuto come Carlo III Re di Spagna. Il Re gli diede conferma con un suo decreto dello stesso anno. Il principe di Giardinelli non potè ottemperare alle disposizioni reali, ma non si arrese: infatti il 19 febbraio 1760 inoltrò una nuova richiesta al nuovo Re Ferdinando IV di Borbone, che il 21 luglio dello stesso anno lo autorizzò con un nuovo decreto contenente obblighi meno onerosi di quelli stabiliti dal padre. Questa volta D. Gaetano con la collaborazione del fratello D. Vincenzo riuscì ad ottemperare a tutte le disposizioni reali fondando una nuova terra, ossia la città di Pachino, il titolo che il territorio del Promontorio aveva avuto nel tempo storico, sin dall’antichità, ma la città sorse nel feudo Scibini.
Occorre dire che se gli adempimenti furono opera di D.Gaetano, l’edificazione della città di Pachino con la formazione di un’economia nel feudo fu opera del fratello Don Vincenzo, che fece edificare la chiesa del Crocifisso, inaugurata nel 1790. Si venne a formare una comunità di contadini e di pescatori, ma anche di professionisti. La città degli Starrabba cresceva e nel 1840 con decreto reale le si aggregava la borgata di Portopalo di Capopassero, che aveva goduto di una lunga autonomia come comunità di pescatori, forse sin dal Medioevo. Nel 1837 durante la rivolta antiborbonica di Siracusa l’avv. Diego Arangio fu coinvolto nella ribellione e dovette emigrare a Malta ed in Egitto. Durante la rivoluzione antiborbonica del 12 gennaio 1848 Pachino vi partecipò e venne eletto deputato al Parlamento rivoluzionario di Palermo il medico pachinese dott. Raffaele Garrano,che morì suicida in un carcere borbonico di Catania perché non volle ritrattare la sua partecipazione al varo della legge di decadenza dei Borboni dal trono di Sicilia. Ma con la restaurazione era tornato in esilio Diego Arangio con il genero prof. Antonino Adamo, a seguito del Presidente cav. Ruggero Settimo dei principi di Fitalia, dell’avv. Matteo Raeli, dell’avv. Salvatore Coffa Ferla e di altri ancora.
Il territorio pachinese nel 1897-8 venne fatto oggetto di esplorazioni archeologiche, a cui si è accennato. Nel 1899 avvenne un fatto nuovo che creò non pochi problemi al parroco Simone Sultano: fu l’arrivo a Pachino del colportore ragusano Biagio Panascia, valdese di religione. Mi fu spiegato dai Valdesi di Pachino che il colportore era colui che vendeva libri per diffondere la fede dei Valdesi. L’opera della famiglia Panascia fu importante per le opere sociali che fece, come l’asilo infantile gratuito, l’alfabetizzazione degli adulti e la costituzione di una banca per offrire ai contadini e agli artigiani prestiti, sottraendoli all’usura imperante in quel tempo a Pachino, secondo la tradizione.
Adesso traccio brevemente un quadro storico-politico-economico-religioso di Pachi-no nel Novecento, perché è importante conoscere la crescita della città in tutti i suoi peculiari aspetti. E’importante evidenziare il dato che il marchese D. Antonio Starrabba di Rudinì, lasciata la politica dopo esserne stato ai vertici, si dedicava alla cura delle sue proprietà di famiglia a Pachino nella veste di imprenditore d’alto profilo, migliorando la sua condizione economica, ma apportando anche benefici alla sua città d’adozione. I rapporti religiosi tra le due chiese locali (cattolica e valdese) non furono mai del tutto chiari, quindi non improntati alla pacifica coesistenza nel rispetto reciproco o come si usa dire nel nostro tempo ad una visione ecumenica del Soprannaturale che non era ancora un concetto del tempo.
