IL P.O.W. 369 A PRIOLO: UN CAMPO DI PRIGIONIA IN PROVINCIA DI SIRACUSA
IL P.O.W. 369 A PRIOLO: UN CAMPO DI PRIGIONIA IN PROVINCIA DI SIRACUSA
La strada SS 114 Siracusa-Catania, durante il ventennio non esisteva, fu realizzata quando cominciarono a comparire le prime fabbriche del polo petrolchimico.
Nel 1943 quelle zone furono teatro di scontri tra inglesi, italiani e i carri Tiger tedeschi del gruppo Schmalz. Il piano dell’asse prevedeva un ricongiungimento del gruppo motocorazzato tedesco, proveniente da Catania con le forze italiane che erano ancora presenti lungo il versante Palazzolo Acreide-Solarino. I carri tedeschi furono fermati presso Priolo Gargallo, in contrada Bondifè. Il ricongiungimento col 75° fanteria non fu più possibile e gradualmente si ebbe una ritirata fino alla piana di Catania. Qui ci sarebbe stata la difesa ad oltranza.
Nei giorni immediatamente successivi allo sbarco, gli inglesi allestirono un immenso campo di prigionia, sorvegliato da truppe di colore, in contrada Biggemi (Territorio di Priolo). Attualmente si possono vedere ancora gli edifici del comando inglese del campo, transitando lungo la statale n 114 da Siracusa in direzione Priolo-Catania (tenuta del marchese Specchi).
Questo campo fu designato con la sigla 369 P.O.W. Era molto vasto e giunse ad ospitare circa 7000 prigionieri. Si trattava di una zona malarica, sprovvista di alloggi e di qualunque servizio igienico-sanitario. L’unico modo che i prigionieri avevano per potersi lavare era quello di giungere, scortati a gruppi, presso l’attuale Marina di Priolo in modo da usufruire delle acque dello Ionio.
Coloro che furono internati in questo campo privo di ogni struttura, ebbero degli aiuti dalla popolazione priolese che cercò di lenire, le disumane condizioni di vita paragonabili solamente a quelle degli animali selvatici. Un ospite illustre fu il magnifico rettore dell’Università di Catania prof. Orazio Condorelli. Egli, si era opposto agli inglesi per il degrado che avevano causato ai locali dell’ateneo catanese. Come ritorsione gli alleati, gli fecero spazzare l’esterno della struttura universitaria e poi lo trasferirono al P.O.W. 369 di Priolo G. Il campo 369 P.O.W. di Priolo fu definitivamente chiuso nella tarda primavera del 1944 e i prigionieri furono trasferiti al campo 371 P.O.W. di Padula (Campania), nei pressi della Certosa. Il campo 371 P.O.W. di Padula, era un vero e proprio lager, si calcola che da lì passarono tra vivi e morti circa ventimila individui.
Oltre ai fascisti, ritenuti pericolosi, ospitò comunisti ed ebrei. Le fosse comuni pia piano si riempirono di persone debilitate che non avevano potuto usufruire di alcuna assistenza sanitaria. L’elenco sarebbe lungo ma il caso del gen. Nicola Bellomo che ne fu ospite, può rendere forse minimamente l’idea su come andassero le cose. Nicola Bellomo era un ufficiale in congedo, riammesso in sevizio per contingenze belliche. Il 15 settembre del 1943, nel clima di sfaldamento delle forze armate italiane, riuscì a racimolare dei militari che stavano dileguandosi e a contrattaccare i 300 genieri tedeschi che avevano minato il porto di Bari per sabotarlo. Riuscì con vari assalti a mantenere integro il molo e a fare attraccare le navi inglesi. Per tale motivo, ebbe vari riconoscimenti e perfino la medaglia d’argento ma il 28 gennaio del 1944, gli inglesi si presentarono nel suo ufficio e lo arrestarono. L’imputazione che gli fu fatta, risaliva al 1941 quando comandava un campo per prigionieri alleati, vicino a Bari. Era accaduto che due ufficiali inglesi, erano evasi e il tentativo di fuga era stato da loro reiterato. Nell’ultimo tentativo il gen. N. Bellomo aveva ordinato di sparare loro. Uno dei due fu ferito ma l’altro morì, per sua disgrazia quest’ultimo era imparentato con la casa reale inglese.
Nonostante le critiche mosse contro il suo processo da parte di giornalisti inglesi del ” Daily Express “ fu prima congedato in modo che non si svolgesse una causa ad un militare ma ad un civile, tutti gli atti a suo favore, furono fatti sparire (non doveva essere accusato perché aveva rispettato i regolamenti militari in tempo di guerra) e l’11 settembre 1945, a guerra finita, fu fucilato. Era stato abbandonato dallo Stato, un po’ come oggi sono stati dimenticati i due militari italiani in India. Talvolta non si riesce a capire se si è vittime del fuoco amico o nemico, pur tuttavia scrivendo la storia, bisogna renderne conto ai vincitori e meno, alla propria coscienza.
Alberto Giammanco