Avola: presentato “Minuscola briciola” di Antonio Caldarella.
Ad AVOLA in Sala Frateantonio, il 22 aprile 2015, presentata:
“Minuscola briciola” silloge poetica di Antonio Caldarella
di Grazia Maria Schirinà
Come ha opportunamente chiarito nella sua “Prefazione” il dott. Giovanni Stella, il titolo “Minuscola briciola” è il nomignolo, quasi soprannome, che Antonio si è attribuito apponendolo a varie poesie dopo la sua firma. Sin da questo titolo, siamo indotti a riflettere sul tema e sulla valenza metaforica che su questa mensa poetica l’autore ci vuole presentare. Briciola infatti, (dal lat. brisiare «rompere»; cfr. fr. Briser) è il piccolissimo frammento di pane spezzato che cade sulla tavola. “Briciole di pane” è la continua e ripetuta metafora utilizzata per dipingere la semplicità delle cose che intervengono nella vita di ciascuno; tant’è che spesso diciamo che “cu mancia fa muddichi”. Oserei dire che il concetto è ambivalente nel senso che siamo noi stessi a produrre briciole e nello stesso tempo briciola, cioè un niente, una piccola cosa, che, addirittura minuscola passa inosservata nonostante, spesso, le piccole cose siano le più importanti.
Quella della briciola è una metafora spesso utilizzata per indicare, all’interno di una cornice post-moderna, persone che sentono il diritto di essere come sono, che non si difendono da qualcosa di specifico ma scelgono una modalità di comportamento che sentono adatta a loro, più o meno consapevolmente guidati dai modelli culturali in atto. Ogni umano fa i conti con il proprio vissuto e la storia di ognuno di noi è l’esito della storia che proviene da più generazioni. Trapper si definisce l’autore (Ciao, mi dici che sei un rapper), una persona cioè che ricerca il contatto diretto con la natura equipaggiata del minimo indispensabile: è proprio in questo modo che si attua la ricerca della verità attraverso una completa adesione a se stessi, cogliendo le sfumature della vita nella sua semplice complessità.
Alcune poesie sono datate, non tanto e non solo perché all’interno o a chiusura di esse è apposta una data, quanto piuttosto perché fanno riferimento a fatti di storia ben precisi vissuti come dramma dalla squisita sensibilità dell’autore: le stragi (Palestina… 7-01-2009), le morti sul lavoro, Lampedusa e l’immigrazione (Le pietre sulla battigia), gli assalti e le torture (Quando arrivarono)… temi le cui ripercussioni sociali sono ancora oggi di grande attualità, se si pensa a quanto poco sia cambiato dalla data di composizione di questi testi e quanto sia lento e “comodo” il percorso burocratico. Ogni poesia ripercorre una tappa della macrostoria e della microstoria personale, rendendoci partecipi del dramma umano, singolo e collettivo, che insieme abbiamo percorso: l’abbraccio forte alla vita espresso in “31 marzo 2003/2008”, appena un anno prima della dipartita, nella convinzione speranzosa di aver sconfitto il male, di lunedì, inizio di una nuova settimana e di una nuova vita si fa evidente: Festeggio oggi la mia nuova vita/ e la più grande vittoria della mia vita/ contro il cancro. Questo attaccamento alla vita si percepisce sempre, anche negli accenni allo scorrere ineludibile del tempo diviso in frazioni di secondo, in cui ogni cosa è degna di essere ricordata: Spesso scrivo le date,/ per ricordarmi della vita/ e delle sue cazzate (“Spesso scrivo le date in lingua straniera”).
È difficile, oltre ai temi di francescana memoria, trovare il rapporto vita-morte espresso con la stessa semplicità e immediatezza con cui si esprime l’autore. In ‘Nica amica con convinzione crescente afferma che a morti… è comu ‘nu puntu a la fini di lu cuntu. La proposizione della punteggiatura come relazione temporale vita-morte la ritroviamo ancora in “Sento nell’aria” ove si passa dalla considerazione della virgola a quella dei due punti e del punto fermo; a quest’ultimo si arriva dilazionando la virgola nel periodo in cui i due punti/ con cui inizia il nuovo giorno/ scendono sempre di più/ verso la fine della pagina. La punteggiatura è inserita tra le parole della vita che sono da scrivere e curare, ma non da cercare, perché vengono da sole, come gli amori e hanno di per sé un senso pregnante e desiderio di ascolto, perché vogliose di raccontare la loro storia (La cura per gli amori). Una parola mai detta/ crea un vuoto/ che perfino il silenzio/ non riesce a riempire (Un viaggiare ripetuto).
Il libro indica un percorso o meglio un’esplorazione sentimentale attuata attraverso la ricerca dell’io più profondo. Le fondamentali tematiche esistenziali vengono proposte in una poesia che si snoda su considerazioni personalissime sul modo di essere e di vivere, a volte vere e proprie esternazioni, con degli incipit quasi sempre giocati sul presente, sulla concretezza dell’essere non disgiunta mai dalla riflessione. L’approccio emozionale di questi incipit, di volta in volta, dà spazio a una scansione che diventa sempre più partecipata e sofferta.
