“Storia geologica e antropologica dei Monti Iblei” di Luigi Rigazzi
STORIA GEOLOGICA E ANTROPOLOGICA DEI MONTI IBLEI
di Luigi Rigazzi
I Monti Iblei sono un altipiano collinare situato nella parte sud-orientale della Sicilia. Ci sono oltre 15 cime che vanno da un’altezza di 410 dei Monti Climiti, ai 491 metri di Montemussuto (Sortino SR) fino ai 1.010 di Monte Lauro, la cima più alta. Il nome Iblei si fa risalire al leggendario re siculo Hiblon che regno in quei luoghi ( a Pantalica). Il complesso montuoso è costituito da un massiccio calcareo-marmoso bianco conchiglifero del periodo del Miocene,[1] il cosidetto Plateau degli Iblei in cui, nonostante il sollevamento che lo ha portato in emersione, gli strati rocciosi si sono mantenuti orizzontali. L’altopiano è stato inciso da numerosi fiumi e torrenti che hanno scavato profonde forre e gole e antiche condotte freatiche di tipo fossile, che rappresentano molto bene l’antichità del fenomeno carsico che caratterizza l’area. Nelle zone costiere, si trova un’arenaria calcarea più recente, dell’epoca del Pleistocene;[2] una roccia sedimentaria che nel sud-est della Sicilia viene denominata giuggiulena (il caratteristico tufo), per la sua facile tendenza a sgretolarsi in piccolissimi sassolini friabili simili ai semi di sesamo. Nella porzione settentrionale e nei pressi di Monte Lauro, sono presenti aree piuttosto vaste di origine vulcanica. Si tratta di basalti a cuscino, risultato di eruzioni sottomarine dell’epoca del Miocene. Il paesaggio tipico di questa zona, compresa tra le provincie di Ragusa, Siracusa e Catania, è caratterizzata da un’estrema varietà di forme e sottotipi: rilievi dolci, vallate nette e gole, nonché la zona costiera. Esse ospitano una flora particolarmente ricca e variegata.
La parte centrale è caratterizzata dalla presenza di alcuni boschi a prevalenza di leccio e di muri a secco, tipici di tutta la punta sud-orientale della Sicilia. L’area litoranea invece, alterna colline terrazzate a boschi di macchia mediterranea con enormi distese di ulivi e carrubi antichissimi, vigneti e agrumeti. Dai Monti Iblei hanno origine vari fiumi, tra cui l’Irminio, l’Anapo il Calcinara e il Cassibile. Ricca é dunque la zona che offre un sistema di campi chiusi per la vegetazione e la coltivazione. Oltre alla coltivazione del carrubo, dell’ulivo e del mandorlo, troviamo anche campi di primizie quali: grano e mais da foraggio, ma anche frutta e ortaggi di uso comune. Una zona dunque, diventata indispensabile per le economie dei molti centri che ruotano intorno a quell’area, come Vittoria, Comiso, e santa Croce camerina, Sortino, Modica, Palazzolo Acreide ecc. Da qualche tempo, si sta facendo pressione sulla regione, per rendere l’area dei Monti Iblei, una riserva naturale protetta, con l’istituzione del parco nazionale degli Iblei, il primo della Sicilia, che abbraccerà i territori delle provincie di Siracusa (per il 60%), Ragusa (per il 30%) e Catania (per il 10%).
Molte le specie endemiche della zona, come il papiro egiziano,[3] pianta palustre perenne, l’elicriso ibleo,[4] il trachelio siciliano,[5]che fiorisce tra maggio e giugno sulle rupi ombreggiate; la zelkova sicula,[6]arbusto dalle foglie piccole e lobate, tra cui unica popolazione, scoperta nel ’91, è presente solo qui, e, tra gli altri, il limonium syracusanum / limone di Siracusa.[7] Molti i centri più o meno grandi e conosciuti che costeggiano questa area verde e montuosa. Da ricordare e visitare sono innanzitutto i capoluoghi di provincia, Ragusa e Siracusa. Ragusa è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dal 2002 per via delle preziose e numerose testimonianze dell’arte barocca, e per la sua storia, unica rispetto a quella del resto dell’isola, che la vide essere innanzitutto culla della cosiddetta Cultura di Castelluccio,[8] un insediamento dell’Età Antica (XX secolo a.e.v.)n a cui poi fecero seguito i bizantini, ai quali si deve il nome di Ragusa. In epoca moderna, Ragusa fu distritta da un tremendo terremoto, che ne provocò la quasi totale ricostruzione, secondo la topografia conosciuta oggi. Fu così che nacque Ragusa Ibla, la splendida città barocca, Patrimonio dell’Umanità. Presso la parte sud-orientale della Sicilia sorge l’altro grosso comune che costeggia l’area verde dei Monti Iblei, Siracusa, capoluogo di provincia, anch’essa parte dei beni dell’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Numerose sono infatti le tracce, gli insediamenti antichi, ma anche i monumenti storici e architettonici che caratterizzano l’epoca rinascimentale e barocca della città. Cicerone durante il processo a Verre, nel 70 a.e.v., che era stato governatore della Sicilia disse: Siracusa è la più grande delle città greche e la più bella di tutte le città. La sua posizione non è soltanto ben munita, ma vaga a mirarsi; da qualsiasi parte vi si acceda, per mare e per terra.
Pantalica: La valle dei due fiumi.
Una menzione la merita sicuramente Sortino (Sciurtinu) pregevole cittadina barocca, conosciuta per la produzione del miele, e situata sui Monti Iblei in prossimità della Necropoli Rupestre di Pantalica. Il lessicografo Egidio Forcellini[9] nella sua più importante opera Totius Latinitatis lexicom, alla voce Hibla scrive: E’ il nome di un monte in Sicilia, fra Lentini e Siracusa, con una città ugualmente nominata, ricca di timo e d’altri fiori e perciò affollato d’api da cui proviene un miele molto saporito e abbondante.
