Noto: presentata la silloge poetica di Angelo Fortuna.
Noto: presentato “L’odore del Tempo” di Angelo Fortuna.
Noto, 06 Novembre 2015 – Il tempo che scorre inesorabile non fa paura e profuma di speranza per tutti, sia per i giovani che per i meno giovani. perché la vita è un bene prezioso ma soprattutto unico: abbattersi serve a poco! Meglio lasciarsi trascinare della sensazioni e dalle emozioni, magari con l’aiuto dell’arte e delle mille forme sotto cui si presenta agli occhi delle persone. In particolare, però, con l’aiuto della lettura e della poesia si possono superare i confini territoriali e temporali…
Queste, alcune delle riflessioni che il preside Angelo Fortuna, ex professore di lingua e Letteratura Francese, nel pomeriggio di Venerdì 30 Ottobre u.s. ha pubblicamente offerto, nella Sala Gagliardi di Palazzo Trigona a Noto, presentando la sua ultima opera letteraria: una raccolta di poesie, circa 60 in totale, dal titolo “L’odore del Tempo”, con la prefazione curata in maniera precisa e puntuale da Corrado Di Pietro.
Il titolo della raccolta non è stato scelto a caso: è lo stesso della prima composizione con cui essa si apre, ma soprattutto serve per “ lanciare” le sue molteplici riflessioni possibili sul significato della vita e sull’inevitabile scorrere del Tempo. Riflessioni che Angelo Fortuna prova a stimolare all’interno dell’anima e del cuore di chi legge le sue opere, fornendo attraverso gli strumenti letterari a disposizione un’interpretazione attuale del senso esistenziale della vita, che secondo lui dovrebbe essere sempre indirizzata alla ricerca della Bellezza, del Vero e anche del Giusto.
La poesia diventa per l’autore un’occasione per far scattare una scintilla: quella che ci proietta tutti verso l’Assoluto. Poesie che nascono dalla sua lunga esperienza tra la gente e tra i giovani, vissuta prima da professore e poi da preside, e sono ambientate tra le diverse realtà umane del nostro Sud-est di Sicilia ove arte, natura e bellezze architettoniche diventano un unicum spesso inesprimibile sino a quando l’Artista non ne svela l’anima coi versi od altro. In Angelo Fortuna sono tanti i riferimenti alla natura, ai suoi cicli giornalieri, alle piante che fioriscono e poi appassiscono od alle rondini in continuo viaggio a seconda delle stagioni climatiche: “L’odore del Tempo” cambia anche in base alle stagioni della vita, ma la speranza resta sempre immutata.
Dal piccolo palco di Sala Gagliardi alcune pagine di questa raccolta sono state lette ed interpretate dall’attore e regista catanese Davide Sbrogiò, il quale ha dato voce alle sensazioni espresse nei versi del Nostro, scrittore d’antico stampo. Se, infatti, pensiamo che Fortuna esordì nel lontano 1973 con “Il mio grido” di A. Solgenitsyn – pubblicato a cura di Biagio Iacono con la sua Sicula Editrice di Noto – e che da allora non si è più fermato, come documenta la sua ricchissima bibliografia, senza tema di smentite possiamo sottolineare come, chi voglia conoscere la nostra Città non possa ignorare i suoi libri che, in quasi mezzo secolo d’intensa attività giornalistica e letteraria, egli ha dedicato alle più importanti Personalità netine, fra cui Tina Di Lorenzo, Mariannina Coffa e Giuseppe Cassone.
La serata, dedicata alla poesia e al rapporto umano con il Tempo, ha visto la presenza d’un folto e qualificato pubblico che ha gradito le riflessioni sul valore poetico di Angelo Fortuna espresse dal Vicesindaco e Assessore alla Cultura prof. Cettina Raudino, come altrettanto dicasi per quelle del Relatore prof. Corrado Di Pietro, di cui questo giornale ha già pubblicato la dotta ed analitica prefazione a “L’odore del Tempo” in http://www.valdinotomagazine.it/sito/?p=4663, allorquando venimmo a sapere della stampa di queste belle pagine.