Si tratta di 67 poesie che contengono testimonianze di una vita vissuta intensamente, in cui il rapporto col prossimo non sempre è facile o felice, mentre il contatto con la natura sprigiona emozioni, cadenze, ritualità, luminescenze temporali. Alla luna, alla natura e ai fenomeni naturali sono dedicate alcune poesie introspettive che ci danno un ulteriore quadro della sensibilità dell’autore che si riscopre attraverso la scrittura; in questo gioco introspettivo troviamo il desiderio di ascendere sulla luna con una scaletta e di scoprire qui, come in un già vissuto, di riconoscervi consistenza e profumi (“La luna, forse sarebbe”); proprio sulla luna, ove il peso corporeo è inferiore di gran lunga a quello che si ha sulla terra, lui vorrebbe lasciare il cuore e correre sotto il suo chiarore in leggerezza per poi lasciare il… corpo esanime/ per indossare un’ombra di luce (“Vorrei correre in leggerezza”). Ritorna il pensiero della morte e della stanchezza del quotidiano per cui avverte la necessità di una sosta, preludio all’esanimità che lo vestirà di un’ombra di luce. Così, mentre gli amici iniziano a vivere contando anniversari,/ come perle sul filo[1] (“I miei amici iniziano a vivere”), per lui non è facile capire il palpito del cuore che ha ritmi asincroni che gli impediscono di segnare le battute sul pentagramma. Le metafore si fanno incalzanti tra la terminologia tratta dal mondo musicale e il malessere fisico con la consapevolezza del tempo che fugge, nel quale l’amore sfuma morendo con impercettibili fremiti di ali di farfalla (“Non è facile”). L’aritmicità del cuore che pulsa lo lascia quasi sgomento, nella condizione di non potere emettere alcun suono; bisogna difendere la propria postazione vitale fino alla fine, fino al the end che accomuna tutti (“Disertare la vita quotidiana”). Il tempo lascia inalterati i sogni e, nonostante i quarant’anni suonati, di fronte alla vita vissuta e ai suoi mutamenti, l’autore si scopre ancora poeta nel quotidiano (“A vent’anni è normale scrivere poesie”); eppure anche i sogni passano e il futuro sognato è già superato, spazzato dal vento/tempo. Allora, afferma il poeta, in una dimensione temporale, non bisogna leggere i sogni,/ ma lasciarsi leggere dai sogni (“I sogni sono come le nuvole”), che sono doni e bisogna saperli attendere (“Ci fanno credere che i sogni si dissolvano)..
Non poca parte vi trova l’amore, vissuto nella sua fisicità: nella carezza e nei baci desiderati, come nella colazione a letto, negli odori e nei sapori. Cosa chiede all’amore? Null’altro che amare (“Vorrei nuotare”).
Emergono notazioni di grande sensibilità nella ricerca di un orizzonte/confine da oltrepassare quando il cuore indugia al ricordo, al dolore, alla solitudine. La bellezza della donna innamorata porta in sé lo tsunami della passione che non ha primavere/ ma una sola e infinita stagione (“Mi hanno sempre detto); l’innamoramento produce sensazioni di ebbrezza (“Ho bevuto un frullato di stelle”), che rischia di diventare sconforto di fronte a un fallimento. Con ironia tuttavia, l’autore cerca un suo spazio in internet, facendosi portatore di una nuova moda-mania che annulla in uno stato virtuale e in un luogo sconosciuto anche il dolore (“La mia ragazza mi aveva lasciato”). Quando l’amore è interrotto brucia e la lontananza dalla persona amata è una sofferenza incolmabile; solo la scrittura può raccontare l’amore (“Ti scrivo da”) con le sue parole; l’assenza di parole è incomprensione, è mancanza di comunicazione, mentre ogni cosa, anche la meno sospettata, comunica quanto ha vissuto (“Non ho niente da dirti”). Ma il desiderio di godere delle piccole cose del quotidiano, si affaccia sempre nella mente e sogno diviene lo svegliarsi insieme e cedere all’amore appagante (“Vorrei svegliarmi con te). La vita è breve e il nemico è sempre in agguato; è breve, piccola e nello stesso tempo grande e infinita, nella quale veniamo ammanettati subito, appena nati e trascinati in un turbine che è già morte (“Che piccola vita abbiamo”). In questo status non è la luce a dominare, bensì la penombra nella quale custodiamo i nostri segreti più intimi. L’autore è attratto come il girasole dalla luce solare (“Un mese fa ho comprato dei girasole”) e inneggia alla vita perché splendidamente dopo la notte arriva sempre un nuovo giorno (“C’è sempre un giorno in cui qualcosa ha fine”).