La Necropoli Rupestre di Pantalica, uno dei più importanti siti protostorici a cavallo dell’età del bronzo e del ferro dell’intera Sicilia, il nome forse è di derivazione araba: Buntarigah, termine che si pensa abbia coniato il grande cartografo della corte di Ruggero II di Sicilia, Muhammad al-Idrisi,[10] che nel 1154 le dà il nome di Buntarigah che in arabo significa grotte, spelonche, cavità, e chiama il fiume Anapo Naha Buntarigahe, cioè il fiume di Pantalica. Composto da cinquemila grotte celle che furono scavate da diverse generazioni di ominidi, forse dai primi uomini di Neanderthal, sicuramente dai primi Sapiens Sapiens del Paleolitico e Neolitico. L’Insediamento è stato, infine completato in epoca protostorica dalla gente della Civiltà di Pantalica, che le ha ri-utilizzate come tombe. Pantalica è stata identificata con l’antica Hibla, la capitale del regno dei Siculi, XIII / VIII secolo a.e.v.. Fu portata all’attenzione dell’opinione pubblica dal grande archeologo siciliano Tommaso Fazello.[11] Fa parte del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. La zona è delimitata dai fiumi Anapo e Calcinara. A Pantalica si accede da Sortino e da Ferla. Nella parte più elevata, sul pianoro, troviamo l’Anaktoron.[12] Si pensa che i Siculi si siano insediati nella parte orientale della Sicilia a partire dalla metà del XIII secolo a.e.v., allontanarono da quelle terre tutte le popolazioni autoctone, quest’ultime si rifugiarono nelle zone più impervie e nelle profondità delle gole dell’altipiano ibleo. Successivamente verso l’850 a.e.v., anche i Siculi furono costretti ad abbandonare le zone costiere e a rifugiarsi all’interno dell’altipiano ibleo, ripopolando ancora una volta la zona di Pantalica, che per ragioni sconosciute era stata abbandonata secoli prima. I Greci sbarcarono in Sicilia nella prima metà del VII secolo a.e.v. e fondarono le loro prime colonie, che secondo la legenda fu lo stesso re Hiblon a concedere dei territori per fondare le loro città. Nel 664 a.e.v. i Greci ormai diventati una grande potenza, volsero lo sguardo verso l’entroterra e distrussero la città del re Hiblon, di cui rimangono le vestigia del palazzo del Principe o Anaktoron e la vasta necropoli di bel cinquemila tombe a grotticella.
Anaktoron o Palazzo del Principe
L’Anaktoron è un edificio megalitico, rinvenuto dal grande archeologo Paolo Orsi,[13]nel 1889, sul pianoro sovrastante la necropoli di Pantalica. Un grande edificio che secondo gli archeologi doveva essere la sede del Principe / Anax, che governava la regione. Secondo Orsi, la costruzione per la sua planimetria e per la tecnica di costruzione usata, ricorda la Grecia del periodo miceneo,[14] e per l’archeologo a costruirlo furono chiamate maestranze achee, perché le popolazioni locali non erano ancora in grado di costruire architetture del genere. All’interno della costruzione sono stati rinvenuti cinque forme di fusione o matrici in pietra, due per la fusione di asce, ciò fa pensare che la fabbricazione di manufatti metallici era sotto il diretto controllo del principe, all’interno del suo palazzo. All’esterno non sono state trovate tracce di abitazioni del popolo, gli studiosi hanno dedotto che abitassero in capanne di legno. Dal VIII al IX secolo e.v., parte di Pantalica fu colonizzata dai Bizantini che vi si rifugiarono, per sfuggire all’invasione araba dell’isola, diedero vita agli insediamenti bizantini e ne abbiamo tracce dagli oratori e chiese rupestri:
- La Grotta di San Micidario, si trova presso la Sella di Filiporto, nella zona sud di Pantalica, è il villaggio rupestre più grande, con le sue centocinquanta abitazioni.
- Chiesa rupestre di San Nicolicchio, è situata nella parte più a sud, è il più piccolo degli insediamenti rupestri. All’interno della chiesa è possibile ammirare i più begli affreschi e meglio conservati di tutto il comprensorio, raffigurati Santo Stefano e Sant’Elena.
- Villaggio della Cavetta e Grotta del Crocifisso, il villaggio sorge nei pressi della Sella di Filiporto, nella zona dove si incontrano i due fiumi l’Anapo e il Calcinara. All’interno della chiesa si può ammirate l’affresco della Crocifissione di Gesù, ma risulta molto danneggiato, e l’affresco di San Nicola, Altri affreschi sono stati rimossi e si trovano presso il Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa.
Dopo la vittoria nel 480 a.e.v., di Gelone Tiranno di Siracusa,[15]accorso in aiuto di Terone, Tiranno di Agrigento (Akragas), nella battaglia di Imera, combattuta contro l’esercito cartaginese, guidato da Amilcare I.[16] Gelone dopo la vittoria si trovò ad avere una gran massa di prigionieri cartaginesi, che ridotti in schiavitù, utilizzò per fortificare Siracusa e realizzare una delle più grandi opere di ingegneria idraulica, l’acquedotto Galermi.. L’acquedotto prende il nome dalla contrada Galermi, secondo il grande archeologo di Sciacca, Tommaso Fazello, il toponimo significa: buco d’acqua, derivando dall’arabo garelme, poi corrotto secondo lo studioso in Galermi. Sempre il Fazello, definì l’acquedotto Galermi: Conductus pulchrae foeminae, (Saja della bella femmina).
L’acquedotto fu costruito lungo l’impervia parete del lato sinistro del fiume Anapo. Lungo in origine quaranta chilometri, attingendo direttamente l’acqua dal fiume Anapo sul Monte Lauro, fu ridotto poi a ventinove chilometri, attingendo l’acqua dal fiume Calcinara all’altezza di Pantalica.