Noto, 06 Novembre 2015 Ottavio Gintoli
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CON “L’ODORE DEL TEMPO” UN…ANGELO FORTUNA INEDITO
Il Vicesindaco di Noto, prof. Cettina Raudino, ha coordinato la serata della presentazione de “L’odore del Tempo” e, come sempre in queste occasioni di Cultura, ha egregiamente colto l’anima del poeta Angelo Fortuna con queste brevi riflessioni che, avute su mia richiesta, volentieri pubblico. Biagio Iacono
Con “L’odore del Tempo” è un…Angelo Fortuna inedito quello che conosciamo stasera, lo stesso che ha prodotto monografie letterarie, opere di saggistica e di narrativa come Mariannina Coffa l’incompiuta, Mariannina Coffa nell’appassionata analisi di un anonimo, Giuseppe Cassone e Margit Hirsch, Tina Di Lorenzo, Oltre l’Eldorado, Sotto il cielo della perla ionica.
Racconti, novelle, riflessioni, spigolature esistenziali, migrazioni spirituali e contributi attenti e dotti sulla cultura cristiana. Produzione ricca e variegata di un intellettuale a cui mancava forse un tassello per giungere ad una definizione di completezza. Mancava appunto un’opera poetica e quasi con pudore in questa occasione il nostro Angelo – con “L’odore del Tempo” – ci rivela una parte di sé, la più intima, il Fanciullino al cospetto dell‘Assoluto, quello che vive di sensi irrequieti, esperienze sinestetiche, di smarrimenti davanti all’Infinito, di geografie sentimentali. Un Angelo Fortuna intimista e a tu per tu con le corde della propria anima, abissi del cuore, aspirazioni e riscatti. La Speranza ed il Cielo sempre la cornice che include e abbraccia ogni moto dell’animo, vi da pace e tregua.
Perché la poesia oggi e perché i poeti? La domanda non è recente e già il filosofo Martin Heidegger si chiese quale fosse il senso della parola poetica in un mondo, quello della tarda modernità, che sembra dare poco valore alla parola, un mondo colmo di rumore, di voracità, che consuma tutto in fretta, stordito dalle luci della vanità narcisistica, inebriato dalla velocità. Questo mondo non lascia spazio a ciò che non è immediatamente funzionale a qualcosa, a ciò che è apparentemente inutile, gratuito. Le parole della poesia, lente, appartate, quasi timorose, non sono immediatamente utilizzabili o, se si vuole, hanno un diverso grado di utilità. Perché dunque la poesia? Qual è il suo posto nell’era di Internet, dell’informazione globale, della comunicazione massificata? Perché oggi si scrive e perché si legge poesia? Lo si fa ancora? In che misura? Sono attività residue? È il retaggio di altri tempi?
Si potrebbe rispondere che il poeta scrive solo per sé stesso, il vero scrittore è un ‘anima che trabocca e che scrive per comunicare se stesso , la propria grandezza e la propria miseria, la propria nobiltà e la propria vergogna, agli altri. Un po’ come l’attore che ogni sera denuda la propria anima sul palcoscenico e la mostra ad uso e consumo degli spettatori . La poesia è dunque, tra le forme letterarie, la più pura, la più direttamente saldata all’anima, utile e funzionale solo ai suoi bisogni.
Nella poesia di Angelo Fortuna troviamo questa tensione, il nucleo tematico contiene sempre la ricerca, una domanda che attende appagamento. L’immaginario poetico simbolico è una materia calda che trabocca e prende forma negli oggetti poetici convenzionali che ricorrono spesso e che appartengono alla tradizione classica, da Petrarca a Montale passando per Leopardi: la siepe, il meriggio, lo sguardo, l’orizzonte, le foglie morte, il chiarore, l’ala, il tumulto. Ma al tempo stesso la cifra di questa produzione di Fortuna è la mescolanza del registro fra simbolismo e realismo: la poesia è reale, è una trama filigranata con cui leggere la realtà, ..la cena fumante, il volante, il traffico, gli oggetti della prosaica realtà si mescolano agli altri portandoci fuori da questa dicotomia fra poesia e prosa.
Rispondendo alla domanda iniziale, “Perchè oggi ancora la Poesia?”, si potrebbe rispondere che oggi come in ogni tempo non si può fare a meno della Poesia. La si abbandona solo se si decide di retrocedere nella barbarie umana e culturale, solo se si decide di fare a meno del linguaggio, se si rinuncia allo strumento che fa dell’uomo “ l’Uomo in quanto Uomo”: il Logos.
Noto, 30 Ottobre 2015 – Cettina Raudino
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ALCUNE POESIE DI ANGELO FORTUNA:
L ’odore del tempo
Nuvole bigie all’orizzonte,
Mare di pece, pioggia sottile.
