Siracusa: Le maschere di Angelo Giudice.
TRA MASCHERE E VOLTI:
Le maschere di Angelo Giudice
di Enzo Papa
L’eterno conflitto tra essere e apparire è stato ed è uno dei problemi più importanti e più discussi non solo della filosofia, della psicologia e della sociologia di ogni epoca, ma anche della letteratura e dell’arte. E non solo dei popoli civili, ma anche, per ragioni le più diverse, dei popoli primitivi o estranei a forme di civiltà. Si sa che molte sono le maschere che noi indossiamo, visibili e invisibili, e forse sono proprio queste ultime le più utilizzate, quelle a cui facciamo spesso ricorso per i più disparati interessi. Cosicché noi, come diceva Pirandello, siamo uno e centomila insieme, non solo tuttavia come siamo percepiti dagli altri, ma anche come noi ci proponiamo o come vogliamo che gli altri ci percepiscano: come dire che l’invisibile maschera che noi traiamo dalle mille e una che abbiamo nel nostro cappello a cilindro, vuole essere una momentanea rappresentazione di noi stessi a seconda delle situazioni, dei momenti, degli interlocutori; e poiché non vogliamo essere percepiti sempre allo stesso modo, con estrema facilità e senza problemi cambiamo maschera, come cambiassimo un abito. Abbiamo, insomma, una maschera per ogni occasione.
A pensarci seriamente e a ben vedere, ne vien fuori un quadro dell’umanità per lo meno inquietante, come in modo veramente inquietante sta accadendo sotto i nostri occhi in questo nostro tempo infame: basta affondare lo sguardo nel mondo della politica, degli affari, e, perché no, anche in quello ecclesiastico, malgrado le esortazioni di Papa Francesco, per comprendere quanta ambiguità, quanta ambivalenza, quanta doppiezza vien fuori da personaggi assolutamente insospettabili di tale nequizia, ma veri istrioni gabbamondo, mangiapagnotte e grassatori. Insomma, vuol dirci Giudice, la maschera potrebbe anche essere rivelazione di verità e il volto la menzogna. Del resto, non era stato Oscar Wilde a dirci che una maschera ci dice più di un volto? Ma c’è anche una positività nell’indossare una maschera e ce lo spiega la poetessa Alda Merini, secondo cui l’unica maschera concessa è quella che mostra un sorriso per nascondere il dolore e non perdere la propria dignità.
E’ questa la riflessione che ha portato Angelo Giudice a dipingere a sua originale maniera un assai variegato ritratto della nostra malata umanità, utilizzando come supporto pittorico i sassi raccolti alla Fanusa, la spiaggetta del suo mare siracusano. Tutto è nato, ci dice, da uno strano sasso trovato per caso: un volto di pietra con un ghigno modellato dalla natura, dal mare; come se quel ghigno fosse stato uno scherzo della natura, una negatività, una vera e propria mascheratura intesa, tuttavia, come un arcano ed eloquente messaggio. Così, preso da frenesia e fidando nelle sue capacità creative, è andato alla scoperta di ciottoli e sassi marini, levigati, limati e lisciati dall’incessante movimento dell’acqua e che al suo occhio attento e curioso, gli suggerivano forme antropomorfe che, ci dice, ha voluto solo mettere in evidenza a capriccio della sua inventiva e della sua sensibilità coloristica.
Ne è nata, così, una litoteca, una raccolta di ciottoli dipinti a maschere, una collezione straordinaria di teatralità, di teatrali fisionomie come ogni giorno possiamo incontrare lungo il nostro cammino, ma con l’invito sotteso e perentorio di saper guardare oltre le apparenze. Incuriosiscono e inquietano queste maschere, che sono anche le nostre, che sono di tutti, come fossero forme riflesse.
Non è nuovo Angelo Giudice a queste forme di sperimentazione artistica. La sua lunga carriera d’arte è costellata di varie forme espressive sperimentali, i cui risultati hanno sempre riscosso consenso e credito. Un artista poliedrico a cui piace scandagliare con curiosità e assaporare i risultati della sua recherche con la stessa gioia e con lo stesso entusiasmo che mette nell’arricchire le sue preziose collezioni.
Siracusa, 21 ottobre 2016 Enzo Papa