L’acquedotto arrivava sino al quartiere Neapolis, una delle cinque città-quartiere all’interno delle mura, che formavano la città di Siracusa.[17] Gli schiavi cartaginesi scavarono un tunnel (saja), usando la tecnica del fuoco, detta calcinamento: veniva acceso un fuoco dentro la galleria, che ammorbidiva la roccia e poi si procedeva con i picconi. Seguendo il percorso dal fondo valle, si notano delle feritoie, che servivano per scaricare i detriti dello scavo, per la respirazione degli operai, e per individuare eventuali crolli perché si sarebbe vista l’acqua uscire dalle feritoie, e si sarebbe trovato subito l’intoppo. Il grandissimo problema risolto dagli ingegneri siracusani, fu quello della pendenza per portare la condotta da Pantalica a Siracusa. Si è notato che secondo le regole dettate da Vitruvio[18]quattrocento anni dopo, l’acquedotto Galermi risulta rispetto a tutti gli altri acquedotti greci il più perfetto.
I Siculi. Distribuzione delle antiche popolazioni della Sicilia
Si pensa che i Siculi, dal nome del loro re Siculo,[19]furono tra i primi a colonizzare la Trinacria, ove trovarono altre popolazioni come i Sicani[20]e gli Elimi.[21]Forse i Siculi scacciarono i Sicani verso l’interno e presero possesso della parte orientale della Sicilia. I Sicani si stanziarono al centro dell’isola, e gli Elimi nella parte orientale. Secondo gli esperti dovevano essere presente anche colonie di Fenici[22] dalle parti di Palermo e sulle isole. L’archeologia ufficiale con il termine Sicula, parla della cultura protostorica dell’isola, che va dall’età del rame e del bronzo all’inizio dell’età del ferro (III millennio a.e.v. – fine II millennio a.e.v.). Nel 756 a.e.v. arrivarono sulle coste orientali della Sicilia i primi coloni Greci, provenienti da Calcide nell’Eubea[23], guidati da Teocle.[24]Hiblon concesse ai Calcidesi di stabilirsi nel territorio dell’odierna Lentini / Leontinoi, e anche di fondare una città nel golfo dell’odierna Augusta, che gli archeologi hanno identificato con Megara Hiblae, appellativo che gli esperti fanno derivare dal re Hiblon o Iblone, re dei Siculi, che aveva la sua reggia sopra Pantalica: Secondo gli storici si hanno testimonianze che il mitico re di Pantalica sia stato citato per la prima volta da Tucidite [25]nella Guerra del Poloponneso, e che fosse conosciuto come re del popolo delle api.
La provenienza dei Siculi è molto incerta, secondo gli storici latini e greci, essi erano provenienti dalla penisola italica o dal Lazio o dalla Liguria. Secondo gli storici Filisto di Siracusa[26]e di Dionigi di Alicarnasso,[27]i Siculi arrivarono ottant’anni prima della guerra di Troia. Secondo Plinio il Vecchio[28]e Virgilio[29]i Siculi erano fra i più antichi abitatori del Lazio, raggiunsero la Sicilia nel XV secolo a.e.v.. Un altro dato affascinante, trova riscontro nella realtà, è che in Transilvania e in Serbia (Vojvodina), vive una comunità etnica che si chiama Szekelyek in ungherese, Secui in rumeno, la loro lingua è l’ungherese, la terra che abitano è detta Terra dei Siculi. È una delle più importanti minoranze etniche della Transilvania.
La Sicilia
Sin dall’antichità l’isola era chiamata Trinacria o Triquetra,[30] il termine lo troviamo testato anche in Omero nel Libro Duodecimo ai versetti 165; 178; 180:
Allora incontro ti verran le belle / Spiagge della Trinacria isola, dove / Pasce il gregge del Sol, pasce ’armento. / […] Come l’augusta madre ambo le Ninfe / Dopo il felice parto ebbe nodrite, / a soggiornar lungi da sé mandorle / nella Trinacria; e le paterne vacche / dalla fronte lunata, ed i paterni / monton lucenti a custodir loro diede.
Si pensa che dopo l’arrivo dei Greci nel 756 a.e.v., i nuovi coloni iniziarono a chiamarla Sicilia, perché chiamavano i Siculi / Sikeloi, da dove forse derivò il nuovo nome dell’isola. Il simbolo, nonostante il cambio del nome è rimasto sempre la Trinacria, composto dalla testa della Gòrgone,[31]i cui capelli sono dei serpenti intrecciati con le spighe di grano, da dove escono tre gambe piegate all’altezza del ginocchio dette triscele. Secondo gli studiosi, il simbolo della Trinacria è un simbolo religioso, proveniente dall’oriente, portato dai Greci. Il simbolo della Sicilia è stato usato anche su delle monete dal Tiranno di Siracusa Agatocle,[32] nel 307 a.e.v.
Il terremoto del 1693
L’Altopiano Ibleo nella sua millenaria esistenza, ha assistito a uno dei fenomeni più devastanti della storia dell’umanità. Tra il 9 e l’11 gennaio del 1693, tutta la Sicilia Orientale fu devastata da un terribile terremoto, considerato dagli esperti (ad esempio dal Dipartimento di fisica dell’Università di Bologna), il più devastante mai abbattutosi sul suolo italiano, e fra i venti terremoti più devastanti della storia dell’umanità.