Nel 1901 nacque l’Asilo valdese: ”L’dea nacque dalla constatazione che tanti bambini pachinesi, se poveri, venivano tenuti sulla strada con i possibili rischi e in assenza di un’attività educativo-formativa. Il Consiglio della Chiesa Valdese deliberò l’istituzione dell’Asilo Redentore”. Sul piano religioso il Vicario Curato don Simone Sultano nel 1901 richiese al Vescovo Mons. Giovanni Blandini di volere rendere indipendente la Chiesa Madre di Pachino dalla Cattedrale di Noto e il Vescovo non tardò a con-cederla, se il 24 marzo 1902 emise la Bolla Vescovile autorizzativa a tal riguardo. Nonostante le perplessità del parroco Sultano per la presenza della Chiesa valdese,i cattolici a Pachino crescevano anche di numero, e nel 1905 veniva inaugurata la chiesa della Madonna di Pompei per suo merito. Ad essa poi nel 1913 sarebbe stato annesso l’Asilo infantile Principessa Iolanda.
Per migliorare l’economia pubblica e privata fu istituita una banca denominata “Società Cooperativa di Produzione e Lavoro” il 12 gennaio 1908. Lo scopo era quello di migliorare le condizioni economiche dei suoi soci, ma anche quello di esercitare il credito agrario. Quindi fiorivano tante iniziative anche per il merito della famiglia Panascia. Purtroppo nello stesso anno, il 7 agosto, arrivò la notizia della morte a Roma del marchese Antonio di Rudinì, ed era una grave perdita per Pachino, perché era stato il promotore di tante iniziative importanti per la crescita economica della città del Promontorio. Infatti il suo erede marchese Carlo Emanuele Starrabba non fu all’altezza del padre, lasciando le proprietà in mano agli amministratori e riducendosi in condizioni economiche precarie.
Nel 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, le forze produttive della città partirono per i vari fronti e l’economia ne risentiva tantissimo. Furono in sostituzione impiegati gli anziani, le donne e i ragazzi. Finita la guerra, molti pachinesi non tornarono, essendo caduti nei vari fronti di guerra, non pochi tornarono invalidi, ma le forze valide tornarono nei loro posti di lavoro e l’economia gradualmente tornava a crescere. Gli ex-Combattenti costituirono la “Cooperativa Anonima di Produzione e La-voro fra combattenti”. La Chiesa Cattolica si riorganizzava facendo nascere l’Azione Cattolica. Le forze-lavoro erano sempre molto attive e nel 1925 istituivano la S.A.I.P.,cioè la Società Anonima Industriale di Pachino e nel 1928 l’Impresa Elettrica Garrano. Tali società attivavano commesse e lavoro per i soci. Come si vede non mancavano le buone iniziative, che facevano crescere l’economia delle famiglie. Altra iniziativa era la costituzione di cantine sociali nel 1933,come la Di Rudinì e l’Enopolio.
Quindi negli anni Trenta si registrava una crescita economica legata al notevole impegno di lavoro della popolazione, stimolata anche dagli interventi degli Istituti di Credito locali. Si trattava di gente abituata alla fatica e al sacrificio,come poetava il maestro e poeta Salvatore Cagliola nella sua poesia “Risurrezione: Un’epopea di eroi,/uomini rotti dalla fatica/in simbiosi con la terra madre.”
Finalmente nel 1935, dopo un lungo e duro lavoro di sbancamento dei terreni rocciosi calcarei tra Noto e Pachino e la costruzione di ponti, una locomotiva a vapore trainando i carri e ansimando arrivava a Marzameni e a Pachino: era l’alba di un nuovo giorno per il rilancio dell’economia agricola ed ittica. Si trattava della ferrovia Noto-Pa-chino, che avrebbe consentito una crescita economica per le esportazioni di uve, mosto e pesce in Sicilia e nel continente. L’interesse per l’edilizia scolastica non mancava, se il 28 ottobre del 1936 per l’impegno dell’Ispettore Scolastico, cav. Mauro Fortuna già Podestà di Pachino, veniva inaugurato l’edificio scolastico per la scuola elementare di Via Cirinnà, il primo sorto a Pachino, costruito dall’ingegnere netino Giantommaso Sallicano.
