Noto: VII Corso di Bioetica su ” Pensare il corpo…Abitare il corpo”.
NOTO: VII CONVEGNO DI BIOETICA e LA LECTIO MAGISTRALIS DEL VESCOVO
Pensare il corpo… Abitare il corpo
Testo CRONACA da ZENIT del 14 Ottobre 2016
Posted by Domenico De Angelis
L’atteso corso di bioetica netino è iniziato ieri. Si svolgerà nei giorni 13-14-15 ottobre. Quest’anno il tema scelto è stato “Pensare il corpo. Abitare il corpo”. Una scelta ben precisa per soffermarsi sul rapporto tra corpo e cibo, per riaffermare la centralità del nutrimento umano. L’interessante corso siciliano, fortemente voluto da don Stefano Modica (sacerdote e bioeticista specializzatosi presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma) si sta svolgendo nella bellissima città barocca di Noto.
Ad aprire i lavori della prima sessione “Corpo, spiritualità e polis”, nell’Aula magna del Seminario vescovile, è stato Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto.(v.foto).Lo stesso ha esordito affermando che il cibo non solo si mangia ma si pensa. Il cibo è nutrimento, per cui se cambiamo il nutrimento cambieremo la nostra vita, e non solo. È importante però capire che il vero pane del l’uomo non è materiale (seppur necessario) ma è “Parola”. L’uomo è capace di dirigersi “infinitamente fuori di sé” ma anche ed in particolare (seguendo sant’Agostino) “infinitamente dentro di sé”.
A moderare il primo incontro è stata la giornalista e scrittrice enogastronomica, Roberta Corradin. Il primo a prendere la parola per il suo intervento è stato il dott. Umberto Avraham Piperno (Rabbino Capo della Comunità di Napoli e responsabile per il meridione d’Italia), il suo intervento ha voluto chiarire il senso e la prassi della dieta mediterranea nella versione Kosher. Successivamente sono intervenuti il dott. Roberto Garaffa (Presidente Centro Studi Medea Sicilia Sud-Orientale) ed il dott. Pino Lavima (Direttore Laboratorio di Sanità Pubblica ASP di Ragusa) dove la garanzia della sicurezza alimentare, nella dieta mediterranea, è stata teoricamente e tecnicamente analizzata. Se l’Unesco l’ha voluta elevare a patrimonio dell’umanità per la ricchezza e l’importanza che ha per l’uomo è necessario non solo conoscerla a fondo, ma anche apprezzarla per la sua straordinaria centralità, strutturata in una tradizione secolare. Ovviamente non è mancato il classico coffee break che nell’occasione è impreziosito e arricchito da prodotti locali da far gustare ai numerosi presenti.
Dopo la pausa, i molti giovani accanto ai vari professionisti (che potranno godere degli E.C.M. che il corso potrà rilasciare) hanno potuto ascoltare il dott. Beppe De Sanctis (Esperto di sviluppo e di programmazione strategica), il quale ha affermato subito che il cibo dev’essere “pulito, buono e giusto”. In seguito ha sviluppato il tema dello stile di vita mediterraneo. Dal riconoscimento dell’UNESCO all’attuazione nella programmazione comunitaria 2014-2020.
L’esperto, dopo essersi soffermato sulla centralità dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, ha voluto evidenziare la straordinaria realtà della Sicilia, considerata la culla della biodiversità. A chiudere i lavori l’on. Antonello Cracolici (Assessore Regionale), che ha trattato il tema della promozione dello stile di vita mediterraneo nel programma e nell’attività dell’Assessorato regionale dell’Agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea.
Il corso, attento all’interazione con i corsisti ha previsto uno spazio dedito al confronto, attraverso il dibattito che si è svolto in aula. Che dire? Il nutrimento della serata netina è riuscito a saziare, nella sua prima sessione, quanti hanno voluto partecipare ad un appuntamento che risulta essere ormai imperdibile per quanti trattano le tematiche di bioetica. Il corso può essere seguito anche in streaming attraverso il seguente link
https://www.youtube.com/user/DiocesidiNoto/live
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LA LECTIO MAGISTRALIS DEL VESCOVO MONS. A. STAGLIANO’ :
La vita vale molto più del cibo?