Ebbe una forza di distruzione di magnitudo superiore agli XI gradi MCS della scala Mercalli, e distrusse oltre settanta centri abitati, e colpì un’area di circa 56.000 chilometri quadrati, causando la morte di oltre 60.000 persone, il 20% dell’intera popolazione. Il terremoto fu seguito da un maremoto che interesso le coste ioniche e contribuì all’ulteriore distruzione di Messina. L’epicentro della prima scossa quella delle ore 21,00 della sera del 9 gennaio, fu tra Melilli e Sortino, due centri dell’altipiano ibleo, causando numerose vittime e il crollo di molte abitazioni. Dal registro dei battesimi della Chiesa Madre di Scicli, l’arciprete Carioti lasciò questa testimonianza:
L’anno del Signore 1693, a nove di gennaio di venerdì a hore quattro e mezza di notte fece un terremoto cosi grande che s’intese per tutto questo regno di Sicilia,e con tutto che havesse durato assai perché il moto fu regolato, danneggiò solamente Melilli et altre città e terre del Val di Noto nel cui territorio si subissarono molte torri situate in campagna. La nostra città di Scicli non ebbe altro danno che una casuzza nel quartiere della Scifazzo senza danno delli habitatori, benché le fabbriche di molte case e palagi si risentirono e la chiesa di S. Matteo precisamente nella cappella del SS: Crocifisso. Ogiuno stava timoroso della replica alle 24 ore, qual termine passato si credeva non v’essere più periglio. Ma ché! Alli 11 di gennaro, a hore 2 circa, giorno di domenica, fece di nuovo un terremoto così horribile non tanto per la durata – benché per altro fosse stato lungo per quanto un devoto che cominciò la litania della Beata Vergine arrivò a quelle ultime parole Regina Virginum – quanto fu per lo moto irregolare e saltellante, e veramente la terra nel mentre che faceva detto terremoto non solo si nacava ma si spinse in aria per tre volte come se avesse ballato, al che fu attribuito il gran danno che produsse.[33]
Dunque le popolazioni della Sicilia Orientale, dopo la prima scossa tremenda, trascorse 24 ore, pensarono che fosse tutto finito, il giorno 10 trascorse senza ulteriori smottamenti, ma l’11 mattina alle 9,00 si ripresentò l’inferno con scosse oltre gli XI gradi della scala Mercalli. Per gli esperti, i due sismi furono due terremoti a se stanti. Il secondo provocò un altro enorme maremoto che interesso il golfo di Catania, arrecando ulteriori devastazioni. Il sisma si protrasse per oltre due anni con un numero impressionante di scosse, alla fine si contarono più di 1.500 eventi. Le città distrutte quasi totalmente furono venticinque, fra le quali Catania, che fu ricostruita sulle sue rovine, ma con un tracciato stradale nuovo, mentre una decina di città vennero trasferite di sede e ricostruite ex novo in luoghi differenti, lontane dal loro vecchio tracciato, tra queste: Sortino, Avola, Noto, Ispica, Buscemi, Ragusa, Occhiolà che cambierà il nome in Grammichele. Per la ricostruzione di questi centri abitati, si ricorse alla lottizzazione ortogonali, già sperimentata in Sicilia tra il cinquecento e il seicento.[34] Due mesi dopo il sisma, il duca di Cammarata Giuseppe Lanza fu nominato Commissario Generale per la ricostruzione, e si avvalse della collaborazione tecnica dell’ingegnere militare Carlo di Grunemberg, originario dei Paesi Bassi.
Il Barocco siciliano
Dopo l’immane devastazione apportata dal terremoto del 9/11 gennaio 1693, partì il piano di ricostruzione. Modica, Ragusa e Scicli, facevano parte della Contea di Modica, tutte sull’altipiano ibleo, e dal 2001 sono state dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Il sisma mise le popolazioni della Sicilia Orientale davanti al grande problema, cosa fare dopo la distruzione, problema che riguardava le autorità e i singoli cittadini. Alcune città, come Modica decisero di rimanere nel vecchio sito e iniziarono la ricostruzione, partendo da quello che si poteva recuperare e ricostruendo ex novo le parti distrutte. L’opera di ricostruzione iniziata alla fine del 1600, continuò per tutto il settecento. Il relativo progetto fu un vero evento architettonico e scenografico, con l’utilizzo della pietra calcare, che richiamava il colore del miele delle api dei Monti Iblei. Per la ricostruzione accorsero architetti, ingegneri, urbanisti, maestranze e scalpellini da tutta la Sicilia, e alla fine, il loro lavoro ci ha lasciato da Modica a Scicli da Ragusa Ibla a Noto a Siracusa e Catania, uno dei più bei capolavori del barocco siciliano. La ricostruzione diede vita all’arte barocca siciliana.
Noto città barocca
Per ricostruire il centro abitato di Noto, i tecnici decisero di abbandonare il vecchio sito e spostarsi più a valle. La decisione di spostare la ricostruzione di Noto è dovuta anche e soprattutto all’intervento degli ecclesiastici, che disponevano di ingenti patrimoni, e volevano fondare nuovi monasteri e costruire nuove cattedrali, anche perché il vecchio borgo non disponeva di ampi spazi, mentre il nuovo sito era molto più ampio. Ma alla fine la decisione di spostarsi dalla vecchia città distrutta, non fu facile da prendere, perché i contadini, gli artigiani i commercianti, volevano rimanere nel vecchio borgo fortificato. Si tennero delle assemblee, dove settecento cittadini avevano diritto di voto. Non arrivando a nessuna conclusione, la pratica venne rimandata al duca di Cammarata, il duca la inviò al Senato Siciliano, questi alla corte reale di Madrid.