Crepuscolo.
Odore di terra alle narici,
Gabbiani pensosi sulla spiaggia.
Scarpe inzuppate di fango,
Un fuoco attizzato sulla via,
Le livide labbra d’una donna,
Un bimbo smarrito, seminudo,
Occhi rivolti all’orizzonte vuoto,
Contadini che tornano dai campi.
Effluvi di cena fumante sulla tavola,
Porte che si chiudono in silenzio,
Bisbigli. Odore del tempo.
La sera.
La ninfea del cavaliere errante
A fatica colsi la bella ninfea
Splendidamente adagiata in superficie
Nel lago di messer Lancillotto.
Per te.
Brillava radiosa sul tuo seno
E si apriva ad ogni tuo respiro
Tra due candide rose. Incandescenti.
L’invidia non le disseccò.
Lampeggiavano i tuoi occhi,
In uno, Venere e Minerva,
Mentre la folla, pur fitta,
Si dileguava oltre le siepi.
Un caldo abbraccio la tua ricompensa.
Un’inattesa nube sul cielo dei tuoi occhi,
Sfuggente rimpianto in un sorriso,
In me perennemente impresso,
E una trepida promessa nel tuo gesto
Con calde lacrime di tenerezza.
Foglie d’autunno
Mucchi di foglie morte, inerti,
Sospinte scriteriatamente
Dal vento balzano e capriccioso.
Passanti rari, rapidi, smarriti,
Affaticati d’affannose cure,
Sfuggenti tra le vie silenziose.
Cieli cupi in perenne agitazione
Fiammeggiano tra grigie nubi erranti
Vorticosamente ad occidente.
Il sogno dell’estate s’è perduto
E i colli desolati dell’assenza
Impallidiscono i volti desolati.
Un improvviso sibilo di un treno,
Brivido inatteso, folgore alla schiena,
Riaccende l’oro d’antiche traversate
E lacrime dal tempo prosciugate.
Un fanciullo sperduto nel cammino,
Lividi ginocchi e sguardo intenso,
D’un balzo scarta la muraglia.
E già corre lontano oltre la siepe.
Domani? Ieri?
Ombre nel vespero sfuggenti,
Porte e finestre socchiuse
Per vegliare sul sonno che non viene.
Per le vie esplode il movimento.
Rumori ovattati, culla del respiro,
– Smorzati dai muri o dalla febbre? –
Ruote di carri che avanzano lenti,
Canti e filastrocche d’ambulanti,
Melodie sconfinanti nell’azzurro,
Gentili inviti pressanti all’acquisto.
Parlottii di donne, ritmi divergenti.
Il sole apre varchi nell’interno,
Raggi soffusi di polvere del tempo.
Voglia di rispondere all’appello
Dell’esistenza che nei vicoli dilaga.
Membra affaticate d’energia perduta,
Sguardo vagante sul cielo della stanza.
Una promessa: domani un altro giorno.
L’avvenire diventa arcobaleno.
Sarà cruento il rapido risveglio:
Le ombre sparite,
I canti spariti,
La vita sfuggita.
L’avvenire? Già ieri?
O forse perenne fulgido presente?
Lontano
Il vento sibilante sulle creste dei cipressi
Annuncia effluvi dai lidi d’oltremare,
Rapimenti d’anime e oniriche praterie,
Orlate da caste e candide ninfee.
Nei labirinti di città tentacolari
Imprigionati nei lacci inestricabili
Dei galatei della folle civiltà,
In cui svapora il gusto dell’umano,
Invano il soffio traversa il nostro cuore.
Vola nell’etereo l’utopico desio
Mentre, in catene, trasciniamo il corpo
Che recita gli accenti dell’addio.
Ombre emergenti all’orizzonte,
Affossate nel tempestoso mare,
Sparite in notturni precipizi,
Negli abissi misteriosi della vita.
Solitaria luna
Gelida e malinconica la luna
Domina il cielo grigio della sera.
Silenziosa, tra le vie deserte,
Negli angoli sperduti dei cortili
Cerca invano fantasmi di fanciulli
Che un tempo veleggiavano felici
Incontro all’avvenire già trascorso.
La primavera adorna di sorrisi
Rapida s’involò nei cieli azzurri.
Scese la notte sulla calda estate
Mentre il pianto dell’onda a Pantanello
Empiva d’echi lamentosi spiagge,
Scogli, campi e falde degli Iblei.