– Il cibo e la sua valenza antropologica
“Der Mensch ist war er isst”, ovvero, «L’uomo è ciò che mangia […] Se volete far migliorare il popolo, dategli un alimentazione migliore» (Feuerbach, La scienza della natura e la rivoluzione).
Fuori da ogni riferimento di stampo materialista, il filosofo intende porsi contro il dualismo platonico anima/corpo e ogni riflessione filosofica che non tiene conto della dimensione corporea. Un esistenza incorporea è fantastica, forse desiderabile… ma sommamente incerta. «Il corpo è l’esistenza dell’uomo; togliere il corpo significa togliere l’esistenza» (Feuerbach, Contro il dualismo di corpo e anima, di carne e spirito).
É in una sana ed equilibrata prospettiva fenomenologica che le due dimensioni dell’uomo (anima e corpo) si riconciliano nell’idea che “vivere” è “essere incarnati”. Ed è proprio il cibo che ci ricorda costantemente che noi abbiamo un corpo e che allo stesso tempo siamo anche un corpo, che dobbiamo rapportarci con gli altri esseri viventi, con il territorio e con le risorse naturali.
Nell’essere umano il cibarsi è un atto “logico”, non monotono e prevedibile; è distinguibile. L’uomo si distingue dagli animali non umani, in quanto “mangiante”; gli uomini si distinguono tra loro semplicemente per il modo in cui mangiano.
«Se volete far mangiare un popolo…dategli un alimentazione migliore» (Feuerbach). É come se il filosofo volesse asserire che l’alimentazione costituisce la base indispensabile perché gli uomini possano vivere insieme, collaborando alla creazione della civiltà. Al di là dell’esagerazione, non si può negare che il cibo mette in connessione gli individui. Esso è sempre stato uno dei maggiori aspetti di definizione di un gruppo sociale, i cui membri si riconoscono tra loro da come cucinano o mangiano. Claude Levi-Strauss affermava «Se non vi è una società senza un linguaggio, non vi è neppure una società che non cucina alla stessa maniera almeno qualcuno dei suoi cibi…».
Il modo in cui mangiamo e ci relazioniamo con il cibo è strettamente legato al nostro modo di relazionarci al mondo esterno e alle altre persone, ai loro corpi. L’uomo non è solo ciò che mangia…è molto di più. Basti pensare all’immagine di una madre che nutre il proprio figlio. Nutrire non significa solamente allevare; si tratta piuttosto di un’accoglienza gratuita e incondizionata; ed è a partire da questa esperienza fondamentale, che il bambino instaura la relazione con gli altri…non a caso la condivisone del cibo è una delle prime azioni che i bambini compiono con il gruppo dei pari. Oggi però assistiamo da una parte alla grande disponibilità di cibo, soprattutto nell’Occidente opulento; dall’altra parte, ad una certa indisponibilità al convivio.
Le catene industriali oggi detengono il monopolio dell’alimentazione in modo coerente rispetto allo stile di vita frettoloso e compresso impostosi nella nostra quotidianità; i cosiddetti “non luoghi” come i MacDonald’s sono preferiti al pranzo domenicale. Il senso del cibo è rappresentato dalla convivialità del banchetto, che non è uno show televisivo alla masterchef, bensì il luogo dove il cibo ricompone memorie e intesse relazioni autentiche.
– Il cibo e la sua valenza spirituale
Dando voce al corpo, ci si riappropria del divino. La fede cristiana è una fede legata ai corpi, alla storia… La società sbrigativa dei fast food ha perduto la dimensione simbolica del cibo e anche la spiritualità in esso celata.
Nel linguaggio biblico, “spirituale” equivale a “relazionale”, ed è solo attraverso il corpo che è possibile fare esperienza di Dio e dell’altro. La dimensione del mangiare ha forti valenze spirituali: una su tutte, la comunione. Gesù annunciava la comunione con Dio e tra gli uomini, parlando ad ognuno nella propria quotidianità, e spesso e volentieri, durante la condivisione dei pasti, senza dimenticare di dare da mangiare a chi cibo non ne aveva.