Nel frattempo l’architetto Italia, costruì la città, con un suo progetto di città a pianta quadrata, sul facsimile della pianta di Palma di Montechiaro, città dove il gesuita, aveva soggiornato per circa quindici anni. Il gesuita Italia e i suoi collaboratori, ingegneri, maestranze, scalpellini, ebbero modo di sbizzarrirsi, creando la grande arteria, la via principale con la cattedrale, che con la sua enorme cupola e grandiosa scalinata, domina la scena della bellissima piazza, contornata da altre sei chiese minori, con le loro relative piazze, realizzando una delle più belle quinte teatrali, sempre con la pietra calcare, che con il suo bellissimo colore miele, crea effetti speciali. L’architetto Italia, oltre che di Noto, si occupò anche della ricostruzione di Avola. La ricostruzione delle città del Val di Noto, e di tutte le città della Sicilia Orientale, devono servire come esempio di rifondazione urbana, dove la ricostruzione impegnò tutti, dalla corte di Spagna, al Senato Siciliano, agli abitanti dei siti distrutti, agli ordini religiosi, che si rimboccarono le maniche e ricostruirono in modo sublime le loro città, che oggi sono riconosciute quasi tutte Patrimonio dell’Umanità, e costituiscono per le nuove generazioni ancora oggi motivo di orgoglio. L’evento toccò tutti, popolani, intellettuali, artisti, molti dei quali hanno lasciato testimonianze nell’arte, nella letteratura, nella pitture e anche nei detti popolari. Un detto popolare di un anonimo ricorda con parole struggenti quelle giornate:
All’unnici di Jinnaru a vintin ‘ura L’undici Gennaio alle ore ventuno
a Jacu senza musica si ballava ad Acireale senza musica si ballava
cui sutta li petri e cui sutta li mura chi sotto le pietre e chi sotto le mura
e cui a misericordia chiamava e chi invocava la misericordia divina
Anche i cantastorie, raccontarono quell’immane tragedia, ecco un canto popolare dedicato all’11 gennaio 1693:[35]
All’unnici ‘i jnnaru a vintin’ura, All’undici di gennaio alla ventesima ora,
fu ppi tuttu lu munnu na ruvuna fu per tutto il mondo un disastro.
Piccili e ranni sutta li timuna Piccoli e grandi sotto le macerie,
ricennu “Aiutu” e nuddu ci ni rava dicevano “Aiuto” e nessuno gliene dava.
Su nn’era pi Maria nostra Signora, Se non fosse stato per Maria nostra Signora
Tutti forumu muorti all’ura r’ora Tutti saremo morti a quell’ora,
all’ura r’ora, ciancirièmmu forti: in quel momento piangemmo forte
Si Maria nun facia li nostri parti Se Maria non avesse preso le nostre difese
C’è bisognu ri starci a li curti C’è bisogno di stare molto vicini,,
ca cala Crustu ccu scritturi e carti Perché cala Cristo con le scritture e carte per venire in nostro aiuto.
Avola città a pianta esagonale
Il 23 febbraio del 1693, cioè appena quarantatre giorni dopo l’immane catastrofe, che ad Avola aveva causato la morte di circa mille persone, Nicolò Pignatelli Aragona Cortes, Marchese di Avola, da Madrid dove risiedeva, incaricò l’architetto Angelo Italia della Compagnia di Gesù, di studiare e progettare la nuova Avola, e di avvalersi del Capomastro Antonio Vella per i lavori di ricostruzione, e fece inviare dal Senato Siciliano al Governatore di Avola i primi finanziamenti consistenti in 400 onze oro.[36] Nella relazione inviata al Re di Spagna del 14 maggio 1693 quando viene menzionata Avola, leggiamo: “quedo toda destruita y arruynada.”
La scelta di abbandonare il vecchio sito, che si trovava su un pianoro dell’altipiano ibleo, nei pressi del monte Aquinone, si deve a diversi fattori, primo tra tutti, perché il vecchio centro abitato era stato raso al suolo completamente, e la rimozione dei detriti avrebbe comportato una spesa esorbitante. A spostare la ricostruzione in un nuovo sito, furono tutti concordi, sia i cittadini sia i notabili. Il sito fu identificato più a valle vicino al litorale nel Feudo Mutubé. Si era capito che costruire sull’altipiano su un terreno roccioso, in caso di terremoto le case crollavano, invece sul litorale, alcuni edifici e capannoni erano rimasti in piedi, questo perché il terreno mostrava una elasticità migliore perché formato da stratificazioni di terra di riporto L’architetto Italia rifacendosi all’urbanistica medievale, disegnò l’impianto urbanistico come un esagono. Tale impianto sarà impiegato anche per la ricostruzione di Occhialà, l’odierna Grammichele. I due assi stradali della planimetria della nuova Avola, saranno più larghi, avranno una larghezza di dieci metri, il cardo con direzione NS la vecchia Strada del Cassero, oggi Corso Garibaldi, e il decumano con direzione EO l’odierno Corso Vittorio Emanuele. Nel punto di incontro formano Piazza Maggiore, oggi Piazza Umberto I. Contrapposte troviamo quattro piazze minori, che costituivano le porte d’ingresso e di uscita della cittadina. Il nuovo centro urbano risultò una città fortificata che poteva accogliere al suo interno oltre seimila abitanti. Il gesuita nel disegnare la nuova città, con strade larghe, case basse e le cinque piazze, ha pensato di renderla antisismica e di facile evacuazione. All’interno dell’esagono l’architetto, per la costruzione dei quartieri utilizza il quadrato. Nella piazza principale l’odierna Piazza Umberto I, troviamo la Chiesa Madre, il Palazzo Ducale e la Torre dell’Orologio. Nelle quattro piazze minori troviamo la Chiesa di Sant’Antonio Abate, la Chiesa di Santa Venera, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova e la Chiesa di San Giovanni Battista. Avola a differenza di Noto, di Siracusa, di Modica e di Ragusa, e di altri centri, presenta meno edifici fastosi, lo stesso Marchese di Avola non risiedeva in città, ma in Spagna, e la città aveva meno palazzi nobiliari.
Modica la Venezia del Sud
Modica uno dei gioielli dell’altipiano ibleo, ha una storia antica e nobile. Modica è stata anche chiamata la Città di Ercole, cosi la troviamo testata nei documenti ufficiali della Contea di Modica dal Seicento all’Ottocento. Secondo una legenda Modica è una delle tre città fondate da Ercole, al ritorno dalla Spagna, dove aveva sconfitto il gigante Gerione,[37]che custodiva le bellissime vacche rosse consacrate ad dio Apollo. Giunto in Sicilia le vacche gli furono rubate e la bellissima Motia gli indicò dove venivano nascoste. Ercole, nei luoghi indicatigli fondò tre città, Mozia vicino a Capo Liliveo, Mozia vicino Agrigento, e per ultima la Mozia Mediterranea, la nostra Modica. Di questa legenda, ne parla lo storico Giuseppe Buonfiglio[38] nella sua opera: Dell’Historia Siciliana Prima Parte, pubblicata a Venezia nel 1604, a pagina 48 scrive: …Et arrivato che fu in Italia, fece continovata guerra per diece anni con molti Tiranni, & in Sicilia vinse & debellò i Ciclopi, & i Lestrigoni, & edificò Motuca.