Tra brividi di freddo ad uno ad uno
Accarezza dolci volti di monelli,
Vacue presenze d’un dì che non è più.
Neppure un vecchio avvolto nel suo scialle
Dagli usci vuoti considera il pallore
Della luna che sale inconsolata.
Sono oramai spenti i focolari
Al cui calore tra giulive grida
Le famiglie si aprivano ai reduci
Dai campi ingrati e pur generosi.
Nel silenzio irreale della sera
Spariscono i segni d’esistenze
Nel vortice dell’eterno divenire.
Selene non sopporta il suo fardello
Ed angosciata guarda ad occidente.
È già pronta a sprofondare
Nell’amaro baratro del tempo.
Al di là degli orizzonti…
Travalica orizzonti,
L’uno dopo altro,
Infaticabilmente,
Il cavaliere errante
Che nessuna Dulcinea
Mai appagò.
Gli occhi protesi oltre le montagne
Inquieto avanza tra selve,
Praterie erbose e deserti
Di sterpi inariditi, sconfinati.
Sarà ristoro
L’oasi prossima ventura
E gioia, pienezza, appagamento
Dell’anima e del corpo affaticati,
Sicuro rifugio per la mente
Assediata da fantasmi alati.
Delizia delle riarse labbra
Sarà l’acqua cristallina
Mormorante tra ghiaia levigata
Spoglia da impuri sedimenti.
Luccicante tra alberi frondosi
Agitati dal vento delle stelle
Appare infine la limpida sorgente.
Vi s’immerge il cavaliere errante,
Ansioso d’arrestare il suo tormento,
Lo spazio almeno d’un attimo fuggente.
Leva la fronte e riprende il suo cammino.
Quanti orizzonti ancora,
Oltre le barriere di vette
Sfumanti in lontananze oscure,
Quanti orizzonti ancora?
La luce oltre l’oltraggio
Ombre ondeggianti sotto il sole,
Danze di generazioni in divenire,
Corpi distesi e sospirosi inviti
Sulla spiaggia che accoglie in un incanto
I pellegrini in cerca della pace,
Gli occhi socchiusi all’orizzonte,
Illusione di levità perenne.
Volti d’ebano, intensità sospese
Oltre i tumulti di un mondo senza pace.
Incontri, fervide attese d’avvenire
Cancellate nei profondi abissi
Che inghiottono gli aliti pensosi.
Vincoli amicali, sogni azzurri
Proiettati sugli spazi di domani,
Si esaltano un istante in dissolvenza
Tra scompigli di anime in cammino.
A dismisura i campi dell’angoscia
Invadono bellezza ed armonia
Inghiottite dai vortici del cosmo.
Visi dolenti, uguali e sempre nuovi,
Sogni che sotterrano altri sogni.
Dove alitano gli aneliti possenti,
Promessa di morte della morte?
Scacciano tra nembi e sprazzi azzurri
Gli oltraggi alla speranza crocifissa,
Risorta dopo un venerdì dolente
All’alba del dì senza tramonto.
Luce perenne ai cacciatori erranti
Che senza sosta inseguono pensosi
La fonte ed il calice ricolmo
Della bellezza dell’eterno amore.
In rotta verso l’infinito
In memoria di Paolo Leanti La Rosa
L’onda che già t’accolse nel suo seno
Non ti lambisce più teneramente
Come quando, pensoso e pur sereno,
Rivolgevi lo sguardo all’orizzonte.
La triste, stanca, sorda litania,
Che la risacca recita in sordina
È nenia lamentosa che s’infrange
Su scogli aguzzi lungi riecheggiando
Con sinistri richiami sulle spiagge.
Le verdi trasparenze alla marina,
Lusinghe e incanti all’anima gentile,
Invano oggi invitano i tuoi occhi
Persi nei labirinti del pensiero.
Colpita dagli strali dell’arciere
La rondine ignara ed innocente,
Sanguinante, smarrita nel mistero,
Non torna al tetto che l’attende ancora.
Gabbiano naufragato nell’azzurro,
Pellegrino stremato dal cammino
Cerchi la rotta verso l’infinito
Tra gli agili sentieri delle stelle
Verso la Luce che avvolge il desio
Ed acquieta i sospiri del creato.
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NOTA BENE: La scelta delle poesie, sofferta in questa sede, è stata fatta a cura di Biagio Iacono.