Nell’esperienza del pasto condiviso Egli ci fa suoi compagni (cum panis), ovvero persone che condividono lo stesso pane. Gesù si fa compagno dei pubblicani e dei peccatori, mettendosi a tavola con loro e coprendo così la distanza tra Dio e colui che ha peccato. Con Gesù, i peccatori siedono alla tavola di Dio. Condividere il cibo, dunque, è prendere parte allo stesso destino. «Questo è il mio corpo…prendete e mangiatene tutti»; Nutrirsi del corpo di Cristo significa entrare in comunione con Dio, partecipare allo stesso destino. Nutriti del corpo di Cristo siamo chiamati ad essere noi stessi “pane spezzato” per gli altri, il nostro corpo si fa cibo per coloro che hanno fame.
«Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete, né per il vostro corpo…nè come vi vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito […]Cercate piuttosto il Regno di Dio e queste cose vi saranno aggiunte» (Lc 12, 22-23; 31).
L’uomo, come tutte le altre creature ha bisogno di cibo per sopravvivere, ma oltre al cibo ha bisogno di tanto altro: affetto, salute, ha bisogno di essere accettato, perdonato. Da qui, l’ansia di ottenere tutto questo e allo stesso tempo la paura di perderlo. Eppure «Dio veste meravigliosamente i gigli del campo, nutre i corvi che pure non seminano e non mietono». Non si tratta di un invito ad una vita passiva; Gesù non dice che non dobbiamo fare nulla!
L’esistenza dell’uomo è e non può che essere attiva, dinamica e mai rassegnata.
Ma qual è il fondamento di questa esistenza? Quale il senso?
La ricerca spasmodica del pane non può sostituire un’autentica ricerca del “senso”.
La vita vale molto più del cibo! Non si può mettere la vita a servizio del cibo. Per essere autentici cristiani, per essere davvero “umani”, occorre interrogarsi sul fine delle cose, sui rapporti tra noi e le cose, prima di passare all’uso delle cose. “Non curatevi”, dice Gesù “di ciò che mangerete”. Non curatevi, ovvero, non preoccupatevi. Perché occuparsi del cibo è un dovere, preoccuparsi è un disordine. Il cibo non va idolatrato! L’invito di Gesù è infatti quello che di mettere in ordine, innanzitutto l’assetto umano, i rapporti umani, il lavoro. Questo significa cercare il Regno di Dio, che va costruito nell’oggi della storia, partendo proprio da quelle realtà che costituiscono l’uomo in quanto tale.
– Questioni bioetiche sul “mangiare”
1) Una su tutte: il diritto al cibo e all’acqua. É questo, in fondo, l’interesse di tipo bioetico che si è diffuso nei paesi in via di sviluppo.
2) Le scelte alimentari non sono “innocenti”, hanno forti implicazioni anche dal punto di viste etico. Dai nostri consumi dipende la sopravvivenza dell’uomo e dell’ambiente; le nostre abitudini alimentari condizionano il destino delle generazioni future e dei paesi più poveri.
Ripensare alla valenza antropologica e spirituale del cibo significa concretamente attenzionare l’atto del consumo, promuovendo politiche che regolino il mercato e la produzione, sensibilizzando le persone ad una cultura del cibo che permetta di incontrarsi nell’esperienza del banchetto conviviale.
«Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo». Così scrive Ippocrate nel V secolo a.C. Cibarsi è una necessità, ma l’atto del nutrirsi è davvero la cura per il nostro mondo narcisista, per il sistema economico globalizzato che sfrutta le popolazioni meno abbienti.
Occorre una bioetica alimentare che sia innanzitutto formativa, che includa l’apprendimento del significato culturale e simbolico del cibo, che chiami in causa il tema della sostenibilità come fine di scelte alimentari consapevoli, che chieda alla politica di operare scelte giuste ed eque.
Perché il cibo non diventi una minaccia, perché si metta fine al dramma dell’obesità, dei disturbi alimentari, della povertà e dello sfruttamento, occorre innanzitutto riconsegnare al cibo il suo significato più profondo, per una bioetica alimentare – sapienziale, che non può non tenere conto della dimensione olistica dell’uomo e che intende porre il cibo al servizio di una vita autentica, radicata nella comunione con Dio e i fratelli.
Mons. Antonio Staglianò – Vescovo di Noto