Modica fu costruita su quattro colline dell’Altipiano Ibleo, il territorio è solcato da profondi canyon, che le genti del luogo chiamano cave. Dai ritrovamenti archeologici apprendiamo che il sito dove sorge Modica era abitato sin dall’età del rame l’ eneolitico[39](dal 3.200 al 2.200 a.e.v.), ne sono state trovate testimonianze nel centro storico di Modica. Dai ritrovamenti archeologici, apprendiamo che la zona fu popolata dai Sicani, dai Fenici e dai Siculi, e che sia stata fondata come altre città della zona un centinaio di anni prima della guerra di Troia. La città ha subito e vissuto tutte le invasioni che la Sicilia ha conosciuto, da quella Greca, Romana, Araba, Normanna, Spagnola, Francese ecc. Il maggiore sviluppo Modica lo ha a partire dal 1091 dopo la conquista araba e normanna. Col bando di Federico II d’Aragona Re di Sicilia,[40] del 25 marzo 1296, fu costituita la Contea di Modica. Fu uno dei più importanti Stati Feudali dell’Italia Meridionale, sino all’abolizione del feudalismo decretata dal Reggio Decreto del 8 dicembre 1816 emanato da Ferdinando III di Borbone Re di Sicilia.[41]
Le due immani catastrofi: – Il terremoto del 9 e 11 gennaio 1693
Il terremoto del 9 / 11 gennaio 1693, colpì Modica e il suo territorio, causando la morte di 3.400 persone su una popolazione di quasi diciannovemila abitanti. Per la ricostruzione Modica, al pari di tutti gli altri centri del Val di Noto, all’inizio ebbe dei problemi. Il dibattito verteva se ricostruire la città sul vecchio sito o spostarsi più a valle verso il mare. Erano coinvolti, ecclesiastici, notabili e cittadini comuni. Le due chiese principali San Giorgio e San Pietro in guerra fra di loro, sin dal 1597, quando la chiesa di San Giorgio fu elevata a collegiata, iniziando ad aspirare al titolo di matrice. La disputa fra Sangiorgiari e Sanpietrini fu veemente con barricate, assalti e diversi morti.. Si arrivò nel 1690 alla scomunica dell’arciprete e dell’intero capitolo della chiesa di San Giorgio. Il terremoto li aveva trovati in questa situazione belligerante. Dopo che le due fazioni si erano rivolte al Vicerè. Il Vicerè diede ragione alla collegiata di San Giorgio, perché a perorare la causa erano state le famiglie più importanti di Modica: I Grimaldi, i Tommasi Rosso ecc., e Modica fu ricostruita sul suo vecchio sito. La ricostruzione per la città di Modica fu veloce, anche perché molte chiese non erano crollate, la chiesa di San Giorgio rimasta quasi intatta, già dal 1696 era stata aperta al culto, e undici anni dopo il sisma tutte le chiese di Modica erano funzionanti e agibili. Negli anni successivi tutti gli sforzi furono compiuti per ricostruire la città più bella con la costruzione di quasi tutte le facciate dei palazzi e le scenografiche scalinate, rendendo Modica una bellissima quinta teatrale
La chiesa di San Pietro fu la prima a partire e a finire i lavori e per diversi decenni diventò la chiesa più importante e principale di Modica. La chiesa di San Giorgio aveva subito lievi danni dall’immane terremoto, I Sangiorgiari impiegarono quasi settant’anni a decidersi e a realizzare l’imponente progetto. Non si conosce il nome di chi progettò la facciata della chiesa, ma secondo gli studiosi, vista la lunga durata dei lavori, si pensa che il progetto subì diverse rielaborazioni, sempre ad opera dei più valenti architetti del Settecento siciliano. I lavori per la ricostruzione iniziarono nel 1702. Alla ricostruzione contribuirono le offerte di comuni cittadini di Modica, delle famiglie nobiliari, del Comune e della casa reale nella figura del Re Filippo IV. I primi tre ordini della facciata furono terminati nel 1780 a settant’otto anni dall’inizio dei lavori. I lavori terminarono nel 1842, e da quel momento la chiesa di San Giorgio si eleva maestosa come uno dei massimi gioielli del barocco siciliano.
Ancora oggi, girando per Modica bassa si notano i segni della grande alluvione del 25 / 26 settembre 1902. L’alluvione causò la morte di 112 persone, la distruzione di moltissime case, il crollo di numerosi ponti. Modica alla fine dell’Ottocento veniva indicata come la Venezia del Sud, perché era attraversata da tre torrenti: lo Ianni Mauro, il Pozzo dei Pruni e il San Liberale, che unendosi a nord della città davano origine al Moticano, il fiume che attraversava tutta la città . Questi fiumi erano attraversati all’epoca da ben 17 ponti. La causa principale di quello che accadde tra il 25 e 26 settembre 1902 risiede nella grande depressione barometrica che gravava sulla Tunisia e le grandi pressioni che si registravano sull’Europa continentale, questo concatenarsi di fattori provocò la caduta di bombe d’acqua sulla Sicilia sud-orientale, interessando in particolar modo le alture di Modica. La stazione pluviometrica più vicina a Modica, quella di Giarratana, registrò tra il 25 e il 26 settembre 395 millimetri di pioggia. Questa immane bomba d’acqua portò i tre torrenti che attraversavano Modica a cielo aperto, ad ingrossarsi,. Alle 4,30 del mattino i torrenti strariparono e alle 4,50 la grande piena era già arrivata ai primi piani delle abitazioni, costruite lungo la fiumana. A questa catastrofe concorse anche la morfologia del territorio di Modica, costituito da grandi cave, che a loro volta si trasformarono in immensi corsi d’acqua. Da premettere che il Pozzo dei Pruni era alimentato da un bacino di diciassette chilometri quadrati, che iniziò a vomitare acqua nel torrente e nelle cave sottostanti, trascinando a valle tutto ciò che incontrava, uomini, animali, ponti alberi.