Il 10 giugno 1940, dopo un anno di neutralità, il Capo del Governo fascista cav. Benito Mussolini entrava in guerra a fianco della Germania hitleriana e Pachino doveva sopportare i bombardamenti: l’economia della città subiva una grave flessione. Nel luglio del 1943 arrivò a Pachino l’ottava armata del generale Montgomery, occupando Portopalo, Marzamemi e Pachino, ma per la lungimiranza del Comandante inglese della città si attivava prestissimo l’amministrazione civile, la prima dell’Italia post-fascista.I treni tra Noto e Pachino riprendevano le loro corse, riprendeva l’attività produttiva, migliorava l’economia pubblica e privata. Le famiglie della classe operaia per la loro crescita finanziaria potevano mandare i loro figli a studiare a Noto e a Siracusa, e poi all’Università perché i giovani potessero avviarsi ad esercitare le libere professioni.
Il Seminario Vescovile accoglieva i giovani seminaristi di Pachino, e tra di loro Giuseppe Malandrino,il futuro Vescovo di Acireale e poi di Noto, dopo avere ricevuto i primi insegnamenti da Mons.Vincenzo Spiraglia, un parroco di alto livello culturale. Era il primo Vescovo nato a Pachino, un orgoglio per i concittadini. Nel dopoguerra venivano riprese le ricerche archeologiche nel territorio di Pachino a cura del prof. Luigi Bernabò Brea con risultati interessanti, di cui abbiamo già parlato. Sul piano sociale si registrava il processo migratorio in cerca di migliori condizioni di vita, prima verso il Venezuela e gli U.S.A. tra il 1952 e il 1958: era il momento storico in cui a Pachino cominciava a mancare il lavoro. Ma poi il flusso migratorio si volgeva verso il Canada, dove i Pachinesi – gente molto dedita al lavoro – dimostrava di saper lavorare in diversi settori, per poi organizzarsi e dirigere le proprie aziende, come ho riferito nel libro. Ma sapevano anche esportare le loro tradizioni culturali popolari e religiose, tanto che nasceva la festa della Madonna Assunta a Toronto, inaugurata il 26 agosto 1973. Tutte queste notizie le devo al dr. Franco Calì e al cav. Sebastiano Di Lo-renzo, che mi hanno fornito le pubblicazioni edite a Toronto dai Pachinesi emigrati.
La presenza attiva degli emigrati con le loro rimesse monetarie presso la Banca Agricola ed Artigiana di Pachino,oggi Banca di Credito Cooperativo, incrementava l’economia della città e dei parenti degli emigranti. Sul piano scolastico nascevano le Scuole Medie Superiori a beneficio di tanti ragazzi che potevano frequentarle, senza doversi spostare dalla loro residenza. Per il merito particolare dell’indimenticabile Mons. Vincenzo Spiraglia nascevano nuove chiese in città, come le chiese di S. Corrado, dei Santi Angeli Custodi, di S. Giuseppe, del S. Cuore di Gesù, di S. Francesco d’Assisi: era un momento storico importante per la Chiesa locale. E poi va ascritto al merito del compianto Preside prof. Pietro Moncada, promotore, se nasceva in città una Biblioteca Comunale per la crescita culturale dei cittadini frequentanti. Avevo preparato il secondo fascicolo delle Personalità Pachinesi, ma tardandosi la pubblicazione ho ritenuto di poterlo accorpare al libro.
Adesso mi avvio rapidamente alla conclusione, dicendo che il libro conta circa 270 pagine corredate di immagini a colori e in bianco e nero illustrative del testo. Ho inserito una cronologia a beneficio degli studenti che potrebbero incrementare le conoscenze storiche, ma anche a tale scopo un’ampia bibliografia aggiornata. A questo punto mi fermo, non volendo abusare ulteriormente del vostro benevolo ascolto, ma debbo nuovamente ringraziare il nostro sempre caro Vescovo Mons. Malandrino, sempre legato o interessato alle opere sulla sua città natale e quindi generoso promotore di questa nostra spero piacevole serata. Lo faccio unitamente al prof. Biagio Iacono, giornalista, editore e Presidente dell’Unuci di Noto. Cordialmente ringrazio soci, simpatizzanti,amici e concittadini che avete con la vostra graditissima presenza onorato la mia modesta pubblicazione. Grazie ancora!
Emanuele Umberto Muscova
NOTA BENE: Le foto della serata sono del Cap. Prof. FRANCESCO CAPODICASA che ringraziamo.