Un testamento comportamentale lo ritroviamo in “Non sposto nessuna persona” in cui metaforicamente parla di se stesso e del suo impegno, della sua lotta contro la malattia e dell’onestà dei suoi comportamenti. La vita è bellissima!.. commenta compiendo il viaggio dentro di sé, perché vive di rappresentazione autentica della sua vita. Il teatro era la sua vita e per quello ha lottato e creato; di quello aveva bisogno: un mare di legno con tante candele su cui strusciare i piedi e battere le mani. Anche quello un sogno da vivere (“Di cosa hai bisogno”). A Pietrasanta, il 5 aprile de 2008 compiva i suoi 49 anni e sognava nuovi sogni, rincorrendo il sole (“Sono a Pietrasanta”).
Non manca in questa raccolta la ricerca del trascendente che aleggia in più punti e si fa più evidente in “Mi chiedi due parole”, “Era notte ed eravamo silenziosi” e in “Il cedro alto piegato al vento”, l’autore, in preda alla solitudine, si trova a pregare e a chiedere perdono. L’Infinito, il Nulla, l’Amore verso cui tutti tendiamo sono inseriti quasi a caso nell’opera, ma denotano una consapevolezza nuova della trascendenza.
L’humus culturale di cui sono espressione i singoli componimenti è innovativo e creativo, espressione di vita vissuta nel quotidiano con la sua problematicità ma anche con la sua vitalità e, soprattutto, con il mare e il suo mondo, i suoi odori e i suoi colori, le sue albe e i suoi tramonti: quadri ricchi di cromatismi e fragranze, che dettano i ritmi dell’emozione o ne sono il conseguente sbocco. Antonio, oltre a tanti componimenti, ha lasciato anche tanti quadri e disegni, come quello inserito in questo libro e che, come ogni sua opera, è una diretta testimonianza dell’habitat da cui si sprigiona il suo pathos poetico. Quando ci si addentra nella lettura, ci vengono incontro poesie in cui l’urgere delle emozioni è sapientemente contenuto: l’oggettistica presente, citata nelle varie dimensioni e nei vari luoghi esaminati, diventa essa stessa oggetto di emozioni e poesia, parte integrante del vissuto, movimento e stasi in situazioni di perenne rinnovamento.
Si attua qui un abile, rigoroso esame della vita, cosa che la musicalità dei versi non nasconde, ma accentua nel desiderio di una luce (“Portami un cesto d’allegria”) che rischiari le penombre, i dubbi, le sofferenze, la malattia, il dolore… una luce d’amore come iperbole purificante, la presenza forte e vivace dell’altro, i suoi occhi, le sue labbra, le mani, a volte solo il ricordo di lei che è andata via e ha lasciato il nulla.
La composizione poetica, dal punto di vista strutturale, è espressa in versi liberi, a volte prosa lirica, mai forzatamente costruiti, e sempre congeniali al sentimento; il ritmo imposto ai versi sa dare degno risalto alle parole ondeggiando tra “la calma ragionata delle riflessioni, quella inquietante delle solitudini, lo stupore partecipativo delle visioni, dei ricordi, la travolgente adesione alle passioni”.
In queste poesie c’è Antonio e la sua determinazione, il suo ordine/disordine, e la sua cocente volontà, la sua voglia di vivere; la sua stanza e la sua veranda sul mare dove ha smarrito e trovato tante volte la sua vena, il suo amore per la vita e l’ironia. La stessa terminologia adoperata si carica di ironia comportamentale, come nel caso di “I siciliani” o ancora “ Le Siciliane”, che tuttavia hanno un tono velatamente nostalgico nella rievocazione; in maniera inequivocabile poi troviamo il verso voglio solo ridere di me in “E non verrà l’amore con te” ove in una carrellata di situazioni tra il serio e il faceto, nella chiusa c’è una richiesta di perdono per non essere mai stato puntuale ed aver sempre perso il treno.
Contenuti critici, riflessivi, sentenziali, uniti a un’attenta lettura della realtà e all’esaltazione dell’elemento naturale, con totale adesione a esso, come scenario emozionale, e a un linguaggio poetico composto e innovativo, ricco di sottili giochi di parole, uniti a metafore e a frequenti ossimori, con introduzione di linguaggi diversi[2] e assonanze molto interessanti, ci danno contezza della levatura dell’artista. Sintomatico anche il fatto, come è stato rilevato già anche nella prefazione, che nessuna poesia porta un titolo: la vita non può avere titolo, e così la poesia che della stessa vita fa parte.
Grazia Maria Schirinà
[1] Ritorna la tematica della perla che già abbiamo scoperto nella precedente raccolta “Cronaca di un amore annunciato” in cui si diceva: I ricordi sono perle/sfilate da una collana/sparse perdute sulle piastrelle/algide e fredde/parvenze di vita/ rotolanti piccoli/occhi di pesce polare/ghiacci rotondi/caduti sotto il letto (Da “I ricordi sono perle”, pag.29)
[2] Troviamo inserite espressioni dialettali miste a frasi inglesi e francesi.