La notizia fece velocemente il giro del mondo. Ne diedero notizia tutti i più grandi giornali del mondo. L’Italia si commosse e iniziarono da subito a raccogliere fondi per la ricostruzione, medicinali, viveri da inviare alla popolazione alluvionata. In questa gara di generosità si distinsero le città di Palermo e di Milano, un anno dopo la catastrofe con i fondi da loro raccolti fu costruito un quartiere ex nuovo con sessanta appartamenti e un asilo, a cui fu dato il nome delle due città. Da far notare che la generosità dei cittadini permise la raccolta di oltre ottocento mila lire, lo stato molto più tardi stanziò la cifra ridicola di sette mila lire, che servirono per coprire finalmente i tre torrenti. Tanti hanno cantato la bellezza di Modica, una delle pagine più belle è quella lasciata da Gesualdo Bufalino, che paragona Modica a una melagrana spaccata: Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell’estate: E forse fu grazia del luogo dove abitavo, un paese in figura di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo; metà ristretto su uno sprone di roccia, metà sparpagliato ai suoi piedi; con tante scale fra le due metà, a far da pacieri, e nuvole in cielo da un campanile all’altro, trafelate come staffette dei Cavalleggeri del Re… che sventolare, a quel tempo, di percalli da corredo e lenzuola di tela di lino per tutti i vicoli delle due Modiche, la Bassa e la Alta; e che anche le ragazze si spenzolavano dai davanzali, tutte brune. Quella che amavo io era la più bruna…[42]
Concludendo l’altipiano ibleo è un grande polmone verde della Sicilia Sud-Orientale. Questa parte di Sicilia annovera il più alto numero di siti al mondo, dichiarati dall’UNESCO “Patrimonio dell’Umanità” sono: Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa, Scicli, Caltagirone, Siracusa, la Necropoli di Pantalica e per ultimo ma non meno importante il vulcano Etna. L’altipiano è ricco di ulivi secolari e di meravigliose piantagioni di carrubo, bellissimi agrumeti (in siciliano giardini), ampi prati con bellissime masserie fortificate, gli antichi bagli,[43] e la meravigliosa, rigogliosa e incontaminata macchia mediterranea.
Luigi Rigazzi *
*L’AUTORE:
LUIGI RIGAZZI (1944), è un validissimo Scrittore, Biblista, Redattore della Rivista QOL, collaboratore della Libertà. Ha pubblicato:
- E Dio disse… Un Commento a Genesi, Prefazione di Paolo De Benedetti, Silvana Piolanti Editore, Reggio Emilia, 2007;
- Esodo e Dio disse a Mosè, Prefazione di Amos Luzzatto, Postfazione di S.E. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Pozzi Editore, Reggio Emilia, 2014;
- Il Paradiso delle piccole cose, Paolo e Maria De Benedetti si raccontano, Pietro Mariani Cerati e Luigi Rigazzi, Prefazione di Umberto Eco, Imprimatur Editore, Reggio Emilia, 2014;
- Bibbia, Libri e Giornali, Silvia Giacomoni con Pietro Mariani Cerati e Luigi Rigazzi, Compagnia Editoriale Aliberti, Reggio Emilia, 2017;
[1] Miocene – Nella scala dei tempi geologici, il Miocene è la prima delle epoche geologiche in cui è suddiviso il Neogene, il secondo periodo dell’Era cenozoica. Il Miocene è compreso tra l’Oligocene e il Pliocene, ebbe inizio 23,03 milioni di anni fa (Ma) e terminò 5,332 (Ma). [2] Pleistocene – Nella scala dei tempi geologici, il Pleisocene è la prima delle epoche un cui è suddiviso il periodo Quaternario. E’ compreso tra 2,58 milione di anni fa (ma) e 11,700 anni fa preceduto dal Piocene, l’ultima epoca del precedente periodo del Neogene, e seguito dall’Olocene, l’epoca attualmente in corso. Il Pleistocene inferiore e medio corrispondono al periodo del Paleolitico inferiore (Homo habilis e Homo erectus), mentre il Pleistocene superiore ai periodi del Paleolitico medio e superiore (Homo neanderhalensis, Homo sapiens). [3] Papiro egiziano, è una pianta palustre, perenne, rizomatosa, appartenente alla famiglia Cyperaceae. E’ noto soprattutto perché da esso si ricava una superficie scrittoria detta papiro. [4] Elicriso ibleo (Helichrysum hiblaeum Brullo) è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae, endemica della Sicilia. [5] Trachelio siciliano (Trachelium lanceolatum Guss. 1843) è ina pianta appartenente alla famiglia delle Campanulaceae, endemica della Sicilia. [6] Selkova sicula (Zelkova sucula Di Pasquale, Garfi & Quézel, 1972) è una specie appartenente alla famiglia delle Ulmaceae, endemica dei Monti Iblei. [7] Limone di Siracusa, JGP, è il futto appartenente alla cultivar femminello siracusano e ai suoi cloni, riferibili alla specie botanica Citrus limon. Il femminello siracusano è la cultivar più rappresentativa d’Italia e produce tre fioriture: il primo fiore (da ottobre a marzo), il bianchetto (da aprile a giugno) e il verdello (da luglio a settembre). [8] Cultura di Castelluccio è uno dei tenti spetti archeologici della Preistoria siciliana, risalente all’Antica Età del bronzo (2000 a.e.v. circa) e identificata da Paolo Orsi nella omonima località posta tra Noto e Siracusa. [9] Egidio Forcellini, 1688 / 1768, presbitero, latinista, filologo e lessicografo. [10] Muhammad al-Idrisi, detto anche El Edrisi, 1099 / 1165, geografo, storico, amico e confidente di Ruggero II di Sicilia. Realizzo il grande atlante geografico conosciuto con il titolo: Il Libro di Ruggero. [11] Tommaso fazello, Sciacca 1498, Palermo 1570, storico, teologo, archeologo. [12] Anaktoron di Pantalica, è un edificio megalitico, rinvenuto sull’acropoli di Pantalica, nel territorio di Sortino (SR). [13] Pietro Paolo Giorgio Orsi, Rovereto 1859 / 1935, archeologo. [14] Civiltà micenea, tipica della Grecia continentale durante l’età del bronzo – 1600 a.e.v. – sviluppatasi a Micene sotto l’influenza della civiltà minoica di Creta. [15] Gelone, Gela 540 a.e.c., Siracusa 478 a.e.v., fu Tiranno di Gela dal 491 a.e.v. e primo Tiranno di Siracusa dal 485 a.e.v. sino alla sua morte. [16] Amilcare I, si conosce la data della morte a Imera 480 a.e.v., re di Cartagine. [17] Pentapoli di Siracusa, l’antico assetto della città, formata da cinque città-quartiere, erano: l’Isola di Ortigia, l’Agradina, La Tiche, la Neapolis, e l’Epipoli. [18] Marco Virtruvio Pollione, 80 a.e.v., 15 e.v., architetto e scrittore romano, considerato il più famoso tecnico dell’architettura. [19] Siculo o Sicelo, eroe della mitologia greca, vissuto forse prima o dopo la guerra di Troia, secondo la legenda fu lui a condurre il popolo dei Siculi in Sicilia. [20] Sicani,, erano un popolo della Sicilia, stanziati nella parte orientale dell’isola, con l’arrivo dei Siculi, i Sicani si spostarono nella parte centrale dell’isola. [21] Elimi, antico popolo della Sicilia occidentale, secondo gli antichi storici greci e latini, hanno una provenienza da Troia dopo la guerra, secondo altri provenivano dalla Liguria, e secondo altri ancora erano una popolazione italica. [22] Fenici, è il nome con cui i greci indicavano il popolo che abitava le coste orientali del mar Mediterraneo, l’odierno Libano, popolo del quale si hanno notizie sin dal XXI secolo a.e.v. [23] Calcide Eubea, fu una polis della Antica Grecia, situata nell’Eubea. [24] Ticle o Treocle è stato un militare probabilmente il fondatore di Catania, secondo lo storico Tucidite era un greco-calcidese. [25] Tucidite, figlio di Oloro del demo di Alimunte, 460 a.e.v. – 404 a.e.v., storico, militare ateniese, filosofo, politico, e noto per il suo capolavoro La guerra del Poloponneso. [26] Filisto di Siracusa (Siracusa 430 a.e.v. – 356 a.e.v.) è stato uno storiografo siceliota, autore di una Storia della Sicilia. [27] Dionigi di Alicarnasso o Dionisio (60 a.e.v. – 7 a.e.v.) è stato uno storico e insegnante di retorica. La sua opera principale è Antichità romane. [28] Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (Como 23 a.e.v.- Stabiae 25 agosto 79 e.v.) è stato uno scrittore, ammiraglio e naturalista romano. [29] Publio Virgilio Marone, Andres 15 ottobre 70 a.e.v. – Brindisi 21 settembre 19 a.e.v., è stato un poeta latino. [30] Triquetra è un antico simbolo celtico a tre punte interconnessi tra loro. Nella iconografia antica greca delle popolazioni della Sicilia del VII – VI secolo a.e.v. appare come una triscele, in insieme di tre gambe unite all’anca. [31] Gorgone, nella mitologia greca nome dato a tre divinità: Medusa, Steno,e Euriale, con una terribile testa, urta di serpenti, capace di pietrificare chi la guardasse., secondo Omero la Gorgone era una soltanto identificata con Medusa. [32] Agatocle, Terme 361 a.e.v., Siracusa 289 a.e.v., è stato Tiranno di Siracusa dal 307 a.e.v. sino alla sua morte.[33] Giorgio Scava, Il terremoto del 1693, e la ricostruzione del Val di Noto, http://www.antoniorandazzo.it/storia/files/TERREMOTO-SCICLI.pdf [34] Le città siciliane ricostruite dopo il terremoto del 1693, http://www.esteticadellacitta.it/citymage/ritratti/avola%20sito.pdf [35] Canto popolare, hrrp://www.prolocoavola.it/memorial_terremoto_1693.html [36] Onza, moneta romana, è stata una moneta che ha avito corso in Sicilia dal XVII secolo sino all’unità d’Italia.[37] Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, era un gigante con tre teste, tre busti e due sole gambe. Era il re dell’isola di Eritea, custodiva le vacche rosse consacrate ad Apollo.[38] Giuseppe Costanzo Buonfiglio, Messina 1547 / 1622 – Militare e storico italiano. [39] Eneolitico – l’Età del rame, periodo delle Preistoria, tappa di transizione tra manifattura litica e l’età del bronzo. [40] Federico II (detto anche III) d’Aragona, Re di Sicilia – 1272 / 1337. [41] Ferdinando III di Borbone Re di Sicilia – Napoli 1712 -/ 1825. [42] Gesualdo Bufalino, Argo il cieco. Ovvero i sogni della memoria, Bompiani Editore, Milano, 1994, p. 6. [43] Baglio è un edificio che contiene la corte o il cortile. Nel territorio siciliano, il baglio (bagghiu, in lingua siciliana) è una fattoria fortificata con ampio cortile.
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